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Comprendere cosa sono e come funzionano i trial è fondamentale, sia per decidere se partecipare che per capire come funziona la ricerca clinica

Come ogni anno dal 2014, il 20 maggio si celebra la Giornata Mondiale degli studi clinici: un’occasione per “fermarsi a riflettere, riconoscere e ammirare tutto ciò che è stato realizzato grazie alle sperimentazioni cliniche e alle persone che ci sono dietro”, come spiegato sul sito dedicato dall’Association of Clinical Research Professionals (ACRP) che la organizza. La data è stata scelta in onore del giorno in cui - nel lontano 1774 - James Lind, chirurgo di bordo della Marina Reale britannica, avviò quello che viene spesso considerato il primo studio clinico controllato. Nello specifico, si trattava di studiare gli effetti di diversi trattamenti sullo scorbuto. Ma cos’è un trial clinico? Cosa vuol dire randomizzato? E a cosa serve il placebo? Osservatorio Terapie Avanzate ripercorre la storia degli studi clinici, dagli studi pionieri fino a quelli attuali, illustrandone obiettivi, protocolli e termini in maniera semplice ed esaustiva, così da mettere a disposizione di tutti gli strumenti per comprendere il reale significato di una sperimentazione clinica.

DAI LIMONI AI FARMACI

L’incessante ricerca della conoscenza, l'applicazione rigorosa delle migliori pratiche e l'impegno nel difendere il benessere dei pazienti: la ricerca clinica, da quel lontano 1774 a oggi, ha fatto passi da gigante e ha portato a diverse conquiste scientifiche e alla messa in commercio di molti farmaci. James Lind trovò una cura per lo scorbuto, una malattia causata da una carenza di vitamina C e un vero e proprio flagello per i marinai che viaggiavano su lunghe tratte, durante una navigazione. Lind selezionò 12 marinai con lo scorbuto, li divise in gruppi da 2 e provò a curarli con diversi rimedi: solo quelli che avevano ricevuto gli agrumi guarirono. Questo esperimento viene considerato il primo studio clinico (chiamato anche trial clinico o sperimentazione clinica) randomizzato della storia. L’intera flotta britannica dell’epoca – e non solo – deve il suo benessere proprio a questa scoperta.

Circa un secolo dopo venne introdotto un altro caposaldo della storia della sperimentazione clinica: il placebo, parola apparsa per la prima volta in letteratura medica all’inizio del 1800. Ma è solo nel 1863 che il medico statunitense Austin Flint pianificò il primo studio che ne prevedeva l’utilizzo: al posto dei farmaci, utilizzò un estratto di erbe per il trattamento di 13 persone affette da reumatismi. Dopo il placebo, nel 1943 – presso il Medical Research Council - arrivò il primo trial in “doppio cieco”, ovvero uno studio in cui né il medico né il paziente sono a conoscenza della tipologia di trattamento utilizzato per ogni paziente (nessuno di loro sa chi prende il farmaco e chi il placebo). Tre anni dopo venne introdotta la randomizzazione: i partecipanti allo studio vengono assegnati in maniera casuale ai diversi gruppi di trattamento (es. farmaco o placebo). E questo divenne il quadro di riferimento per le sperimentazioni successive.

Un vero e proprio punto di svolta nella ricerca medica viene fatto risalire alla fine della Seconda Guerra Mondiale. È ormai fatto noto che i nazisti condussero esperimenti terrificanti, senza basi scientifiche e alcun consenso sugli esseri umani costretti nei campi di prigionia. Tutto questo è stato poi protagonista del Processo di Norimberga del 1946, durante il quale vennero delineati sei punti – diventati poi dieci – che definivano la ricerca medica su soggetti umani, fornendo così gli strumenti per condannare i responsabili di quelle azioni. Il primo criterio, il più importante, stabilisce che il consenso volontario del soggetto è essenziale: la persona coinvolta deve poter esercitare libero potere di scelta e dovrebbe avere sufficiente conoscenza sul tema per prendere così una decisione in piena consapevolezza. Quello che oggi viene chiamato “consenso informato” è un punto fondamentale per la partecipazione dei pazienti in uno studio clinico

La storia degli studi clinici è iniziata 250 anni fa e si ripete ogni giorno nei laboratori e nei centri clinici di tutto il mondo. Nei decenni i protocolli sono diventati sempre più rigorosi con l’obiettivo finale di tutelare la salute dei pazienti e di arrivare a trovare una terapia efficace. Andiamo a vedere più nel dettaglio come funzionano le sperimentazioni cliniche.

