Nel trial clinico di Fase I i bambini colpiti dal deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici sottoposti a terapia sperimentale hanno dimostrato un miglioramento delle funzioni motorie
Senza l'enzima AADC funzionante, il corpo non può produrre alcuni neurotrasmettitori, molecole che servono come messaggeri tra le cellule nervose. Questo interrompe la comunicazione tra il cervello e altre parti del corpo, ostacolando il normale sviluppo e causando diversi sintomi specifici, tra cui debolezza muscolare e movimenti incontrollabili di mani e piedi. Il deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici (AADC) è una malattia genetica rara caratterizzata proprio da una carenza di questo enzima fondamentale ed è protagonista di uno studio sulla terapia genica che ha l’obiettivo di fornire all’organismo una copia sana del gene DDC. Stando all’articolo pubblicato su Nature Communications lo scorso 12 luglio, i risultati sembrano incoraggianti.
IL DEFICIT DI DECARBOSSILASI DEGLI L-AMINOACIDI AROMATICI
Il deficit di decarbossilasi degli L-aminoacidi aromatici (AADC) è una rara patologia genetica dall’incidenza poco nota – ad oggi sono meno di 150 i casi noti in letteratura, in maggior numero in Asia - che porta le persone affette a non essere in grado di mangiare, parlare o camminare da sole. È caratterizzato da una carenza nella sintesi di neurotrasmettitori, che causa fin dai primi mesi di vita una grave compromissione dello sviluppo e delle attività motorie, disturbi comportamentali - comprese le crisi oculogire (sintomo caratteristico della malattia che comporta uno sguardo fisso involontario verso l'alto che può durare per ore e può essere accompagnato da convulsioni) - disturbi del sonno e dell'umore. La malattia può, inoltre, portare a morte prematura.
Il deficit di AADC è causato da un difetto nel gene DDC: questo porta ad una carenza nella produzione dell’enzima AADC, a cui consegue una grave deficienza combinata dei neurotrasmettitori dopamina, serotonina, noradrenalina ed epinefrina poiché i piccoli pazienti non possono metabolizzare la levodopa in dopamina. La levodopa è, infatti, il precursore del neurotrasmettitore dopamina e agisce attraversando la barriera ematoencefalica per entrare nei neuroni dopaminergici, dove viene rapidamente convertito in dopamina supplendo così a sue carenze. Proprio per questo motivo, in genere, i pazienti non rispondono al trattamento con levodopa (il precursore della dopamina, appunto) somministrata come farmaco e traggono poco o nessun beneficio da altre terapie mediche.
LO STUDIO CLINICO STATUNITENSE DELLA UNIVERSITY OF CALIFORNIA SAN FRANCISCO
I ricercatori statunitensi hanno sviluppato un metodo per fornire una copia sana del gene DDC ad aree specifiche del cervello in modo che le cellule producano l'enzima mancante. La strategia è basata su una terapia genica in vivo sperimentale (AAV2-hAADC), in cui viene utilizzato un vettore virale (un virus adeno-associato) per veicolare il gene DDC in una zona precisa del cervello, il mesencefalo. L’obiettivo è aumentare l’attività enzimatica nei neuroni dopaminergici e salvare la neurotrasmissione. La sicurezza e l’efficacia preliminare della terapia sperimentale sono stati valutati con un trial clinico di Fase I condotto all’Università della California di San Francisco. Gli obiettivi primari erano quelli relativi alla sicurezza e alla conferma del ripristino dell’attività di AADC nel cervello, mentre i secondari erano la valutazione del miglioramento clinico dei bambini.
I chirurghi coinvolti nello studio hanno usato la risonanza magnetica per guidare un ago e trasportare il vettore virale che porta copie sane del gene DDC in profondità nel mesencefalo. La sperimentazione ha coinvolto 7 bambini (4 femmine e 3 maschi) di età compresa tra i 4 e i 9 anni con diagnosi di deficit di AADC. L'infusione diretta di AAV2-hAADC, in 3 casi una dose inferiore e in 4 una maggiore, si è dimostrata sicura e ben tollerata e i pazienti hanno recuperato la capacità di produrre l’enzima. Le crisi oculogire si sono risolte completamente in 6 dei 7 pazienti entro 3 mesi dall'intervento. A distanza di un anno, 6 bambini hanno acquisito un normale controllo della testa e 4 potevano sedersi autonomamente. Dopo 18 mesi, 2 soggetti potevano camminare con un supporto a due mani e un bambino era in grado di camminare senza supporto dopo due anni e mezzo.
I risultati sono quindi molto promettenti: dopo la procedura tutti i bambini che hanno partecipato alla sperimentazione clinica hanno mostrato una diminuzione dei sintomi e un miglioramento della funzione motoria. I partecipanti al trial clinico hanno anche sperimentato meno disturbi legati al sonno e alle difficoltà di alimentazione e i caregiver hanno riportato miglioramenti sostenuti dell'umore. I progressi nella funzione motoria si sono sviluppati in un arco di tempo più lungo e il tasso di miglioramento variava notevolmente tra i bambini.
IN ATTESA DELLA VALUTAZIONE DI UN’ALTRA TERAPIA GENICA
Attualmente non esiste una cura definitiva per il deficit di AADC, ma solo terapie indicate per la gestione dei sintomi. Negli ultimi anni, però, l’attenzione per il deficit di AADC e la ricerca sulle terapie avanzate, specialmente su quelle geniche, sono aumentate. Infatti, una terapia genica per il deficit di L-amminoacido aromatico decarbossilasi ha già superato alcune fasi della sperimentazione clinica ed è attualmente in valutazione da parte dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) per l’autorizzazione in commercio. Si tratta di eladocagene exuparvovec, terapia genica sviluppata da PTC Therapeutics (di cui abbiamo parlato qui), e il parere dell’EMA dovrebbe arrivare entro fine anno, come indicato dal Rapporto Orizzonte Farmaci pubblicato dall’AIFA. Anche in questo caso si tratta di un trattamento one-shot basato su un vettore adeno-associato ma, a differenza della terapia genica precedentemente descritta, mira a una regione del cervello diversa, il putamen.
La terapia genica è un approccio terapeutico potenzialmente rivoluzionario per molte malattie umane, incluse quelle neurometaboliche ereditarie: studi che valutano diverse modalità di trattamento permetteranno di aumentare le conoscenze a disposizione e di perfezionare le tecniche, sperando in una più ampia applicazione.