Disinformazione

Uno studio statunitense fa luce sui profili psicosociali delle persone che cadono vittime della disinformazione sanitaria sul web e sui social media. Ovvero su quali terreni la gramigna attecchisce meglio

Durante la pandemia di COVID-19, diversi progetti di ricerca sono stati avviati con l’obiettivo di comprendere la natura, la prevalenza e la diffusione della disinformazione relativa alla salute. L’emergenza sanitaria, infatti, ha reso più evidente questa problematica che, da anni, affligge il web. Fino ad oggi, però, pochi sono stati gli studi capaci di delineare il profilo dell’utente vittima della disinformazione. Per colmare questa lacuna, un team di ricercata statunitense ha condotto un’indagine originale per comprendere meglio quali siano le caratteristiche delle persone più vulnerabili a credere alle “fake news” in ambito sanitario, e se questa tendenza dipenda dall’argomento trattato. Lo studio è stato pubblicato su American Journal of Public Health.

Test COVID-19

Quali sono? Come funzionano? E su che basi optare per uno o per l’altro? Ve lo spiega Osservatorio Terapie Avanzate con una semplice ma esaustiva infografica

“Se hai avuto un contatto con una persona positiva al COVID-19 o accusi i sintomi della malattia (soprattutto tosse, febbre e indolenzimento) devi fare il tampone”. Probabilmente questa è una delle frasi più ripetute in questo anno di pandemia ed è difficile trovare qualcuno che, ad oggi, non sia ancora mai ricorso al famoso tampone. Nonostante ciò, molte persone fanno ancora confusione tra test molecolare, antigenico e sierologico, e ricorrere al test sbagliato – in un momento in cui il conteggio dei nuovi positivi rimane terribilmente alto e bisogna continuare a mirare a diagnosi, isolamento e cure tempestive – può creare gravi danni. Per questo motivo Osservatorio terapie Avanzate ha realizzato un’infografica (scaricabile QUI) che illustra in maniera semplice le differenze tra i vari test, diagnostici ed epidemiologici, per l’identificazione del virus SARS-CoV-2.

Tessuto osseo

Il nuovo tipo cellulare, chiamato osteomorfo, deriva dal riciclo di altre cellule del tessuto osseo e potrebbe aprire nuove vie terapeutiche per l’osteoporosi e altre patologie dello scheletro

La scoperta di una nuova cellula del tessuto osseo ribattezzata “osteomorfo” abbatte un dogma sul ciclo vitale dell’osso e apre nuove prospettive per il trattamento delle più comuni malattie dello scheletro. Grazie a una sofisticata tecnica di microscopia in vivo, un team di oltre quaranta ricercatori ha osservato per primo questo nuovo tipo di cellula nei topi. Gli osteomorfi derivano dal riciclo degli osteoclasti, le cellule responsabili del riassorbimento del tessuto osseo. Ma hanno una firma genetica unica e diversa dai loro precursori, che è stata associata ad aspetti strutturali e funzionali dello scheletro e a patologie come l’osteoporosi. Lo studio è stato pubblicato a febbraio su Cell.

Mauro Giacca

Dall’ICGEB alle start-up: un trasferimento tecnologico di successo per la piattaforma che permette di selezionare fattori protettivi per le cellule. Ne parliamo con il prof. Mauro Giacca

Molte malattie comuni sono causate dal fatto che alcuni dei nostri organi hanno un numero definito di cellule alla nascita e poche o nessuna capacità di rigenerarsi durante l’età adulta. Tra questi, il cuore, il cui il patrimonio cellulare diminuisce nel corso degli anni. Proprio per questo motivo, il gruppo di ricerca del prof. Mauro Giacca, professore al King’s College di Londra e all’Università di Trieste, ha cercato dei fattori proteici che fossero protettivi per le cellule cardiache e che potessero essere somministrati per prevenirne la morte. La piattaforma Funsel, sviluppata dal suo laboratorio, permette di identificare questi fattori tramite un sistema di screening funzionale in vivo. Anche le malattie renali potrebbero beneficiare delle applicazioni di FunSel.

Con il contributo incondizionato di

Website by Digitest.net



Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento Maggiori informazioni