FENIB, Elena Miranda, neuroserpina

Una malattia senza terapie disponibili per la quale, grazie allo sforzo di un padre, si sono attivati diversi laboratori per studiare un approccio con CRISPR. Ma la ricerca non si ferma qui

A giugno abbiamo parlato della storia di Uditi, una ragazza indiana affetta da encefalopatia familiare con corpi d’inclusione di neuroserpina (FENIB), e dell’incredibile sforzo della sua famiglia per trovare una soluzione terapeutica basata su CRISPR. Soluzione che purtroppo non è arrivata in tempo per Uditi, ma grazie alla quale si potranno probabilmente aiutare altre persone affette da questa terribile malattia rara. Osservatorio Terapie Avanzate ha parlato della patologia, delle sue basi genetiche, di progetti di ricerca e possibili future terapie con Maria Elena Miranda Banos, professoressa presso Sapienza Università di Roma nel Dipartimento di Biologia e Biotecnologie ‘Charles Darwin’, dove coordina l’unico gruppo di ricerca al mondo dedicato allo studio della FENIB.

QUANDO IL GENE SERPINI1 È DIFETTOSO

Il gene SERPINI1 fornisce le istruzioni per la produzione di una proteina chiamata neuroserpina, che è un tipo di inibitore delle proteasi a serina. Le serpine sono di diversi tipi e aiutano a controllare alcune reazioni chimiche bloccando l'attività di alcune proteine. Nello specifico, la neuroserpina inibisce l'attività di un enzima chiamato attivatore del plasminogeno tissutale (tPA), che svolge un ruolo nel movimento delle cellule, nella coagulazione del sangue e nell'infiammazione. Come suggerisce il nome, attraverso la sua attività la neuroserpina è coinvolta nello sviluppo e nel funzionamento del sistema nervoso.

Ma cosa accade quando il gene è mutato? Le mutazioni modificano la struttura della neuroserpina, causando la produzione di una sua versione instabile e di forma anomala. All'interno dei neuroni, le proteine difettose possono attaccarsi l'una all'altra, formando una struttura simile a una collana di perle che a sua volta dà origine ad accumuli chiamati corpi di inclusione di neuroserpina o corpi di Collins. Questi agglomerati disturbano il normale funzionamento delle cellule e alla fine portano alla morte cellulare, che a sua volta conduce alla demenza progressiva.

Da quando è stata diagnosticata la prima volta nel 1999 - con l’identificazione delle mutazioni Syracuse e Portland - a oggi, sono state individuate in totale 6 mutazioni nel gene SERPINI1 che causano la FENIB, di cui due a esordio precoce, tra cui proprio quella che ha colpito Uditi la quale ha cominciato a mostrare i primi sintomi verso i 9 anni. “Questa mutazione è stata descritta prima del caso di Uditi, in un paziente con esordio verso gli 8 anni e un decorso molto più veloce di quello della ragazza indiana”, spiega la professoressa Miranda Banos . “Un’altra mutazione, che colpisce sempre lo stesso aminoacido, è ancora più aggressiva perché porta a una polimerizzazione più spinta. In questo caso si tratta di mutazioni sporadiche e non familiari e sono i casi più eclatanti perché colpiscono in giovane età e presentano una sintomatologia più grave, con decorso rapido. Nella FENIB, infatti, c’è un’associazione genotipo-fenotipo: ciascuna mutazione è associata a una specifica manifestazione, che può essere più o meno grave, o a esordio precoce o tardivo ad esempio. Una mutazione è stata in seguito pubblicata da ricercatori francesi: in questo caso è stata trovata in un paziente che aveva anche una malattia demielinizzante, oltre alla presenza dei corpi di Collins. Quella mutazione non è mai stata studiata in laboratorio, la stiamo studiando ora con il mio gruppo perché vogliamo capire ancora meglio la correlazione genotipo-fenotipo e descrivere il comportamento delle varianti conosciute che non sono state ancora studiate in vitro”.

