Trattare le malattie mirando alle basi genetiche

COME FUNZIONA LA TERAPIA GENICA?

Tra le diverse terapie avanzate e di precisione, la terapia genica è una delle prime ad essere state ideate e ha l’obiettivo di trattare una patologia mirando direttamente alle sue basi genetiche. Il concetto base di questa strategia terapeutica è di fornire all’organismo una copia corretta del gene difettoso o un altro gene che possa compensarne il malfunzionamento nelle cellule colpite dalla malattia. 

Esistono due principali modalità di somministrazione per la terapia genica: 

  • in vivo: il “gene terapeutico” viene somministrato direttamente nell’organismo del paziente, mediante un’iniezione per via locale (organo bersaglio) o per via sistemica (nella circolazione sanguigna);
  • ex vivo: la correzione avviene all’esterno dell’organismo del paziente. Infatti, le cellule bersaglio vengono prelevate dal paziente, modificate geneticamente, e reintrodotte nel paziente stesso. 

Per veicolare il “gene terapeutico” all’interno delle cellule o dell’organismo si utilizzano generalmente dei vettori virali: ad oggi i più utilizzati sono i vettori virali adeno-associati (AAV).

Il potenziale della terapia genica è di enorme portata poiché potrebbe rappresentare una cura per tutta una serie di gravissime malattie per cui oggi non esistono valide opzioni terapeutiche o che richiedono terapie croniche. Ad oggi la ricerca nell’ambito della terapia genica spazia dalle malattie genetiche, in particolar modo quelle rare, al cancro, passando per le malattie autoimmuni e le malattie infettive.

Il concetto di terapia genica nasce alla fine degli anni ‘80 con le nuove tecniche del DNA ricombinante che permettono di costruire pezzi di DNA contenenti sequenze geniche desiderate. Ma è solo negli ultimi anni, con il sequenziamento del genoma e l’avanzare delle biotecnologie, che si sono cominciati a vedere i primi importanti risultati nelle sperimentazioni sull’uomo e le prime terapie geniche autorizzate dall’European Medicines Agency (EMA) in Europa e della Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti. In questo ambito l’Italia ha una posizione di eccellenza a livello internazionale: sono diverse le terapie avanzate frutto di ricerche all'avanguardia "made in Italy".

Un nuovo grave evento avverso riapre la discussione sulla sicurezza. Rendere più restrittiva la selezione dei pazienti è il primo passo, mentre rimangono dubbi sul limite della dose massima 

È di settembre la notizia della morte di un ragazzo affetto da miopatia miotubulare legata all'X che stava partecipando ad uno studio clinico progettato per testare la sicurezza e l’efficacia della terapia genica sperimentale AT132. Si tratta purtroppo del quarto decesso tra i pazienti arruolati nel trial clinico. I primi tre erano avvenuti tra marzo e agosto del 2020 (ne avevamo scritto qui) portando l’agenzia regolatoria statunitense (FDA) a sospendere la sperimentazione clinica. Lo studio era poi ripartito a dicembre dello stesso anno con una modifica della dose di trattamento, ridotta della metà. Per nessuno dei quattro giovani pazienti è stato chiarito il legame tra la loro morte e il trattamento con la terapia genica, ma il caso riapre la discussione su cosa sia opportuno fare per ridurre i rischi. 

Delivery

Il sistema SEND, ideato da uno dei pionieri di CRISPR, apre la strada a una nuova classe di metodi per veicolare terapie molecolari. È programmabile, mirato e sicuro

Una delle sfide più ambiziose nel mondo delle biotecnologie moderne è la messa a punto di nuovi ed efficaci sistemi di “delivery”, ovvero sistemi di trasporto delle molecole di DNA e RNA all’interno delle cellule bersaglio per determinate terapie. La ricerca in questo settore si spinge verso nuove frontiere: nanoparticelle polimeriche, liposomi, nanotubi in carbonio - e molto altro ancora - sono in fase di sperimentazione per il trasporto di acidi nucleici, e non solo. Un gruppo di ricerca guidato da Feng Zhang del Broad Institute del MIT ha sviluppato un nuovo sistema di trasporto di terapie basate su mRNA che sfrutta una proteina umana chiamata PEG10. Lo studio è stato pubblicato ad agosto su Science.

