DNA

La più recente tecnica di editing genomico, in grado di modificare chimicamente una singola base in un punto specifico del DNA, è ora protagonista di diverse sperimentazioni

Riparare, silenziare, modulare e regolare i geni in modo permanente modificando un’unica lettera nel codice genetico umano: il base editing, una tecnica di editing genomico che permette di fare una modifica puntiforme senza tagliare la doppia elica, si sta avvicinando alla clinica sempre più e sta aprendo molteplici possibilità nella ricerca. Gli strumenti di editing come Crispr-Cas9 e le nucleasi a dita di zinco sono già entrati in sperimentazione clinica da tempo ma, mentre questi approcci si basano sul taglio del DNA, gli editor di basi agiscono in maniera più sofisticata e potenzialmente più sicura. Un recente articolo pubblicato su Nature News fa una panoramica sul tema, elencando anche gli approcci in via sviluppo.

Gli editor di basi combinano la precisione del macchinario Crispr-Cas9 con particolari enzimi, le deaminasi, che possono modificare il genoma cambiando una “lettera” – o base azotata – in un’altra. Per ora le modifiche fattibili sono citosina in timina (C→T) o adenina in guanina (A→G), ma queste possono coprire oltre il 60% delle mutazioni patogene note, come illustrato nell’articolo. Per spiegare in poche parole il loro funzionamento bisogna intanto avere chiaro come sono fatti gli editor di basi. Sono costituiti da tre componenti: un RNA guida (gRNA) che porta lo strumento di editing a destinazione; un enzima Cas9 modificato che srotola e "intacca" il DNA sul filamento opposto alla base bersaglio; e una deaminasi, cioè un enzima in grado di trasformare una base in un’altra. Per completare la modifica e far combaciare un filamento all’altro dopo l’intervento del sistema di editing, intervengono i meccanismi di riparazione della cellula.

Il primo studio sul tema (di cui abbiamo parlato qui) è a firma di David R. Liu, biologo del Broad Institute del MIT di Boston e uno dei “papà” di CRISPR: da allora diversi gruppi di ricerca nel mondo hanno creato editor più efficienti e precisi, ampliando le possibilità. Liu è anche co-fondatore di Beam Therapeutics, una delle biotech più impegnate nella ricerca e sviluppo di terapie sperimentali basate su questo approccio di editing del genoma.

Tra le prime terapie ad entrare in clinica ci sono quella sviluppata da Verve Therapeutics per il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare eterozigote - con la somministrazione al primo paziente a luglio 2022 di cui abbiamo parlato qui - e il candidato principale di Beam Therapeutics (BEAM-101) che ha come obiettivo l’anemia falciforme e la beta talassemia. Beam si sta preparando ad avviare la somministrazione di questo farmaco, che modifica con il base editing le cellule staminali ematopoietiche prelevate dal paziente per poi reinfonderle, entro la fine dell'anno. Gli studi clinici di queste due aziende sono al momento i più avanzati nel settore e saranno un importante banco di prova per questa tecnologia in clinica. Nel caso di Verve, se tutto andasse nel migliore dei modi, si potrebbe pensare di ampliare l’utilizzo della terapia dai soli casi di ipercolesterolemia familiare alla forma comune. In questo modo si andrebbe ad agire su una delle maggiori cause di morte al mondo: le malattie cardiovascolari e, più nello specifico, nella gestione dell’ipercolesterolemia, che causa un numero altissimo di ictus e infarti ogni anno.

