Editing

È atteso per il 2024 l’annuncio della prima sperimentazione umana con il “prime editing”, che promette di correggere il genoma in modo ancora più affidabile e versatile 

La versione standard di CRISPR utilizza una piccola molecola di RNA per identificare il sito da modificare sul DNA. Perché non usare lo stesso RNA per dettare anche la correzione, insomma per specificare cosa fare oltre che dove andare? Questa intuizione è sbocciata nella mente di un dottorando di medicina, Andrew Anzalone. La prima dimostrazione pratica è arrivata con un articolo pubblicato su Nature nel 2019, sotto la supervisione di David Liu (uno dei pionieri del “mondo CRISPR”). Da allora questa forma avanzata di editing è stata impiegata in centinaia di esperimenti per correggere ogni tipo di mutazioni in vitro e nei modelli animali. E adesso la biotech nata per realizzarne il potenziale terapeutico conta 18 candidati trattamenti nella sua pipeline.

Ma cominciamo dall’inizio, dal momento dell’eureka, rievocato dal diretto interessato in un’intervista-podcast poi pubblicata su GEN Biotechnology. Anzalone era ancora alla Columbia University quando è rimasto affascinato dai rapidi progressi in corso nel mondo di CRISPR. Nel 2012 esistevano soltanto le forbici molecolari (Cas9) inventate da Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, future vincitrici del Nobel. Ma tra il 2016 e il 2017 altre due giovani ricercatrici – Alexis Komor e Nicole Gaudelli – hanno messo a punto due varianti di seconda generazione della tecnica CRISPR, capaci di cambiare singole lettere sul genoma (le due pubblicazioni qui e qui). Questi correttori non tagliano entrambi i filamenti della doppia elica e dunque non sono equiparabili a forbici. Assomigliano piuttosto a un set di gomma e matita, utile per cancellare e riscrivere le singole lettere, rimediando ai refusi. Questo approccio CRISPR 2.0 si chiama “base editing”, ha il vantaggio di compiere meno errori rispetto alla modalità classica ed è già arrivato allo stadio della sperimentazione clinica in sei trial. Il suo principale limite sta nelle combinazioni disponibili: l’alfabeto del DNA è composto di quattro lettere e sarebbe utile poter effettuare tutte le dodici possibili conversioni, ma il base editing ne consente soltanto quattro. Quale trucco molecolare potrebbe realizzare l’intero repertorio delle trasformazioni possibili?

Nel suo libro “Riscrivere l’umanità” Kevin Davies non resiste alla tentazione di un paragone azzardato con l’invenzione della PCR. La notte in cui risolse il problema della replicazione a catena del DNA, l’eclettico Kary Mullis sfrecciava su un’auto in California, per raggiungere uno chalet nel bosco e cercare ispirazione in una bottiglia di vino. Anzalone invece ama passeggiare quando deve concentrarsi su un problema. Il giovane medico-ricercatore, dunque, cammina per Manhattan e rimugina. Niente alcolici né sostanze proibite, al massimo un po’ di caffeina. Il talento della Columbia University vuole sfruttare al meglio l’RNA, non solo come guida ma anche come stampo, rendendo CRISPR doppiamente programmabile, non solo per il targeting ma anche per l’editing. L’enzima Cas9 con le forbici parzialmente disattivate è la struttura portante per il base editing, è capace di trovare il bersaglio sul genoma grazie alla guida di RNA e di trasportare un altro enzima che può modificare chimicamente le lettere. Per aggiungere la nuova funzione sarà necessario caricare sulla Cas9 un enzima che riesca a trascrivere l’RNA in DNA (trascrittasi inversa). Per sviluppare l’idea della sua CRISPR 3.0 Anzalone si candida come postdoc nel laboratorio che aveva dato i natali a CRISPR 2.0, quello di David Liu al Broad Institute. Gli ostacoli tecnici non mancano, ma vengono miracolosamente superati uno alla volta già durante il suo primo anno da postdoc. Il risultato è un sistema simile alla funzione “trova-e-sostituisci” di word, applicabile all’intero repertorio di lettere. Nel paper di Nature sono descritte 175 operazioni di editing, tra cui 100 mutazioni puntiformi di ogni tipo possibile, inserzioni e delezioni di decine di basi e combinazioni dei vari tipi di interventi. “È come osservare Lionel Messi che fa lo slalom tra i difensori della squadra avversaria e intorno al portiere prima di infilare il pallone in rete”, scrive Davies nel suo libro. “Un nuovo eroe si unisce agli Avengers”, festeggia STAT News. Ecco i cinque punti forti dell’approccio, secondo Anzalone. La facilità con cui la piattaforma può essere adattata a scopi diversi cambiando le istruzioni impartite. La specificità, ovvero la possibilità di modificare solo il sito prescelto riducendo il rischio di correzioni fuori bersaglio (un effetto indesiderato del taglio della doppia elica che avviene con l’editing classico). La versatilità, poiché il sistema, una volta posizionato nel punto giusto, può effettuare mutazioni puntiformi, inserire segmenti desiderati o tagliarli. E ancora la precisione, che consiste nell’ottenere esattamente la mutazione che era stata programmata. Senza dimenticare l’efficienza, insomma poter contare sul fatto che l’editing funzioni in un’alta percentuale delle cellule che si vogliono raggiungere.

Ovviamente esiste una grossa differenza tra l’aver inventato un sistema in grado di correggere circa il 90% delle mutazioni che causano malattie negli esseri umani e il riuscire a curare i pazienti che ne soffrono. Una sfida cruciale consiste nel trovare vettori sicuri ed efficienti, specifici per le cellule colpite da una certa patologia. Per questo Anzalone sta ben attento a non promettere più di quanto la tecnica potrà mantenere. E sempre per questo è probabile che il primo target clinico dell’azienda da lui co-fondata e diretta (Prime Medicine) sarà una malattia del sangue, editabile ex vivo, al di fuori del corpo del malato. Quando Liu, lo scorso ottobre, ha annunciato la presentazione della domanda per il primo studio clinico entro l’anno prossimo, i sospetti di tutti si sono concentrati sulla malattia granulomatosa cronica (CGD) – immunodeficienza per la quale era già stato avviato un trial di terapia genica - che è il filone più maturo perseguito da Prime Medicine. Altri tre programmi sono in buono stato di avanzamento: una terapia per la malattia di Wilson (per cui è già in corso un trial con terapia genica) da veicolare nel fegato con l’aiuto di nanoparticelle lipidiche e due trattamenti che usano dei virus adeno-associati come vettori nell’occhio e nel tessuto neuromuscolare, per correggere i difetti genetici che causano rispettivamente la retinite pigmentosa e l’atassia di Friedreich (patologie che sono già entrate nel mondo CRISPR: ne abbiamo parlato qui e qui). I restanti filoni della pipeline sono in fase precoce di sviluppo.

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