Terapia genica in utero

Forse in futuro il DNA si correggerà direttamente nel feto. Gli studi preclinici ci sono, ma l’applicazione sull’essere umano è ancora precoce e porta con sé diverse questioni etiche

Uno studio pubblicato a luglio su Nature Medicine ha aggiunto un tassello alla ricerca sull’utilizzo delle terapie geniche in utero per correggere i difetti genetici che causano malattie potenzialmente letali per il bambino. I ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia hanno usato l’editing genomico in laboratorio su animali modello per correggere la sindrome di Hurler, la forma più grave della mucopolisaccaridosi di tipo 1, direttamente nel feto. La terapia genica in utero ha il potenziale di trattare alcune malattie prima della nascita. Partendo da questa recente pubblicazione, Osservatorio Terapie Avanzate prova a fare il punto della situazione su questa nuova frontiera della medicina.

Marco Cappa e Valentina Fasano

L’approvazione riguarda i pazienti di età inferiore ai 18 anni affetti dalla forma precoce della patologia. Un importante traguardo che sottolinea il valore dello screening neonatale

Dalla fine degli anni Ottanta, ogni discussione in merito al trattamento dell’adrenoleucodistrofia trovava sbocco nel sospirato motto “waiting for gene therapy”, aspettando la terapia genica. Ebbene, da adesso una terapia genica destinata a combattere la forma neurologica precoce diventa realtà. È del 19 luglio la notizia che elivaldogene autotemcel - trattamento “one shot” sviluppato da  bluebird bio con il nome commerciale Skysona  – ha ricevuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) dalla Commissione Europea (CE). Ciò rappresenta il passaggio finale di un percorso iniziato molti anni prima con gli studi preclinici e che, dopo infinite difficoltà e ingenti investimenti, rende disponibile una terapia innovativa per tutti quei pazienti senza possibilità di cura.

Neuroni

Nel trial clinico di Fase I i bambini colpiti dal deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici sottoposti a terapia sperimentale hanno dimostrato un miglioramento delle funzioni motorie

Senza l'enzima AADC funzionante, il corpo non può produrre alcuni neurotrasmettitori, molecole che servono come messaggeri tra le cellule nervose. Questo interrompe la comunicazione tra il cervello e altre parti del corpo, ostacolando il normale sviluppo e causando diversi sintomi specifici, tra cui debolezza muscolare e movimenti incontrollabili di mani e piedi. Il deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici (AADC) è una malattia genetica rara caratterizzata proprio da una carenza di questo enzima fondamentale ed è protagonista di uno studio sulla terapia genica che ha l’obiettivo di fornire all’organismo una copia sana del gene DDC. Stando all’articolo pubblicato su Nature Communications lo scorso 12 luglio, i risultati sembrano incoraggianti.

Marco Zecca e Valentino Orlandi

Il Comitato di Valutazione del Rischio per la Farmacovigilanza (PRAC) dell’EMA ha confermato che il rapporto rischio-beneficio è a favore di betibeglogene autotemcel

Non esistono prove a supporto che betibeglogene autotemcel (beti-cel) - più noto con il nome di Zynteglo - possa causare l’insorgenza di leucemia mieloide acuta. Con questa notizia, la terapia genica sviluppata da bluebird bio per il trattamento dei pazienti affetti da beta-talassemia trasfusione dipendente (TDT) viene definitivamente scagionata dalle accuse e può tornare ad essere disponibile per i pazienti. Cinque mesi fa, infatti, l’azienda aveva volontariamente sospeso la commercializzazione del farmaco - approvato dalla Commissione Europea nel 2019 - per sottoporlo ad approfondimenti in seguito a una reazione avversa grave emersa in due studi clinici sull’anemia falciforme nei quali era impiegato lo stesso tipo di vettore virale usato per betibeglogene autotemcel.

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