Di recente è stato identificato un altro caso negli Stati Uniti: una signora di circa 60 anni ha iniziato a manifestare i sintomi ed è stato fatto il sequenziamento del gene, grazie al quale è stata trovata una nuova mutazione.

STUDIARE LA FENIB

Nel laboratorio di Maria Elena Miranda Banos vengono creati dei modelli cellulari per lo studio della FENIB. “Una delle cose che stiamo facendo in laboratorio è creare dei sistemi cellulari in cui una mutazione possa essere caratterizzata in poco tempo perché, per quello che abbiamo visto nei nostri studi, se a livello cellulare la mutazione induce la produzione di polimeri, allora possiamo confermare la diagnosi di FENIB”, continua Miranda. “Io lavoro soprattutto creando modelli cellulari per studiare la tossicità di questi polimeri e ora stiamo cercando di studiare anche un modo per facilitare la diagnosi delle nuove mutazioni. Non solo per diagnosticarle ma anche predirle”.

Esiste una malattia simile alla FENIB, causata anch’essa da mutazioni in una serpina: il deficit di alfa-1-antitrispina (DAAT), malattia rara dovuta a mutazioni nel gene SERPINA1 che codifica per l’alfa-1-antitrispina e provoca una sintomatologia prevalentemente a livello di fegato e polmoni. Con malattie come la DAAT e la FENIB si presenta una doppia situazione: da un lato la proteina aggrega e diventa tossica e dall’altra la proteina normale non svolge la sua funzione. Nel caso della FENIB, che si manifesta in eterozigosi, un allele produce proteina sana e, sebbene i neuroni esprimano ugualmente l’allele sano e l’allele mutato, i polimeri si formano solo con la versione mutata. Questo è positivo perché vuol dire che c’è una parte di proteina che resta sana. Nella DAAT la malattia si manifesta solitamente se entrambi gli alleli sono mutati, quindi non c’è proteina sana. Ci sono alcune differenze, ma anche molte somiglianze ed è per questo che vengono spesso studiate insieme.

Per fortuna la ricerca continua, di recente la professoressa è risultata vincitrice di una bando per la ricerca: lo studio finanziato da Fondazione Telethon - che sarà portato avanti dal 2024 al 2026 - ha lo scopo di caratterizzare nuove mutazioni della neuroserpina in modelli cellulari, per scoprire se tutte le mutazioni che causano FENIB inducono la formazione di polimeri, confermare la diagnosi di nuovi casi di FENIB e indagare i meccanismi neuronali di tossicità. Inoltre, in questo lasso di tempo verrà definito il meccanismo alla base della formazione dei polimeri nelle diverse varianti di neuroserpina e la sua correlazione con i fenotipi clinici associati. “Sono contenta che Fondazione Telethon abbia fatto un altro bando per la ricerca di base: è molto importante che anche le fasi iniziali della ricerca vengano supportate perché è solo partendo dal laboratorio che si arriva al paziente”, commenta Miranda Banos.

TERAPIE: ANCORA TROPPO LONTANE

In questi casi così gravi la speranza è quella di riuscire a diagnosticare la malattia ancor prima che la degenerazione inizi a manifestarsi, ma è abbastanza utopico perché non si fa la sequenza del genoma di tutti di default: si procede nel momento in cui i sintomi suggeriscono una situazione clinica particolare. Ad oggi non esiste una terapia per la FENIB e lo studio di approcci farmacologici è purtroppo lontano dall’avere qualcosa di concreto da utilizzare in tempi brevi.

