Paul Gissen, terapia genica, pazienti, trial clinici

Secondo Paul Gissen del Great Ormond Street Institute è necessario gestire bene l’informazione ai pazienti e avviare una collaborazione con e tra specialisti 

La realizzazione degli studi clinici con terapie avanzate per malattie rare che aspettano da molto tempo soluzioni comporta l'identificazione e il superamento di ostacoli non solo scientifici, che sono quelli facilmente intuibili, ma anche operativi, che riguardano in primo luogo i pazienti. Lo sostiene Paul Gissen, Professore di Medicina Metabolica e Direttore dell’area terapia genica e cellule staminali presso l’ospedale pediatrico Great Ormond Street di Londra. Gissen ha condiviso la sua prospettiva con medici e ricercatori nel corso del convegno Advanced Therapies, che si è tenuto a Londra lo scorso 19 e 20 marzo, nel tentativo di aiutare la comprensione degli ostacoli che ancora esistono per l’avvio di una sperimentazione clinica di questo tipo, e di far riflettere sui possibili approcci da attuare.

LA TERAPIA GENICA PER IL DEFICIT DI ORNITINA TRANSCARBAMILASI 

Il deficit di ornitina transcarbamilasi (OTCD) non una malattia qualunque nel settore delle terapie avanzate, visto che il primo decesso avvenuto nel corso di una delle sperimentazione cliniche pioniere per la terapia genica fu, 25 anni fa, quello di Jesse Gelsinger, un ragazzo anni affetto da OTCD (ne abbiamo parlato qui). Un esito fatale che ha causato un terremoto nell’ambito di quello che sarebbe diventato una rivoluzione biomedica: per quasi un decennio la ricerca sul fronte della terapia genica ha subito una battuta d’arresto.

Il deficit di ornitina transcarbamilasi (OTCD) è una malattia metabolica ereditaria del fegato che impedisce al corpo di mantenere livelli normali di ammoniaca ed è dovuta alla mancanza completa o parziale dell'enzima ornitina transcarbamilasi (OTC). Il trapianto di fegato per le persone con OTCD può salvare la vita, ma può essere necessaria una lunga attesa per un fegato compatibile e i danni neurologici possono verificarsi prima che il trapianto sia possibile. 

Il Great Ormond Street di Londra è l’unico centro clinico in cui si sta svolgendo il trial di Fase I/II HORACE con la terapia genica sperimentale AAVLK03hOTC (BGT-OTCD) sviluppata dall’azienda Bloomsbury Genetic Therapies Limited per il deficit di ornitina transcarbamilasi. Il trial, coordinato dal prof. Gessin, è progettato per testare la sicurezza e l’efficacia di BGT-OTC su 12 pazienti pediatrici. La terapia, che ha recentemente ottenuto la Designazione per Malattie Pediatriche Rare dalla Food and Drug administratio (FDA) statunitense, mira specificamente al fegato per consentirgli di iniziare a produrre OTC. L’obiettivo è riuscire ad aiutare il fegato a funzionare normalmente, riducendo l’iperproduzione di ammoniaca e i rischi associati, con un'unica somministrazione (one shot) della terapia genica. Un "ponte al trapianto", per permetterebbe ai bambini e ragazzi di crescere in una condizione metabolicamente stabile fino a quando non sia possibile un trapianto di fegato.

Il reclutamento della popolazione pediatrica nel Regno Unito è iniziato a novembre del 2023: “in uno scenario simile, sono numerosi gli aspetti su cui lavorare per poter riuscire ad iniziare e portare a termine lo studio clinico”, ha affermato Gissen.

CRITICITÀ E CONSIDERAZIONI PER L’AVVIO DI UNO STUDIO CLINICO

Il coinvolgimento dei pazienti rappresenta il principale ostacolo nello sviluppo di farmaci, essendo una fase critica che richiede il 30% del tempo clinico e di attivarsi con anticipo", ha spiegato Gissen. “Oltre l'80% delle sperimentazioni globali non si conclude nei tempi previsti a causa di difficoltà nel reclutamento, con l'85-95% dei giorni di studio persi”.