VOLONTARI, PLACEBO, SICUREZZA ED EFFICACIA

La prima differenza da sapere è quella esistente tra gli studi osservazionali e quelli interventistici. Nel primo caso si tratta di seguire – appunto, osservare – i partecipanti nel tempo per studiare l’evoluzione della malattia, comprendere i fattori di rischio, i possibili effetti dell’esposizione a determinate sostanze o, ad esempio, di alcuni stili di vita. Quelli interventistici, invece, richiedono che i partecipanti provino un trattamento, come ad esempio un farmaco, o anche un’apparecchiatura medica o diagnostica. Nel caso di uno studio clinico ideato per un farmaco, viene valutata prima di tutto la sicurezza e poi l’efficacia, sia nel caso di una nuova molecola o strategia terapeutica sia nel caso di un nuovo utilizzo di un farmaco già in commercio. La maggior parte delle volte, gli effetti del trattamento vengono confrontati a quelli di un placebo, ovvero una sostanza inattiva che presenta lo stesso aspetto del farmaco e che viene somministrata allo stesso modo. Gli aspetti più importanti da valutare sono la sicurezza, cioè l’assenza di effetti collaterali o altri danni non accettabili all’organismo, e l’efficacia, ovvero se viene raggiunto l’effetto benefico voluto.

A seconda dello scopo previsto dallo studio, i volontari coinvolti avranno specifiche caratteristiche: potranno essere volontari sani, cioè persone in salute, o pazienti con determinate patologie. Per determinare chi può partecipare e chi no, in ogni studio vengono stabiliti dei criteri molto precisi di inclusione ed esclusione che devono essere rispettati. I volontari sani vengono di solito arruolati nella prima fase delle sperimentazioni, quella in cui si studiano l’eventuale tossicità e la dose tollerata di un farmaco (con le dovute eccezioni: ad esempio, non si coinvolgono persone sane negli studi per farmaci oncologici perché i farmaci potrebbero essere tossici e non sarebbe etico). La partecipazione di un volontario (che sia sano o un paziente) viene finalizzata solo nel caso in cui, dopo tutte le spiegazioni e valutazioni mediche, la persona coinvolta firma il modulo del consenso informato. È ovviamente possibile ritirarsi in qualsiasi momento e per qualunque motivo da una  sperimentazione clinica: i trial si svolgono entro rigide regole internazionali, normative ed etiche, che assicurano la massima tutela e rispetto del paziente e delle sue scelte. Nel caso di pazienti minorenni o altri pazienti fragili, cioè non in grado di prendere decisioni in autonomia, sono i parenti più stretti o i tutori legali a decidere. È importante ricordare che la partecipazione a uno studio clinico è completamente gratuita: non è mai previsto un compenso per i partecipanti.

COM’È STRUTTURATO UN TRIAL CLINICO?

La prima cosa che va detta è che le tempistiche di uno studio clinico, specialmente se si tratta di una nuova terapia, sono molto lunghe (in media 10 anni per tutte le sue fasi). Questo perché lo studio va disegnato e condotto con estrema attenzione, proprio perché si procede con prudenza per tutelare le persone coinvolte e raccogliere dati scientificamente accurati e solidi. A questo vanno aggiunte le caratteristiche della malattia studiata: alcune hanno un decorso lungo o con recidive a distanza nel tempo e bisogna tenere conto di questi parametri nella progettazione dello studio.

I primi passi del percorso di ricerca per mettere a punto una terapia si svolgono in laboratorio – in vitro e in modelli animali (quello che viene chiamata sperimentazione preclinica) e poi, se i risultati lo permettono, si passa agli studi sull’uomo (sperimentazione clinica o studio clinico). Gli studi clinici sono strutturati in quattro diverse fasi che devono rispondere a determinate domande:

Fase I: è sicuro? Il farmaco da sperimentare viene somministrato a dosi crescenti per valutarne sicurezza e tollerabilità su volontari sani o su pazienti nel caso di malattie gravi e rare. Questa fase dura qualche mese e, una buona parte delle terapie sperimentali (circa il 70%) passa alla fase successiva.

Fase II: se funziona, a quale dose? A questo punto inizia a essere indagata l’attività terapeutica del farmaco e viene anche determinato quale sarà la dose migliore da valutare nelle fasi successive dello studio. In questa fase sono coinvolti pazienti, che vengono suddivisi in gruppi (o bracci) a ciascuno dei quali viene data una dose diversa di farmaco e – se eticamente possibile – il placebo. Per evitare che la somministrazione del placebo influenzi le aspettative, le valutazioni sono condotte senza che paziente (studio in cieco singolo), o medico e paziente (studio in doppio cieco), conoscano il tipo di trattamento utilizzato. Esiste poi un’ulteriore opzione, in cui neanche chi analizza i dati è a conoscenza dell’utilizzo di farmaco o placebo (studio in triplo cieco). Questa fase dura circa due anni ed è più delicata della precedente: solo un terzo del totale dei farmaci riuscirà a passare al successivo step.

