CAR-T, migrazione, pazienti

Davide Petruzzelli (La Lampada di Aladino ETS): “È necessaria una rete di centri che garantisca equo accesso ai malati, con particolare attenzione alla distribuzione geografica”

Cosa accade a una terapia avanzata - quale potrebbe essere una terapia a base di cellule CAR-T - una volta ottenuta l’autorizzazione e la rimborsabilità da parte dell’AIFA? Di norma l’approvazione di una  terapia molto attesa attrae l’attenzione del pubblico facendo tirare un sospiro di sollievo ai pazienti, ma i più esperti di loro sanno bene che ciò ancora non significa poter accedere al farmaco. La concreta disponibilità di una terapia complessa, come nel caso delle CAR-T, è legata a una catena di pratiche burocratiche ed organizzative che (purtroppo) esigono tempo e possono creare disparità tra Regioni. Questo solleva problemi di accesso tali da obbligare i pazienti a “migrare” da una Regione all’altra, in un percorso tortuoso, tra mille ostacoli. Un problema che sta molto a cuore a Davide Petruzzelli, Presidente dell’Associazione La Lampada di Aladino ETS.

DIFFERENZE REGIONALI E “MIGRAZIONE" DEI MALATI 

Ex-paziente affetto da linfoma, Davide Petruzzelli dopo essere guarito ha deciso di fondare l’associazione La Lampada di Aladino e da venticinque anni, ogni giorno, rivolge le sue attenzioni alle persone che, come lui, hanno ricevuto una diagnosi oncologica. Dalla sua prospettiva è in grado di esaminare meglio di altri le lacune del complicato meccanismo tramite cui i nuovi farmaci dovrebbero arrivare al letto dei malati, per poter individuare possibili soluzioni da condividere con gli addetti ai lavori. “L’ematologia oncologica, più di altre discipline, è al centro di una fase di forte fermento in cui l’innovazione terapeutica sta cambiando l’evoluzione di diverse malattie, e di conseguenza le storie delle persone che le vivono”, afferma Petruzzelli. “Serve però un cambio di passo nella presa in carico dei malati, per far sì che il nuovo approccio sia completo e di qualità. Le CAR-T ne sono un esempio paradigmatico: non essendo un farmaco classico bensì un processo, esse hanno necessità complesse da un punto di vista gestionale e organizzativo. L’Italia è un Paese di eccellenza nella cura dei tumori del sangue in cui, purtroppo, si manifestano differenze assistenziali storicamente derivanti dalla regionalizzazione del sistema sanitario che ancora non trovano adeguate risposte”. 

Un tale concetto era stato sottolineato anche in un’intervista di qualche giorno fa rilasciata da Francesco Cognetti a La Stampa, nella quale l’oncologo di fama internazionale riguardo alle terapie personalizzate che oggi sbarcano sul mercato asseriva che si stanno verificando “diseguaglianze territoriali inaccettabili”. Infatti, una volta autorizzati dall’AIFA i nuovi farmaci vengono inseriti rapidamente nei prontuari farmaceutici di alcune Regioni ma non di altre, per risparmiare sui costi  - che nel caso delle terapie avanzate sono elevati. Questo inevitabilmente provoca un “esodo di pazienti dalle Regioni in difficoltà verso quelle con una sanità più efficiente”.

IL NODO CART-T 

Da alcuni anni il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è entrato in una fase delicata, contrassegnata da massicce contrazioni dei finanziamenti, riduzioni dei posti letto e perdite di medici che abbandonano il posto di lavoro nel servizio pubblico per rivolgersi al privato o espatriare verso Paesi in cui gli stipendi sono più alti. Se non si interviene presto e in maniera utile le conseguenze potrebbero essere drammatiche. L’inserimento delle terapie avanzate come le CAR-T nei prontuari farmaceutici costituisce una spinta verso un’offerta terapeutica affidabile e concreta ma bisogna superare una serie di criticità. “Stiamo vivendo una fase storica nella quale sono in atto sforzi per ridisegnare un SSN più prossimo al cittadino e che tenda al tempo stesso ai più elevati standard di assistenza, e non possiamo dimenticare come anche l’omogeneità di accesso rappresenti una determinante significativa di tale processo”, prosegue Petruzzelli. “Quando parliamo di accesso solitamente intendiamo quello regolatorio, ma ne esiste un altro, meno istituzionale ma altrettanto significativo per i malati, quello della vita reale”.