Pensare di usare una terapia genica per modificare tutte le cellule del cervello è oggi fuori discussione perché non esiste un modo efficace per consegnare il gene corretto a tutti i neuroni”, prosegue Miranda. “CRISPR può essere una opzione, ma anche in questo caso bisogna trovare il modo di far arrivare il macchinario di editing genomico ai neuroni. Inoltre, deve funzionare senza effetti collaterali ed essere permanente, cosa di cui oggi non possiamo essere sicuri. Purtroppo, non risolverebbe il problema dei corpi di inclusione già formati, che non sono eliminabili in alcun modo con le tecniche attualmente a disposizione. È stata anche presa in considerazione l’autofagia, ma non è una strategia applicabile”.

Per cercare un approccio terapeutico per la FENIB, la professoressa della Sapienza ha anche creato degli anticorpi monoclonali che legano la neuroserpina. Questi permettono di legare specificatamente i polimeri di neuroserpina e analizzarli con le tecniche di laboratorio, per poi studiare la proteina mutata in modelli animali e cellulari. “Avere anticorpi specifici per la proteina, e che funzionano bene, ti apre tante strade. L’uso degli anticorpi monoclonali, infatti, ha permesso di trovare una molecola utile per il deficit di alfa-1-antitripsina: è stato possibile identificare una molecola che aumenta la secrezione della proteina sana e riduce la formazione di polimeri. In questo processo è stata coinvolta anche l’azienda GlaxoSmithKline, che però ora ha abbandonato quella linea di ricerca. Per fortuna viene portata avanti dal laboratorio di David Lomas, a Londra, specializzato nella ricerca sulla DAAT. Dato che è stato chiarito come polimerizza l’antitripsina, la speranza è quella di riprodurre questo approccio anche con la neuroserpina”, dice Maria Elena Miranda Banos.

Qualche anno fa, grazie a una collaborazione tra diversi laboratori tra cui quello della Sapienza, è stato studiato anche l’effetto della embelina, una piccola molecola estratta da piante che è in grado di legarsi a una serpina, ma che purtroppo non funziona per la neuroserpina. “Al momento non abbiamo piccole molecole che possano servire da base per mettere a punto un farmaco, ma secondo me è la strada giusta perché sta funzionando per il deficit di alfa-1-antitripsina. Il papà di Uditi ci ha trovato grazie a quella pubblicazione e ci ha contattato per valutare un approccio farmacologico per la figlia. Ho dovuto dirgli che l’embelina non funziona e che serviva più ricerca; lui voleva mettere in moto tutte le strategie possibili per aiutare la figlia”, racconta Miranda.

Ho iniziato a studiare le serpine durante il post-dottorato nel laboratorio di David Lomas all’Università di Cambridge (ora all’UCL – University College London), che per primo ha descritto la malattia e dove studiano il deficit di alfa-1-antitrispina”, prosegue la professoressa Miranda. “Oggi collaboro con il suo team, ma anche con Giovanna Galliciotti, che lavora ad Amburgo e che ha prodotto modelli murini per studiare la malattia, e con Anna Fra dell'Università di Brescia. Ci confrontiamo anche con un gruppo con sede a Palermo, con cui abbiamo vinto un grant Telethon qualche anno fa, assieme a un gruppo di Milano. Con loro abbiamo pubblicato il lavoro sulla embelina. Da poco abbiamo iniziato a lavorare anche con l’Istituto Neurologico "Carlo Besta" di Milano, collaborazione di cui sono molto contenta perché ci permette di avere finalmente un contatto con la clinica, nella speranza di individuare eventuali casi dubbi e procedere con l’analisi del gene della neuroserpina. Anche se è vero che il mio è l’unico laboratorio al mondo focalizzato al 100% sulla FENIB, per fortuna non sono da sola: collaboro molto con i colleghi italiani ed europei, anche perché nella scienza non si va lontani da soli. Ormai per me la ricerca su questa malattia è una mission: tutto quello che posso fare lo farò”.

Leggi anche l'approfondimento su Osservatorio Malattie Rare: "FENIB: una malattia neurodegenerativa rarissima e sottodiagnosticata"

Con il contributo incondizionato di

Website by Digitest.net



Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento Maggiori informazioni