terapie avanzate, accesso, Paesi in via di sviluppo

I ricercatori dei Paesi a basso e medio reddito stanno cercando di portare le terapie avanzate alle persone che ne hanno bisogno, con la speranza di ridurre i costi optando per la produzione locale

L’innovazione costa. Portare una terapia genica o cellulare sperimentale dal bancone del laboratorio al letto del paziente richiede tempo, ma anche grossi investimenti (e un pizzico di fortuna). Quando una terapia supera gli studi clinici e i risultati supportano un suo utilizzo in clinica si passa alla definizione del prezzo, che sarà a carico dei sistemi sanitari, delle assicurazioni sanitarie o del paziente stesso. Questo si traduce nell’impossibilità delle persone dei Paesi più a basso reddito di sottoporsi a queste terapie, spesso salvavita, proprio a causa della spesa elevata. Un modo per ovviare il problema è quello di cercare di ridurre i costi e una delle strategie prevede la produzione di versioni “locali” delle terapie avanzate, ma a livello normativo e produttivo le sfide sono tante. Un articolo pubblicato su Nature Biotechnology ha fatto un’analisi della situazione, riportando alcuni esempi.

LE CAR-T IN INDIA

Il cancro è una priorità per la salute mondiale e, tra gli altri, anche l’India ha un grande interesse nello sviluppo di trattamenti utili a contrastarlo. Un esempio sono le CAR-T: terapie che costano alcune centinaia di migliaia di dollari, quindi decisamente fuori dalla portata della maggior parte dei Paesi del sud del mondo o in via di sviluppo. Possedere la tecnologia, ossia i brevetti, permetterebbe di abbassare i costi di produzione di una terapia avanzata, ma non è l’unico parametro da tenere in considerazione. Anche ricerca, commercializzazione e sviluppo clinico sono fattori che devono essere attentamente valutati per consentire l’accesso a trattamenti innovativi.

Un esempio citato nell’articolo su Nature Biotechnology è quello di ImmunoACT, azienda fondata presso l'Indian Institute of Technology di Bombay per studiare CAR-T anti-CD19. L’obiettivo del fondatore è quello di possedere la proprietà intellettuale al fine di ridurre i costi e consentire la commercializzazione in altri Paesi. ImmunoACT ha recentemente completato gli studi clinici di Fase II su actalycabtagene autoleucel in 50 pazienti con tumori maligni a cellule B e il trattamento ha ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio nell'ottobre 2023. L'azienda sta proseguendo con studi su diversi tipi di tumori come il mieloma, il cancro gastrico e il cancro al cervello, oltre che su infarto, fibrosi cardiaca e malattie autoimmuni. La terapia a basso costo, che dovrebbe avere un prezzo di circa un decimo di quelle commercializzate nel mondo occidentale, sarebbe comunque difficile da raggiungere per la maggior parte dei pazienti che vivono in queste aree. L’India ha infatti il secondo più alto tasso di cancro al mondo, per cui ha la necessità di trovare strategie terapeutiche efficaci e accessibili. I pazienti, inoltre, sono sempre più attivi e consapevoli e i finanziamenti tramite crowdfunding stanno aumentando.

CRISPR VOLA IN BRASILE

L’anemia falciforme è una malattia nota per essere diffusa nel bacino mediterraneo e nell’Africa tropicale, ma lo è anche anche in Sud America dove stanno studiando - all’Hospital Israelita Albert Einstein di San Paolo - una strategia di editing genomico basata su Crispr-Cas9 per trattarla. Anche in questo caso lo sviluppo di una proprietà intellettuale locale è essenziale per ridurre i costi ed evitare di raggiungere i record già toccati da altre terapie: ad esempio la terapia basata su Crispr Casgevy e la terapia genica Lyfgenia sono state autorizzate a fine 2023 negli Stati Uniti, per il trattamento dell’anemia falciforme, con un prezzo rispettivamente di  2,2 milioni e 3,1 milioni di dollari. Il sistema sanitario pubblico brasiliano non riuscirebbe a farsene carico e, come in India, i pazienti hanno sostenuto con forza la necessità di rendere disponibile la terapia genica, facendo anche causa al Sistema Único de Saúde.