È stato già ampiamente dimostrato il peso specifico delle terapie a base di cellule CAR-T nella gestione di patologie onco-ematologiche - come il linfoma diffuso o la leucemia linfoblastica acuta a grandi cellule B oppure il mieloma multiplo - più volte recidivanti o refrattarie al trattamento ma, nonostante ciò, il panorama dei centri clinici accreditati rimane poco omogeneo, con molte più strutture presenti nel Nord rispetto al Sud-Italia. Circa un anno fa un’interrogazione parlamentare dell’On. Simona Loizzo (Lega) aveva scatenato il dibattito sui criteri di accreditamento dei centri che, in base al regolamento vigente, prevedono una certificazione del Centro Nazionale Trapianti secondo le direttive dell’Unione Europea e l’accreditamento JACIE 7.0 per i trapianti allogenici. In aggiunta a ciò serve un nucleo specializzato per il prelievo in aferesi e la crioconservazione del materiale biologico, nonché la disponibilità di posti letto in un reparto di terapia intensiva appositamente dedicato ai procedimenti di infusione delle CAR-T. Ultimo - ma non meno importante - requisito per una corretta e sicura somministrazione delle CAR-T è la disponibilità di personale qualificato e formato che sappia prendersi carico del paziente in un’ottica clinica multidisciplinare. “Le CAR-T, per le loro peculiarità, devono esser erogate in centri rispondenti a questi criteri di qualità ed eccellenza, ma è altresì determinante che tali centri siano distribuiti sul territorio”, precisa Petruzzelli. “Fondamentale nei percorsi di cura ad alta complessità come questo risulta essere la logica “Hub & Spoke”, ma al tempo stesso è necessario ridurre l’impatto della migrazione, che può diventare una determinante di mancato accesso al percorso di cura”.

DAL SUD AL NORD E VICEVERSA

Nel terzo volume del progetto Cell Therapy Open Source incentrato sul racconto delle esperienze dei pazienti abbiamo capito quanto spesso i malati si ritrovino a dover far riferimento a medici ed esperti presso ospedali spesso distanti chilometri dalle loro zone di residenza: da ciò consegue la necessità di spostarsi, trovare alloggi e strutture per periodi di tempo più o meno prolungati e, in certi casi, affrontare le (il)logiche regole di una burocrazia che complica le pratiche, e la vita, a chi è sottoposto al trattamento “fuori dalla loro Regione”. Essere un centro prescrittore di terapie a base di cellule CAR-T esige di saper rispondere a precise richieste organizzative e, per farlo, servono investimenti di natura economica e culturale, con l’adeguamento delle strutture e la creazione di team sanitari esperti, dedicati alla procedura.

In tutto ciò, occorre fissare sulla mappa i centri erogatori e collegarli attraverso una Rete di servizi rivolti ai malati e a chi li assiste. “È auspicabile la costituzione di una Rete di centri che garantisca un accesso il più equo e uniforme possibile, con particolare attenzione alla distribuzione geografica, in quanto non dobbiamo dimenticare che la mobilità sanitaria genera nei pazienti e nelle loro famiglie un impatto significativo su varie dimensioni: psicologica, logistica e non da ultimo economica”, conclude Petruzzelli. “La progettazione di modelli organizzativi efficienti oltremodo si dovrebbe inserire nell’impalcatura organizzativa generale, che parte dal Piano Oncologico Nazionale e dalle Reti Oncologiche ed Ematologiche Regionali che ne rappresentano la parte operativa, e giunge fino alla Rete Nazionale Tumori Rari con cui interagiranno. Un percorso ad alta complessità come quello delle CAR-T non può e non deve sfuggire a ciò, in una logica di efficienza ma anche di sostenibilità”.

La tematica dell’organizzazione dei centri clinici per l’accesso alle CAR-T è stata approfondita da Osservatorio Terapie Avanzate nel secondo volume del progetto Cell Therapy Open Source, scaricabile gratuitamente qui.

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