Marco Cappa e Valentina Fasano

L’approvazione riguarda i pazienti di età inferiore ai 18 anni affetti dalla forma precoce della patologia. Un importante traguardo che sottolinea il valore dello screening neonatale

Dalla fine degli anni Ottanta, ogni discussione in merito al trattamento dell’adrenoleucodistrofia trovava sbocco nel sospirato motto “waiting for gene therapy”, aspettando la terapia genica. Ebbene, da adesso una terapia genica destinata a combattere la forma neurologica precoce diventa realtà. È del 19 luglio la notizia che elivaldogene autotemcel - trattamento “one shot” sviluppato da  bluebird bio con il nome commerciale Skysona  – ha ricevuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) dalla Commissione Europea (CE). Ciò rappresenta il passaggio finale di un percorso iniziato molti anni prima con gli studi preclinici e che, dopo infinite difficoltà e ingenti investimenti, rende disponibile una terapia innovativa per tutti quei pazienti senza possibilità di cura.

Un paio di mesi fa il Comitato per i Medicinali ad Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) aveva emesso un responso positivo in merito all’utilizzo di elivaldogene autotemcel (noto anche come Lenti-D) in pazienti di età inferiore a 18 anni affetti da adrenoleucodistrofia cerebrale (CALD) e per i quali non sia disponibile un donatore di cellule staminali ematopoietiche HLA-compatibile. Adesso, questa terapia ha superato anche l’ultimo passaggio e ha tagliato il traguardo dell’approvazione da parte della Commissione Europea.

“È un traguardo emozionante, importantissimo per i pazienti, per la comunità scientifica e per la popolazione in generale”, dichiara Valentina Fasano, Presidente dell’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia - AIALD Onlus. “Non solo apre un nuovo capitolo nella storia della adrenoleucodistrofia, ma anche nella storia della medicina. Se pensiamo che fino a qualche anno fa di adrenoleucodistrofia non si parlava nemmeno, questo risultato cambia la prospettiva di cura della patologia. E così, accanto al trapianto di cellule staminali da donatore - associato però a gravi complicanze per l’80% stimato di pazienti che non trovano un donatore compatibile - da oggi abbiamo una terapia genica per una patologia che può portare alla perdita progressiva e irreversibile delle funzioni neurologiche e alla morte”.

L'ADRENOLEUCODISTROFIA CEREBRALE

Un tale entusiasmo trova ragione proprio nella terribile natura di questa devastante malattia neurodegenerativa con trasmissione legata al cromosoma X per cui si stima che a livello globale colpisca un neonato maschio su 17-20mila. “Ciò significa che è una malattia molto meno rara di quanto si pensi”, spiega il dott. Marco Cappa, direttore dell’U.O.C. di Endocrinologia dell’IRCCS Istituto Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. “L’adrenoleucodistrofia ha un’espressione clinica variabile e può insorgere in età pediatrica, tra i 4 e i 6 anni, con severi sintomi neurologici (si parla allora di adrenoleucodistrofia cerebrale, N.d.R.) oppure, con le stesse caratteristiche, si può manifestare in età adolescenziale o in forma tardiva (si parla di adrenomieloneuropatia, N.d.R.) dopo la seconda decade di vita”.

La malattia è causata da mutazioni del gene ABCD1 in grado di alterare la produzione della proteina dell’adrenoleucodistrofia (nota come ALDP), causando un accumulo tossico di acidi grassi a catena molto lunga (VLCFA) soprattutto nella corteccia surrenale, nella sostanza bianca del cervello e nel midollo spinale. Come risultato di questo processo si ottiene la degenerazione della mielina che riveste i nervi e le cellule nervose deputate al pensiero e al controllo dei muscoli. Nei casi più gravi di malattia le aspettative di vita dei pazienti sono estremamente ridotte. “Una volta individuata la malattia e posta la diagnosi definitiva dobbiamo monitorare i pazienti, sottoponendoli a studi biochimici ed elettrofisiologici che includono la periodica esecuzione di risonanze magnetiche”, prosegue Cappa. “Sebbene ai pazienti venga prescritto uno speciale regime nutrizionale, non esiste alcuna terapia specifica al di fuori del trapianto di midollo osseo e, adesso, della terapia genica”.

L’IMPORTANZA DELLO SCREENING NEONATALE

Di conseguenza, risulta cruciale per i malati ricevere quanto prima una diagnosi certa di malattia poiché un celere avvio del protocollo di trattamento può fare la differenza: in questa chiave lo screening neonatale è uno strumento di fondamentale importanza perché consente di accedere ad una tempestiva instaurazione delle terapie disponibili. Purtroppo questa procedura non è applicata in diversi Paesi dell’Unione Europea e ciò rende difficoltoso identificare i pazienti a rischio di sviluppo della malattia. 