RICICLARE I VETTORI

I materiali di consumo sono quelli che determinano il grosso della spesa della terapia genica e, per aiutare i Paesi a basso e medio reddito, la Caring Cross Global Gene Therapy Initiative acquisisce la proprietà intellettuale dei vettori lentivirali abbandonati dalle biotech e li fornisce per portare avanti sperimentazioni cliniche. C’è anche chi lavora su tecniche di delivery innovative, processi di produzione migliorati e molti altri approcci per abbassare il prezzo finale del prodotto.

PRODUZIONE LOCALE

La produzione locale potrebbe ridurre i costi e non di poco. Basti pensare alle CAR-T: quando un paziente viene sottoposto al trattamento, le cellule vengono estratte e trasportate in strutture centralizzate gestite dall’azienda produttrice. Queste Cell factories si trovano solitamente in Europa, Stati Uniti e Cina, di conseguenza, se il paziente si trova lontano, i costi aumentano. Sono già diversi i tentativi di portare la produzione a livello locale e sembra che i risultati siano buoni.

A questo si aggiunge il costo del lavoro più basso della manodopera qualificata. Non si tratta di sottopagare il personale, ma – sebbene il reddito sia inferiore - cambia il potere d’acquisto. Come spiegato nell’articolo, un'analisi del 2022 guidata da Vikram Mathews  - direttore del Christian Medical College di Vellore, in India - ha rilevato che le cellule CAR-T potrebbero essere prodotte in India per circa 35mila dollari, circa un decimo del prezzo delle CAR-T già in commercio.

Inoltre, reagenti e materiali di consumo utilizzati dagli ospedali, come terreni di coltura e materiali da laboratorio, hanno un costo elevato perché prodotti in Europa, Stati Uniti e Cina: anche in questo caso la produzione locale e il mancato trasporto internazionale avrebbe un impatto significativo.

DUBBI E SUGGERIMENTI

Alcuni hanno espresso dei dubbi circa la possibilità di produrre localmente CAR-T e terapie geniche in Paesi africani di piccole e medie dimensioni. Le strutture GMP mobili potrebbero essere una soluzione per l'Africa, con processi standardizzati e una forza lavoro addestrata in grado di fornire terapia genica ex vivo in diversi Paesi africani. Una possibilità sono anche le risorse multiuso, cioè in condivisione tra più centri dello stesso Paese, che consentirebbero di coprire i costi con una spesa molto più bassa a carico di ciascun sito.

Va anche tenuto in considerazione il tasso di insuccessi: non tutte le terapie funzionano in tutti i pazienti. Scoprire i meccanismi del fallimento del trattamento potrebbe aiutare a indirizzare le terapie ai pazienti giusti e a evitare di sprecare terapie costose su pazienti che non rispondono. Questo, considerando le CAR-T, ha fatto mettere l’attenzione sui biomarcatori: analizzare quali sono espressi nei pazienti con risultati migliori permetterebbe di evitare il trattamento in coloro i quali non li esprimono e che quindi hanno un tasso di risposta inferiore. Inoltre, aumentare il numero di studi clinci sulle terapie avanzate in altri Paesi consentirebbe di ampliare le conoscenze nel campo: fino ad ora, infatti, la stragrande maggioranza di questi trial sono stati fatti su popolazioni caucasiche.

LO SCOGLIO DELLA NORMATIVA

Come spiegato dagli autori, le terapie saranno disponibili nei Paesi a basso e medio reddito solo con il sostegno delle autorità di regolamentazione. Tali discussioni possono essere impegnative, poiché molti enti regolatori hanno poca o nessuna esperienza con le terapie geniche e cellulari o con il trapianto di midollo osseo - un passo fondamentale nella terapia genica ex vivo, comprese le cellule CAR-T.

Sono quindi molti i parametri da valutare, studiare e cambiare per ottenere un risultato soddisfacente. Certo è che non si tratta di un cambiamento veloce, ma richiede il tempo necessario a cambiare il paradigma a cui siamo abituati. L’accessibilità a terapie innovative e salvavita è indispensabile anche nei Paesi con un reddito inferiore: il diritto alla salute non deve – o, meglio, non dovrebbe – mai dipendere dalle possibilità economiche del singolo.

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