Emanuele Angelucci

Una ricerca dell’IRCCS Policlinico San Martino di Genova porta in evidenza le correlazioni tra gli esiti di questo esame e la comparsa di effetti collaterali dovuti alla terapia oncologica 

Come dimostra la storia di CRISPR e dell’editing del genoma ogni nuova scoperta innesca profonde discussioni, solleva dubbi e pone interrogativi. Il momento dell’eureka! rappresenta un punto di svolta verso una direzione mai percorsa prima, della quale occorre esplorare sia i vantaggi che gli svantaggi. Tutto ciò vale anche per le terapie a base di cellule CAR-T la cui efficacia nel trattamento di forme tumorali resistenti alle cure standard e per cui non esistevano alternative è controbilanciata da alcuni limiti: primo su tutti quello dei possibili eventi avversi. Una ricerca che ha coinvolto la professoressa Silvia Morbelli e il professor Emanuele Angelucci, dell’IRCCS Policlinico San Martino di Genova, ha offerto l’occasione per meglio inquadrare i meccanismi che conducono all’insorgenza degli effetti collaterali legati a tali innovative terapie.

In un recente articolo pubblicato sulle pagine della rivista Journal of Neuroimaging i ricercatori dell’istituto scientifico di cura e ricerca genovese hanno analizzato le immagini delle PET dei pazienti sottoposti a terapia con CAR-T alla ricerca di indizi per definire i contorni di eventi avversi legati al trattamento come la ICANS (Immune-effector Cell-Associated Neurotoxicity Syndrome).

TERAPIE CAR-T E NEURO-TOSSICITÀ

Con l’acronimo ICANS si definisce una serie di eventi neurologici che possono insorgere in circa un terzo dei pazienti trattati con le terapie a base di cellule CAR-T attualmente in commercio. “Come ogni nuova forma di trattamento che abbia grandi potenzialità, anche le CAR-T implicano un certo livello di rischio e possono indurre complicanze, a volte piuttosto gravi”, afferma il prof. Emanuele Angelucci, Direttore dell’U.O.C di Ematologia e Terapie Cellulari presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova. 

Infatti, ogni terapia che sfrutti percorsi innovativi per contrastare malattie neoplastiche (o non neoplastiche) introduce qualcosa nell’organismo e può associarsi ad effetti collaterali: nello specifico caso delle CAR-T oltre alla sindrome da rilascio delle citochine - che consiste in una reazione infiammatoria sistemica incontrollata - l’altro evento collaterale più rilevante e diffuso è l’ICANS: si tratta di una sindrome neurologica che insorge nei giorni o nelle settimane successive all’infusione e si presenta con manifestazioni che vanno dalla cefalea fino al disorientamento e all’incapacità di esprimersi correttamente. Nei casi più gravi provoca crisi epilettiche, encefalopatia e edema cerebrale.

“Per i medici passare dalla chemioterapia citotossica o citolitica a terapie di ultima generazione, con cellule geneticamente modificate per combattere i tumori, ha avuto il sapore di un’autentica sfida”, prosegue Angelucci. “E lo è ancora di più in riferimento alle forme di tossicità a breve e lungo termine che possono essere associate a queste terapie. Comprendere i meccanismi patologici legati ad effetti collaterali come l’ICANS e inquadrarne i fattori di rischio è indispensabile per usare al meglio trattamenti efficaci come le CAR-T”. 

IL VALORE DELLA MEDICINA NUCLEARE

In questo contesto i ricercatori genovesi hanno concentrato la loro attenzione su un particolare esame strumentale, la PET/CT con 18F-FDG, che per protocollo i pazienti sottoposti a CAR-T eseguono sia prima del trattamento che un mese dopo l’infusione delle cellule ingegnerizzate, allo scopo di procedere con la ri-stadiazione del tumore. “In oncologia il ruolo della PET/CT total body per lo studio dei linfomi è ormai consolidato”, puntualizza Silvia Morbelli, professoressa presso l’Università degli Studi di Genova e in forza al reparto di Medicina Nucleare presso l’IRCCS Policlinico San Martino di Genova. “In ambito neurologico questo esame è altrettanto importante dal momento che la corteccia cerebrale utilizza il glucosio per molte delle sue funzioni. Di conseguenza, nel nostro studio abbiamo ipotizzato che in presenza di un’importante alterazione dello stato di coscienza, preceduta da disturbi neurologici di vario genere, potessero presentarsi disfunzioni del metabolismo tali da giustificare uno stato di neurotossicità”. 

