Sequenza DNA

Innovativa e applicabile in diversi ambiti, in poco tempo è diventata la tecnica di editing genomico più utilizzata nei laboratori. Ma come siamo passati dai batteri a correggere malattie genetiche?

Sono ormai 7 anni che fa parlare di sé e, quasi quotidianamente, una nuova ricerca con CRISPR come protagonista viene pubblicata sulle maggiori riviste scientifiche del mondo. Le novità e i perfezionamenti di questa tecnica di editing genomico sono continui, dato che ormai non c’è laboratorio al mondo che non l’abbia utilizzata almeno una volta. Infatti, CRISPR è cinque volte più utilizzato di qualsiasi altro strumento di editing genomico (Fonte: Cell Trials Data). Il 21 ottobre è stato pubblicato su Nature un articolo che descrive il ‘prime editing’, un nuovo metodo di editing genomico basato su CRISPR che permetterebbe di avere più controllo sulle correzioni, più precisione e flessibilità.

Le origini

La storia di CRISPR inizia nel 1993 in Spagna, dove il microbiologo Francisco Mojica dell’Universidad de Alicante stava lavorando su un procariote (organismo unicellulare), isolato nelle paludi di Santa Pola, con estrema tolleranza alle alte concentrazioni di sale. Mojica ha notato una struttura curiosa nel DNA di quell’organismo: più copie di una sequenza palindromica quasi perfetta che si ripeteva a intervalli costanti. Proseguendo con la ricerca, ha trovato queste sequenze - da lui battezzate CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Palindromic Repeats) - in altri procarioti e ha identificato anche i geni Cas (CRISPR associated). Ancora non si conosceva la funzione del sistema CRISPR-Cas, ma le ipotesi erano le più disparate. Nel 2003, dopo aver analizzato in molti organismi le sequenze tra una ripetizione e l’altra, il ricercatore si è accorto che erano segmenti di informazione genetica provenienti da virus e plasmidi che attaccavano i batteri. Questo ha portato all’ipotesi – rivelatasi poi corretta nel 2007 – che CRISPR agisse come una sorta di sistema immunitario. In poche parole, si è scoperto che i batteri utilizzano il sistema CRISPR per difendersi dai virus che li attaccano. Dopo una infezione, l’organismo utilizza l’enzima Cas9 per tagliare il DNA del virus, che riconosce grazie a una molecola-guida formata da RNA. Il taglio inattiva il virus e un frammento di quest’ultimo viene immagazzinato nel DNA del procariote, in modo da riconoscerlo immediatamente in caso di nuova infezione. Questa collezione di frammenti di virus è l’equivalente batterico del nostro sistema immunitario.

Negli anni successivi le ricerche sono state molteplici e hanno portato alla scoperta di diverse applicazioni di CRISPR, ad esempio per risolvere il problema delle infezioni che colpiscono i batteri usati nell’industria casearia. Nel 2012, Science pubblica l’ormai famoso articolo firmato da Jennifer Doudna, biochimica presso l’University of California – Berkeley, ed Emmanuelle Charpentier, ora direttrice al Max Plank Institute of Infection Biology di Berlino, che descrive la tecnica di editing genomico a livello molecolare. Durante le prime settimane del 2013 sono ben tre gli studi pubblicati per dimostrare la possibilità di utilizzare CRISPR su cellule umane: uno firmato da Jennifer Doudna, uno a firma di George Church, professore di genetica ad Harvard e uno da Feng Zhang dal Broad Institute del MIT. Queste sono state le pubblicazioni pioniere su CRISPR: da quel momento in poi ricerche e sperimentazioni in tutto il mondo hanno migliorato e implementato la tecnica per poterla utilizzare in molti ambiti diversi, dall’agricoltura alla medicina.

La prima versione di CRISPR

CRISPR è uno strumento di editing che si basa sul taglio della doppia elica del DNA: il taglio viene fatto in un punto specifico dall’enzima Cas9, soprannominato ‘forbice molecolare’, grazie all’utilizzo di una guida - una breve sequenza di RNA complementare al segmento del gene d’interesse. Dopodiché, la cellula provvede ad attivare i suoi naturali meccanismi di riparazione per aggiustare la molecola: nel caso in cui l’obiettivo sia quello di inattivare il gene – e quindi disattivare la proteina – si lascia semplicemente che la cellula riappiccichi in autonomia le due estremità tagliate. Questo processo può portare a errori di vario tipo che inattivano il gene. Se l’obiettivo è quello di sostituire una sequenza, bisogna fornire alla cellula anche una copia corretta del gene che sia complementare alle estremità del sito di taglio e che la cellula utilizzerà come stampo per la correzione.