“Rimane fuori ancora una fetta di popolazione che non potrà beneficiare di un trattamento definitivo e penso a chi non riceve una diagnosi precoce, penso agli adulti, alle donne la cui espressione è più lieve”, prosegue Fasano. “Attualmente ancora non esiste un protocollo di screening neonatale per l’adrenoleucodistrofia ma AIALD, insieme ad AIULU - Associazione Italiana Leucodistrofie Unite e Malattie Rare, si batte per farlo divenire realtà. Infatti, stiamo sostenendo un progetto di studio sulla diagnosi precoce della X-ALD elaborato dal prof. Giancarlo La Marca e dal suo team della Azienda Ospedaliero-Universitaria ‘A. Meyer’ di Firenze che prevede la messa a punto di un metodo per identificare la condizione patologica in fase precoce e indirizzare il paziente verso la terapia più appropriata al proprio quadro clinico”.

“Infatti, l’applicazione dello screening neonatale dà la possibilità di iniziare subito l’intervento nutrizionale con la prescrizione di una dieta specifica e la somministrazione di olii capaci di abbassare i livelli di VLCFA”, aggiunge Cappa. “Questo offre la possibilità di ritardare l’insorgenza delle lesioni cerebrali. Lo screening neonatale dunque, non solo aiuta ad individuare i pazienti candidati alla terapia genica, ma permette di identificarli nel momento giusto e dà modo di intervenire sul piano nutrizionale per rallentare l’evoluzione rapida della malattia”.

L’ARRIVO DELLA TERAPIA GENICA

Elivaldogene autotemcel è una terapia genica ex vivo che si basa sull’uso di un vettore lentivirale per veicolare le copie funzionali del gene ABCD1 nelle cellule staminali ematopoietiche del paziente. Una terapia che mira alla causa sottostante lo sviluppo della CALD - permette infatti ai pazienti di produrre la proteina ALDP, che facilita la scomposizione dei VLCFA – e che, con una sola somministrazione (one shot), produce effetti benefici e perduranti per tutta la vita dei pazienti.

“Tuttavia, per poter accedere alla terapia genica i pazienti devono rispettare alcuni criteri clinici”, osserva Cappa. “Innanzitutto, non devono riportare lesioni cerebrali avanzate altrimenti sia il trapianto midollo che la terapia genica potrebbero dare conseguenze gravissime in fase di induzione. Perciò, in fase di risonanza magnetica, si attribuisce alle lesioni un punteggio (si parla di Loes Score, N.d.R.) al di sotto del quale entrambe le opportunità sono percorribili. Ma anche con un punteggio basso, le lesioni non devono presentare impregnazione da gadolinio, altrimenti ciò significa che è in atto un quadro di infiammazione incompatibile con la terapia. Ciò riduce notevolmente la numerosità dei pazienti che possono accedere a questa forma di terapia”.

Elementi che confermano con forza l’importanza dei protocolli di screening neonatale per individuare i pazienti prima che l’evoluzione della patologia impedisca l’accesso alla terapia genica, la quale favorisce la stabilizzazione della CALD, preservando il più possibile la funzione neurologica, inclusa la conservazione della funzione motoria e della capacità di comunicare.

“Auspichiamo, rappresentando la comunità dei pazienti, che vi sia chiarezza nelle informazioni durante tutto il processo della commercializzazione del farmaco, superando precocemente ogni forma di burocrazia che possa rallentare l’accesso alla cura, che sappiamo essere essenziale”, conclude Fasano. “Ed auspichiamo vi sia equità di trattamento, ossia che tutti abbiano la stessa possibilità di accedere alla terapia qualunque sia il Paese in cui vivono e il centro clinico in cui sono presi in carico. Come associazione, non desideriamo altro che essere di aiuto e sosterremo ogni forma di dialogo tra i pazienti e i clinici e l’azienda”.

L'Autorizzazione all' Immissione in Commercio di elivaldogene autotemcel è valida in tutti i 27 stati membri dell'Unione Europea, nonché in Norvegia, Liechtenstein e Islanda. Con questo semaforo verde, le terapie avanzate in commercio in Europa raggiungono quota 13 di cui ben 10 sono terapie geniche. È possibile scaricare qui la tabella realizzata da Osservatorio Terapie Avanzate, e puntualmente aggiornata, che illustra in maniera semplice ma esaustiva quali sono le terapie avanzate approvate in Europa e in Italia.

 

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