Per verificare se nei pazienti che sviluppavano l’ICANS dopo terapia fossero presenti dei segnali alla PET utili a identificare il meccanismo patologico di questa sindrome neurologica, il team del Policlinico San Martino ha arruolato 21 pazienti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) recidivante o refrattario alle terapie e sottoposti a CAR-T. Tutti avevano ricevuto un regime di terapia linfodepletiva a base di ciclofosfamide o fludarabina ed eseguito la PET/CT con 18F-FDG (Fluoro-DesossiGlucosio) prima dell’inizio del trattamento e 30 giorni dopo la sua conclusione. Il 18F-FDG è un radiofarmaco sicuro e ben tollerato, necessario per valutare la risposta metabolica del tumore, permettendo di metterla così in relazione alla sua aggressività.

“Nella letteratura scientifica abbiamo trovato alcuni case report nei quali erano descritti stati di ipometabolismo in pazienti che avevano sviluppato neurotossicità in risposta alle CAR-T”, prosegue Morbelli. “Ci siamo chiesti se anche i nostri pazienti con ICANS avessero sviluppato aree di ipometabolismo, a testimonianza della presenza di una sofferenza neuronale e sinaptica dovuta alla sindrome neurologica. Questo aspetto era particolarmente interessante nel confronto con coloro che non avevano avuto effetti collaterali dopo l’infusione con le CAR-T e soprattutto rispetto a quanti avevano sviluppato una sindrome da rilascio delle citochine (CRS)”.

LA “FIRMA” DELL’ICANS

Utilizzando un software dedicato (Statistical Parametric Mapping v.12 (SPM12) e confrontando le PET cerebrali dei pazienti, i ricercatori hanno individuato la presenza di specifiche tracce di ipometabolismo a livello della corteccia frontale nei pazienti con ICANS. “Le aree corticali frontali si sono rivelate più suscettibili al danno da ICANS ma questa alterazione non è presente nei pazienti con CRS”, precisa Morbelli. “È una sorta di ‘firma’ e, nel proseguo delle indagini cliniche, ci aiuterà a comprendere se la PET effettuata prima della somministrazione delle CAR-T ne porti traccia e possa aiutare a distinguere i pazienti maggiormente a rischio per questa condizione. In uno scenario successivo, inoltre, potrebbe costituire un correlato funzionale organico di questa sindrome in grado di fornire informazioni prognostiche a medio termine, come avviene tuttora nel caso delle encefalopatie autoimmuni in cui è la PET fornire informazioni rilevanti anche rispetto all’insorgenza di sintomi cognitivi a lungo termine”.

In aggiunta a ciò, nello studio dei ricercatori del San Martino sono stati considerati importanti indicatori - quali il volume metabolico del tumore (MTV) e la glicolisi totale della lesione (TLG) - allo scopo di caratterizzare al meglio il profilo dei pazienti, il rischio di neurotossicità e la risposta al trattamento. “Abbiamo anche abbinato alla PET/CT total body una valutazione dell’encefalo”, precisa la professoressa ligure. “In termini pratici si tratta dell’aggiunta di pochi minuti (dai 5 ai 12 minuti, a seconda del livello tecnologico del tomografo PET, n.d.r.) per ottenere un’acquisizione mirata dell’encefalo e dedurre così informazioni dettagliate da correlare a quelle sul trattamento”. Pochi minuti in più che possono fare la differenza.

ALLA RICERCA DI BIOMARCATORI PREDITTIVI

Non si sa ancora a cosa siano dovuti i fenomeni di neurotossicità che colpiscono alcuni pazienti trattati con le CAR-T: potrebbero essere legati alle proprietà del liquido di conservazione delle cellule, oppure essere dovuti ai trattamenti precedenti alla loro somministrazione usati per ridurre al minimo il livello di malattia; potrebbero essere legati al dosaggio delle CAR-T, alla procedura di espansione oppure essere dovuti al rilascio di molecole tossiche successive alla distruzione di una grande quantità di cellule tumorali. Ogni nuovo trattamento che alteri la fisiologia dell’organismo può avere delle conseguenze sullo stesso, perciò è fondamentale continuare a studiare fenomeni come quelli della sindrome da rilascio delle citochine o delle ICANS.

“Osservare la localizzazione in distinte sedi encefaliche di alterazioni specificamente visibili con la PET ci permetterà di indagare meglio i meccanismi fisiopatologici di certi eventi avversi”, conclude Angelucci. “Da qui potremmo iniziare per ottenere biomarcatori predittivi con cui stratificare i pazienti e capire chi sia più propenso a sviluppare queste complicanze, prediligendo per queste persone un più adatto trattamento alternativo. Inoltre potremmo anche fare passi in avanti per comprendere i meccanismi fisiopatologici della complicanza che, in questo caso, non ci sono ancora completamente chiari”. Un passaggio obbligato per potenziare la sicurezza delle CAR-T e delle terapie avanzate in generale.

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