Il ‘base editing’

Nel 2017 CRISPR si evolve e non è più un sistema basato sul meccanismo taglia-incolla, ma un correttore che non necessita delle cosiddette forbici molecolari. Due studi, uno pubblicato su Nature e l’altro su Science, presentano la novità in questo ambito. Il primo studio, firmato da David R. Liu - biologo del Broad Institute del MIT - dimostra che è possibile correggere la sequenza bersaglio senza tagliare la doppia elica, senza avere quindi le imprecisioni dovute ai meccanismi automatici di riparazione cellulare e riducendo al minimo gli errori. Il meccanismo prevede l’identificazione di una lettera sbagliata sul DNA e la sua modifica a livello chimico. Diventa possibile convertire le lettere che compongono l’informazione genica, sia in cellule umane che nei batteri. Purtroppo, questo meccanismo non è in grado di effettuare tutte le conversioni possibili e, di conseguenza, la ricerca continua. Feng Zhang, autore dello studio pubblicato su Science e tra i quattro pionieri del mondo CRISPR, ha invece sperimentato una variante di Cas9, cioè Cas13, per modificare a livello chimico una lettera sull’RNA messaggero e non sul DNA. L’RNA messaggero è la molecola che veicola le istruzioni contenute nel DNA fino al prodotto finale funzionante: la proteina. Agendo sull’RNA, piuttosto che sul genoma, le azioni di editing diventano reversibili. Entrambe le varianti sono state studiate in modelli cellulari di patologie umane, tra cui l’anemia di Fanconi, l’anemia falciforme e l’emocromatosi.

L’ultima novità: il ‘prime editing’

La ricerca di una tecnica in grado di apportare qualsivoglia cambiamento al genoma – senza inserire modifiche indesiderate al di fuori del target (i temuti effetti “off traget”) - non si è fermata e, con l’arrivo del prime editing, l’obiettivo è sempre più vicino. Dal Broad Institute, gli scienziati coordinati da David R. Liu hanno recentemente implementato il meccanismo: la guida di RNA non solo indica il sito su cui effettuare la modifica, ma suggerisce anche quali sono gli errori da correggere. In questo caso non ci sono né tagli della doppia elica né modifiche a livello chimico. Il sistema CRISPR è fuso con un enzima specifico, chiamato trascrittasi inversa, che usa l’RNA guida come stampo e lo ricopia sotto forma di DNA, correggendo la mutazione del gene di interesse in modo più preciso. Non essendoci il doppio taglio, si riduce molto la possibilità di mutazioni “off target” e, dato che viene utilizzato uno stampo creato su misura, la correzione è più precisa e malleabile.

Per valutarne le capacità, il nuovo sistema è stato testato in vitro su modelli cellulari di alcune patologie, diverse dal punto di vista della natura dell’errore sul DNA: sull’anemia falciforme, in cui c’è 1 lettera sbagliata; sulla malattia di Tay Sachs, in cui ci sono 4 lettere in più; e sulla fibrosi cistica, in cui ci sono 3 lettere in meno. L’efficienza è stata variabile ma complessivamente buona. La sperimentazione è stata fatta su 4 linee cellulari umane e sono state effettuate sperimentazioni su mutazioni puntiformi, inserzioni fino a 44 lettere e delezioni fino a 80 lettere, per un totale di 175 test di 'prime editing', con pochissimi effetti indesiderati. Per ottimizzare la tecnica sono necessari molti altri test e analisi in vitro e i ricercatori dovranno trovare il vettore più adatto a trasportare il sistema nelle cellule.
Al di là delle possibili future applicazioni in clinica, che ad oggi sono ancora lontane, il prime editing può essere un importante strumento per la ricerca di base per tutta una serie di patologie, dato che in linea di principio, dovrebbe essere in grado di correggere circa l’89% delle mutazioni che causano malattie genetiche nell’uomo.

Con il contributo incondizionato di

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