Fase III: è migliore di altri? L’efficacia del farmaco sui sintomi, sulla qualità della vita o sulla sopravvivenza è confrontata con altri farmaci in uso o con l’assenza di trattamento, valutando anche il rapporto rischio-benefici. I pazienti coinvolti sono migliaia (a meno che non si tratti di malattie rare, per cui i numeri sono sempre ridotti) , in diversi centri clinici in Paesi diversi (si parla di trial multicentrici) e la modalità più utilizzata è quella dello studio clinico controllato randomizzato, in cui ai pazienti viene assegnato casualmente il nuovo principio clinico o il placebo. Questa fase può durare qualche anno, fino a 5, perché i pazienti vengono monitorati a lungo. Solo un quarto dei farmaci la superano, arrivando così a richiedere l’autorizzazione in commercio alle autorità competenti: l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) in primis, per poi passare all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che decide in merito alla rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

Fase IV: la sorveglianza post-marketing. Il processo di ricerca clinica non si conclude nel momento in cui il farmaco raggiunge il mercato: negli anni successivi si acquisiscono ulteriori informazioni con la pratica clinica su un’ampia popolazione. Vengono valutate le reazioni avverse rare o altri parametri che difficilmente emergono durante uno studio clinico fatto su una porzione ristretta della popolazione di pazienti.

Come spiegato sul sito di AIFA, in questo processo sono coinvolti diversi enti e organizzazioni: l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per il parere consultivo sugli studi ed emendamenti di Fase I, i Comitati Etici per i pareri di merito nelle strutture sanitarie in cui si svolge lo studio clinico, le Direzioni Generali delle strutture sanitarie per la definizione dei contratti, il network Eudravigilance per la segnalazione di reazioni avverse serie e inattese in corso di sperimentazione, i promotori e i ricercatori direttamente coinvolti nello svolgimento delle singole sperimentazioni cliniche.

PARTECIPARE A UNO STUDIO CLINICO

I sistemi sanitari esigono prove scientifiche di efficacia e sicurezza prima di autorizzare la commercializzazione di un nuovo trattamento, di un’apparecchiatura medica o diagnostica o di una nuova procedura chirurgica: per questo motivo i trial clinici devono essere studiati con cura e approvati dai diversi comitati di valutazione, svincolati dal gruppo di ricerca. Oltre a questo, i ricercatori o clinici devono riportare periodicamente i risultati mentre lo studio è in corso e devono interromperlo se qualcosa non va (un esempio recente è lo studio clinico con la terapia genica per la distrofia muscolare di Duchenne di cui abbiamo parlato qui). Se è vero che in passato sono stati condotti esperimenti pericolosi, illegali e senza consenso, la ricerca clinica oggi è strettamente regolata dal punto di vista legale, etico e scientifico. In primis per la sicurezza del paziente e poi per la raccolta di prove scientifiche affidabili su cui basare eventuali nuove approvazioni.

Nella maggior parte dei casi sono i medici che seguono un paziente a proporgli di entrare in una sperimentazione clinica. Negli ultimi anni, sempre più pazienti prendono l’iniziativa e cercano – in autonomia o con il supporto delle associazioni di riferimento – trial clinici per la loro malattia. Questo è facilitato dall’esistenza di database pubblici, consultabili sul web (il più noto è clinicaltrials.gov). Chi intende partecipare può anche trovare le informazioni sui centri clinici coinvolti e i contatti dei medici che gestiscono lo studio.

Partecipare a uno studio clinico presenta dei pro, ma anche dei contro, ed è importante che chi è coinvolto ne sia a conoscenza. I trial clinici, infatti, sono spesso percepiti dai pazienti come delle opportunità, ma non è sempre così. Le Fasi I e II sono fondamentali per il processo di sviluppo di una terapia, ma si tratta di un vero e proprio esperimento che può andar bene come può andare male. Essere arruolati in una sperimentazione può rappresentare un grande sacrificio per i pazienti e per le famiglie e potrebbe deludere le aspettative. Ad esempio, un aspetto da prendere in considerazione nella partecipazione ad uno studio clinico è il fatto che la maggior parte delle sperimentazioni sono controllate con placebo e si potrebbe restare esclusi dalla somministrazione del farmaco. Anche se sempre più spessi i protocolli prevedono che i partecipanti che hanno avuto il placebo possano in una fase successiva ricevere la terapia sperimentale. L’uso del placebo resta ancora oggi importantissimo e, anche se le agenzie regolatorie spingono verso un suo minor utilizzo, per ora non è possibile eliminarlo.

