CRISPR

Lo strumento biotech inventato dal gruppo di David Liu viene messo alla prova per la prima volta su pazienti con anemia falciforme, malattia con cui si cimenta anche l’editing più classico 

Storicamente l’anemia falciforme è stata una patologia trascurata. Nell’era delle terapie avanzate, però, è diventata un centro di attrazione per gli approcci più innovativi. Perché ha una genetica semplice e, per essere una malattia rara, colpisce un gran numero di persone: oltre duecentomila in tutto il mondo. Ci stanno lavorando molte società biotech e qualche centro pubblico, ciascuno con i propri studi clinici: Bluebird Bio, Aruvant Sciences, CRISPR Therapeutics, Editas Medicine, Intellia Therapeutics, Sangamo Therapeutics, California Institute for Regenerative Medicine, Boston Children’s Hospital, Graphite Bio, University of California, e ora anche Beam Therapeutics con i suoi correttori di basi.

Alcune delle sperimentazioni cliniche citate nell’elenco rientrano nella terapia genica classica, quella in cui si fornisce una copia funzionante del gene difettoso senza scomodare CRISPR. La maggior parte, però, ricorre all’editing genomico, seguendo tre possibili strategie. Numero uno: mettere fuori uso un elemento genico che frena la produzione di emoglobina fetale, in modo da compensare il difetto a carico dell’emoglobina adulta. Due: ricreare la mutazione puntiforme che si trova, naturalmente, in una minoranza di persone che continuano a produrre emoglobina fetale anche in età adulta. Tre: correggere il difetto a carico dell’emoglobina adulta. 

Gli approcci in via di sperimentazione differiscono, dunque, per quanto riguarda il sito genico prescelto, ma anche per lo strumento biotech utilizzato. In un caso troviamo una tecnologia sviluppata prima di CRISPR (nucleasi a dita di zinco), in un altro caso un enzima CRISPR diverso dalla classica Cas9 (Cas12). Poi c’è la Cas9, che da sola conta ben quattro studi clinici, e da ultimo si è aggiunto anche un correttore di basi ABE (ovvero Adenine Base Editor). L’agenzia regolatoria statunitense (Food and Drug Administration, FDA), infatti, ha dato il via libera per l’avvio di un trial con il primo trattamento messo a punto da Beam Therapeutics (denominato BEAM-101) ed esaminerà presto anche la richiesta relativa a un secondo trattamento sviluppato dalla stessa società (BEAM-102). 

In tutti i casi la strategia è ex vivo: le cellule ematopoietiche vengono prelevate, modificate quando sono fuori dal corpo e poi somministrate nuovamente al paziente. I risultati ottenuti finora dagli studi in fase più avanzata sono molto incoraggianti, come dimostra la storia della prima paziente CRISPR in assoluto, l’afroamericana Victoria Gray che ha ricevuto il trattamento CTX001 sviluppato da CRISPR Therapeutics insieme a Vertex Pharmaceuticals. Usare le cellule del paziente stesso per un trapianto autologo risolve il problema di dover cercare un donatore di midollo compatibile, che spesso non c’è. Resta invece la necessità di effettuare un trattamento preliminare piuttosto pesante prima del trapianto (mieloablazione), per eliminare le vecchie cellule non modificate e fare spazio alle nuove. Il pre-trattamento standard si basa su una sostanza usata anche nella chemioterapia, ma si sta lavorando per trovare approcci con effetti indesiderati meno gravi. 

L’editing classico può essere usato in modalità “break” o “fix”, per rompere un elemento genico di intralcio o per aggiustare un elemento genico difettoso. La seconda richiede uno stampo, per guidare la riparazione del DNA dopo il taglio, ed è più difficile della prima, in cui la lesione viene semplicemente saldata. Questo modo di aggiustare, inoltre, comporta maggiori rischi di tagli fuori bersaglio (“off target”). Ma la company Graphite Bio afferma di aver ottimizzato il procedimento con una variante ad alta fedeltà dell’enzima Cas9, che viene fornita già programmata per trovare il sito bersaglio, ovvero sotto forma di aggregato con l’RNA guida. Risultati ancora migliori sono stati raggiunti da Beam Therapeutics nella fase preclinica usando, al posto dell’editing classico, il correttore di basi ABE, uno strumento biotech capace di aggiustare le sequenze modificando singole lettere del DNA senza tagliare. 

In pratica è come se le forbici di CRISPR fossero parzialmente disattivate, e al loro posto venissero fornite una gomma e una matita per riscrivere la sequenza nel modo desiderato. Questo modello avanzato di CRISPR si limita a graffiare un filamento di DNA, anziché reciderli entrambi, e questo accresce la sicurezza dell’intervento. La Beam Therapeutics vuole usare questo approccio sia per riattivare la produzione di emoglobina fetale che per correggere l’emoglobina adulta difettosa. Pazienti diversi, infatti, potrebbero trarre maggior beneficio da trattamenti differenti. Vale la pena notare che i correttori di basi sono stati messi a punto nel laboratorio diretto da David Liu al Broad Institute da due giovani ricercatrici, una delle quali italoamericana: Alexis Komor e Nicole Gaudelli. 

L’azienda, nata per sviluppare le loro intuizioni, ora sta lavorando anche sulla frontiera delle terapie di editing in vivo per l’anemia falciforme. L’obiettivo è riuscire a somministrare il trattamento direttamente nel corpo del paziente (anziché su cellule prelevate, trattate e reinfuse), eliminando la necessità di effettuare il pre-trattamento tossico. Il correttore di basi e l’RNA guida per individuare il punto del genoma da correggere dovrebbero essere somministrati dentro a nanoparticelle di grasso, ma secondo quanto dichiarato a Nature Biotechnology dai vertici della Beam Tharapeutics siamo ancora lontani dal traguardo della sperimentazione clinica in vivo.          

Nonostante i primi ottimi risultati e le grandi speranze per i progressi in cantiere, comunque, resta il fatto che l’adozione di tutte le terapie avanzate per l’anemia falciforme dovrà fare i conti con il problema dei costi. Questa malattia è particolarmente diffusa nell’Africa sub-sahariana e riuscire a portare i trattamenti genetici in questa parte del mondo sarà la più difficile delle sfide.  

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