Verve sta anche lavorando su un base editor che silenzia ANGPTL3, un bersaglio per la riduzione dei lipidi nel fegato. Inoltre, Beam sta lavorando su una terapia per la correzione ex vivo - sempre agendo sulle cellule progenitrici - della mutazione che porta a un’emoglobina difettosa nelle persone affette da anemia falciforme. Altro ambito di ricerca della biotech è l’inserimento in contemporanea di modifiche multiple: BEAM-201, ancora non in sperimentazione clinica, prevede di inserire 4 modifiche per generare cellule CAR-T da utilizzare “off-the-shelf” (ovvero in maniera eterologa) in pazienti con leucemia linfoblastica acuta a cellule T. Sebbene in fase iniziale di sperimentazione, il processo di editing risulta molto efficiente e viene completato da una trasduzione con un lentivirus che codifica un antigene CAR anti-CD7 per puntare alle cellule tumorali.

Come già anticipato, il base editing potrebbe fornire vantaggi rispetto agli altri approcci di editing perché in questo caso non c’è taglio: infatti, un singolo taglio del DNA può causare grossi riarrangiamenti e dare origine a molte combinazioni possibili e non prevedibili, che dipendono da come la cellula ripara la lesione. Un rapporto del Boston Children’s Hospital, pubblicato a giugno su Nature Communications, ha dimostrato che la tecnica “classica” Crispr-Cas9 può causare grandi riarrangiamenti del DNA attraverso un processo chiamato retrotrasposizione. I riarrangiamenti si verificano quando le rotture del DNA non vengono riparate, permettendo alle estremità non corrispondenti di unirsi. Sebbene gli eventi di retrotrasposizione causati da CRISPR siano poco comuni (5-6% dei casi nel modello sperimentale dello studio), in linea teorica possono scatenare il cancro. Motivo per cui i ricercatori suggeriscono di aggiungere i test per la retrotrasposizione ai test di sicurezza per i sistemi di editing Crispr-Cas9. Un altro studio sui rischi dell’utilizzo di CRISPR è stato pubblicato – sempre a giugno, ma su Nature Biotechnology  – dai ricercatori della Tel Aviv University. Il focus è sulla stabilità del genoma e, nello specifico, i ricercatori hanno esaminato se i potenziali benefici della terapia CRISPR potessero essere compensati dai rischi derivanti dal taglio, partendo dal presupposto che il DNA rotto non è sempre in grado di ripararsi. Nello studio propongono inoltre metodi alternativi, meno rischiosi, per le procedure mediche specifiche e raccomandano ulteriori ricerche su due tipi di potenziali soluzioni: cercare di ridurre la produzione di cellule danneggiate o identificare le cellule danneggiate - e rimuoverle - prima che vengano somministrato al paziente.

Le tecniche di editing più classiche possono causare problemi di tossicità e oncogenicità che vengono ridotti se la modifica è fatta chimicamente, cosa che avviene nel base editing. Nonostante quest’ultimo non causi riarrangiamenti cromosomici, l’editing fuori bersaglio (il cosiddetto “off target”) resta una delle preoccupazioni dei ricercatori perché la guida a RNA può comunque deviare se trova sequenze di DNA simili altrove. Come per le terapie geniche, l'editing comporta anche un rischio di immunogenicità che va monitorato: ad esempio, nel caso delle malattie ematologiche, si produce una globina che l’organismo non ha mai visto prima e questo potrebbe portare a reazioni a livello immunitario. Per ora, non sono state rilevate problematiche gravi, ma è un altro punto da tenere sotto controllo.

Il crescente interesse per il base editing – e il conseguente aumento di studi clinici in questo ambito – mostra il potenziale di queste terapie, che si contrappone anche ai limiti noti collegati alla modalità di somministrazione. Infatti, questa resta una delle maggiori sfide da superare e, almeno per il momento, le possibilità si limitano alle malattie che hanno come obiettivo il fegato o quelle su cui si può agire ex vivo, prelevando cioè le cellule del paziente, modificandole e reinfondendole nell’organismo (ad esempio le malattie del sangue). Per raggiungere altri tipi di tessuto sarà necessaria ancora più innovazione: dalle nanoparticelle lipidiche ai vettori virali, dagli oligonucleotidi antisenso fino al prime editing, gli studi in corso stanno vagliando molteplici approcci per trovare le soluzioni migliori.

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