Quali sono le cause del fallimento? “Questa problematica emerge spesso da una pianificazione insufficiente e da criteri di reclutamento troppo restrittivi. Ad esempio, la mancata assegnazione di fondi per il reclutamento da più centri può compromettere gravemente lo studio. Infine, scadenze non realistiche imposte dagli investigatori aggravano ulteriormente il problema”, ha ammesso Gissen, che è entrato poi nel dettaglio.

“Nell'ambito delle malattie rare, il limitato numero di pazienti richiede spesso il reclutamento internazionale per condurre studi clinici efficaci. Nella mia esperienza specifica, il reclutamento non si limita ai pazienti del Regno Unito; è necessario estenderlo a livello globale. Questa necessità impatta direttamente sul finanziamento degli studi. Recentemente, abbiamo dovuto selezionare pazienti da aree geografiche estese, dall'Arabia Saudita all'Europa, con Turchia e Spagna che emergono come principali contributori al nostro pool di pazienti”. 

Uno scenario tipico per quelle malattie che affliggono solo un'esigua minoranza di individui su scala mondiale. La rarità di queste condizioni implica, inoltre, una disponibilità limitata di investigatori con l'esperienza necessaria. “Sebbene alcuni di questi possano avere una profonda conoscenza della patologia specifica, potrebbero non avere l'esperienza richiesta nella gestione di sperimentazioni cliniche, che presenta complessità notevoli. Questo divario tra conoscenza specialistica e competenza nella conduzione di trial rappresenta una sfida”.

LA PERCEZIONE NEGATIVA DEI TRIAL E LA MANCATA GESTIONE DELL’INFORMAZIONE

“Il coinvolgimento dei pazienti per studi clinici si scontra spesso con una serie di ostacoli, tra cui la percezione negativa delle sperimentazioni da parte dei media e di alcuni colleghi clinici, che può influenzare la decisione dei pazienti di partecipare”, ha sottolineato Gissen. “Il 70% dei pazienti eleggibili opta per non partecipare a causa di preoccupazioni sugli effetti collaterali, la distanza dai centri di sperimentazione, e la mancanza di informazioni o di supporto finanziario per il viaggio. Queste barriere, insieme alle raccomandazioni dei clinici di attendere fasi successive del trial o dosi più elevate, complicano notevolmente il processo di reclutamento”.

Le malattie per cui è più facile coinvolgere i pazienti sono quelle senza terapie alternative disponibili, come le condizioni neurodegenerative gravi. “Inoltre, alcuni Paesi – ha ricordato il pediatra inglese - partecipare ad una sperimentazione può significare accesso a cure di qualità superiore o incidere sulla copertura assicurativa, fattori che possono influenzare la decisione di partecipare”.

POSSIBILI APPROCCI E SOLUZIONI

Le strategie efficaci per un adeguato coinvolgimento dei pazienti negli studi clinici includono la generazione di fiducia attraverso la partecipazione ad incontri informativi e l'impegno precoce con gli investigatori dei trial e altri clinici che trattano pazienti con le stesse condizioni.

L'utilizzo di registri di patologie, quando disponibili, e la collaborazione con le associazioni di pazienti sono essenziali, specialmente nel contesto delle malattie rare, dove queste organizzazioni possono diventare alleati chiave”, ha sottolineato il prof. Gissen che, nell’ambito della comunicazione, invita a considerare il ruolo dei social media. “Rappresentano un'arena significativa, con il potenziale sia di promuovere positivamente che di danneggiare lo studio a causa di disinformazione o commenti negativi. La gestione di questi canali, pur riconoscendo l'impossibilità di un controllo totale, è fondamentale”.

In questo contesto si pongono anche questioni etiche, soprattutto in termini di confidenzialità e la distinzione tra informare e fare pubblicità ai pazienti sugli studi clinici, in particolare nelle malattie rare. “La chiarezza sui conflitti di interesse è cruciale, così come la necessità di mantenere l'imparzialità nel processo di consenso, specialmente quando si tratta di popolazioni vulnerabili. Questi elementi sottolineano la complessità e l'importanza di un approccio ponderato e responsabile nel reclutamento per i trial”.

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