Chi partecipa ad un trial deve essere consapevole che non vuol dire avere un accesso preferenziale alla “cura”, poiché può capitare ricevere solo il placebo o la terapia sperimentale stessa potrebbe non rivelarsi efficace. È un grande investimento di tempo, e a volte di soldi nel caso di spostamenti lontano da casa, e si possono anche correre dei rischi: alcuni effetti avversi possono rivelarsi molto gravi e persino fatali. Nessun medicinale è totalmente scevro da rischi, l’obiettivo degli studi clinici è proprio quello di verificare costantemente che i potenziali pericoli siano sempre bilanciati e superati dai benefici. Ma d’altro canto, a prescindere dall’efficacia del farmaco, un paziente che partecipa ad un trial ha l’opportunità di essere seguito costantemente da un team specialistico, e a volte multidisciplinare, in un centro d’eccellenza.

Le sperimentazioni cliniche hanno dato e continuano a dare un grande contributo alla conoscenza e al progresso nell’ambito della salute. Decidere di partecipare o meno a uno studio clinico non è semplice e la scelta è assolutamente personale, le motivazioni vanno dalla speranza di trovare una terapia per la propria patologia a fare un atto di generosità per la collettività, ad esempio partecipando come volontario sano. La complessità dietro a uno studio clinico è elevata e i fattori in gioco molti: capire meglio quali sono e come vengono gestiti può essere d’aiuto per tutti per comprendere i meccanismi della ricerca scientifica e per prendere decisioni in maniera più consapevole nel caso in cui ci si dovesse trovare nella condizione di doverlo fare.

 

BREVE GLOSSARIO

Braccio di controllo: gruppo che serve da confronto per evidenziare l’efficacia dell’assunzione della terapia (ad esempio placebo o terapia standard).

Cecità (o blinding): procedura in base alla quale una o più parti coinvolte nella sperimentazione (volontario, medico, revisore dei dati) vengono tenute all’oscuro del tipo di trattamento eseguito. Ad esempio può essere uno studio in singolo cieco (solo il partecipante non sa), in doppio cieco (sono all’oscuro partecipante e ricercatore/clinico) o in triplo cieco (anche il revisore dei dati non è a conoscenza).

Consenso informato: procedura mediante la quale il paziente esprime il suo consenso a partecipare allo studio clinico, dopo essere stato informato sullo studio clinico. Il modulo di consenso informato è un documento che spiega come si svolge la sperimentazione e che viene firmato dal partecipante (in caso il paziente sia minore anche dai genitori o tutore).

Controllato: i pazienti sono divisi in diversi gruppi in modo da poter confrontare diversi tipi di trattamento, ad esempio nel caso venga utilizzato il placebo.

Criteri di inclusione: requisiti che la persona deve soddisfare per poter partecipare ad uno specifico trial clinico.

Follow-up: termine inglese comunemente utilizzato per indicare i controlli periodici che il paziente deve effettuare dopo la fine del trattamento.

Good Clinical Practice - GCP (Buona pratica clinica): linee guida che definiscono gli standard etici e di qualità scientifica per realizzare studi clinici che coinvolgono persone.

Monitoraggio: supervisione dello studio clinico, che deve essere condotto in osservanza al protocollo.

Non controllato: quando il trattamento sperimentale viene assegnato a tutti i pazienti eleggibili, non c’è un gruppo di controllo (es. placebo). Gli effetti del trattamento sperimentale sono valutati in base al confronto con il decorso della malattia trattata con terapia standard o con la storia naturale della malattia.

Placebo: sostanza inerte, che non contiene alcun principio attivo, che riproduce - per aspetto e via di somministrazione - le caratteristiche della terapia sperimentale in studio.

Protocollo: documento che descrive nel dettaglio di che tipo di trial clinico si tratta e come deve essere svolto (dalle somministrazioni del farmaco alle visite cliniche, fino agli aspetti statistici e i diversi obiettivi).

Randomizzato: i partecipanti allo studio vengono assegnati in maniera casuale ai diversi gruppi di trattamento o di controllo. 

Tasso di risposta: valore che rappresenta il grado di risposta a un trattamento in studio, ad esempio una riduzione dei sintomi.

Con il contributo incondizionato di

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