In Europa è nata una realtà che intende mettere al centro dello sviluppo di nuove terapie, anche quelle più innovative come le terapie avanzate, i gruppi di pazienti con malattie rare. Un luogo dove questi gruppi diventano stakeholder attivi con l’obiettivo di condividere conoscenza e bisogni con le aziende biotech ancora prima dell’avvio delle sperimentazioni, creando una relazione che possa favorire l’avanzamento degli studi clinici e l’approvazione di nuove terapie. Ne abbiamo parlato con Ron Jortner, scienziato con un passato di ricercatore presso la Max Planck Society e fondatore della start up Aspire Biosciences, che ha presentato l’iniziativa al Convegno sulle Terapie Avanzate che si è tenuto a Londra lo scorso marzo.
Qualche anno fa il giornalista Simon Winchester pubblicò l’affascinante resoconto della nascita dell’Oxford English Dictionary, il più celebre dizionario della lingua inglese composto da oltre mezzo miliardo di parole. La narrazione ruota intorno a due figure, James Murray, il coordinatore del progetto, e W.C. Minor, un medico, reduce dalla Guerra di Secessione, affetto da una grave paranoia. Fu un’impresa di portata straordinaria, poggiata sulle spalle di due uomini del tutto diversi ma ugualmente preziosi. La stessa dinamica che si ritrova dietro un altro leggendario progetto, legato per sempre a figure come quelle di Robert Sinsheimer, James Watson, Craig Venter e Francis Collins, grazie ai quali, nell’aprile di vent’anni fa, si è ufficialmente giunti alla conclusione del Progetto Genoma Umano.
“So much ‘junk’ DNA in our genome” (“Così tanto DNA ‘spazzatura’ nel nostro genoma”). Così Susumo Ohno, genetista e biologo evolutivo nippo-americano a cui è attribuita l’origine del termine ‘junk DNA’, esordì nel 1972 in merito alle discussioni sulle dimensioni del genoma e sulla mancanza di una correlazione evidente con la complessità biologica dell’organismo a cui appartiene. Nell’uomo ci sono 46 cromosomi, circa 2 metri di DNA arrotolato su se stesso contenente oltre 20mila geni conosciuti. Solo il 2% circa del nostro materiale genetico codifica per delle proteine, mentre la maggior parte è il cosiddetto DNA non codificante. In passato non gli si diede molta importanza, arrivando appunto a chiamarlo ‘junk’ DNA, ma le cose stanno cambiando anche grazie alle più recenti tecniche di sequenziamento.
Quel giorno l’Italia celebrava la ricorrenza della liberazione dal nazifascismo: era il Paese contadino ritratto nei film di Don Camillo e Peppone, ancora segnato dalle cicatrici della guerra ma sul punto di avviare la rivoluzione industriale, che avrebbe aperto una nuova fase della sua storia. Da meno di due mesi era morto Iosif Stalin e, pochi anni più tardi, anche Winston Churchill avrebbe concluso la sua brillante carriera politica, mettendo così fine all’oscuro periodo dominato dal secondo conflitto mondiale. Un nuovo mondo doveva esser ricostruito e uno dei mattoni più edificanti di questa impresa fu posto dalla scienza, con la pubblicazione sulla rivista Nature - esattamente settant’anni fa - della struttura a doppia elica del DNA. In occasione di questo importante compleanno, il prof. Giuseppe Novelli - dell’Università degli Studi “Tor Vergata” di Roma - racconta i progressi ottenuti in genetica a partire da questa scoperta.
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