Le terapie avanzate rappresentano una grande opportunità per i pazienti, e anche per lo sviluppo del Paese, ma per il Sistema Sanitario Nazionale sono, in prima battuta, una sfida di sostenibilità.
Novartis Oncology – con grande spirito di collaborazione insieme ad AIFA, al Ministero della Salute, alle Regioni e Centro Nazionale Trapianti - ha cercato un modo per vincere questa sfida mettendo a punto un nuovo meccanismo di pagamento: il ‘payment at results’ (pagamento al risultato). È di ieri, infatti, la notizia che AIFA e l’azienda sono giunti ad un accordo, siglato dal CDA dell’agenzia regolatoria, per la prossima commercializzazione della prima terapia CAR-T, tisagenlecleucel (Kymriah), destinata a pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) resistenti alle altre terapie - o nei quali la malattia sia ricomparsa dopo una risposta ai trattamenti standard - e per pazienti fino a 25 anni di età con leucemia linfoblastica acuta (LLA) a cellule B. In tutto si stima che vi siano poco più di 400 persone, tra cui alcuni bambini, in queste condizioni nel nostro Paese.
Ogni rivoluzione che si rispetti ha un suo preciso punto d’origine: più di cento anni fa i primi modelli atomici di Rutherford e Bohr hanno cambiato il modo di concepire la fisica e solo pochi anni dopo Watson e Crick - grazie al contributo di Rosalind Franklin con la scoperta della famosa struttura a doppia elica del DNA hanno sancito la nascita della biologia molecolare.
Le cellule mesenchimali stromali (MSC) - una tipologia di cellule staminali adulte e indifferenziate - sono in grado di secernere composti che regolano il sistema immunitario e, in studi preclinici su modelli animali, hanno mostrato risultati promettenti. Purtroppo, gli studi clinici sugli esseri umani sono stati deludenti, perché i composti vengono eliminati velocemente dal corpo e l’incapsulazione delle MSC in biomateriali protettivi è stata poco efficiente, finora, a causa delle eccessive dimensioni delle capsule. Una nuova ricerca clinica, pubblicata di recente su PNAS, dimostra l’efficacia di una tecnologia di incapsulamento a singola cellula che protegge le MSC trapiantate e migliora il tasso di successo dei trapianti in modelli murini.
Estote parati. La celebre locuzione evangelica divenuta anche il motto delle guide scout riassume perfettamente il senso del documento prodotto dall’Alliance for Regenerative Medicine (ARM) nel quale sono raccolte le Raccomandazioni di oltre 300 esperti provenienti da tutti i principali settori all’interno dei quali si intreccia la storia delle terapie avanzate. Nessuno slogan potrebbe condensare meglio il significato di un testo che invita a prendere atto che le terapie geniche e cellulari non solo rappresentano il domani - alcune già l’oggi - della medicina ma sanciscono un poderoso stacco col passato. Sono materiale vivo, spesso generato a partire dalle cellule dei pazienti stessi. Perciò la loro valutazione deve seguire criteri diversi, tutti da stabilire. Come pure bisogna pensare al modo in cui concretamente potranno approdare sul mercato senza stravolgere l’equilibrio economico dei vari sistemi sanitari, europei e mondiali. L’argomento è delicato e, visto il passo a cui queste straordinarie terapie si stanno evolvendo, non si può perdere tempo. Occorre farsi trovare preparati.
Tra le cellule degli esseri viventi c’è un continuo scambio di informazioni sotto forma di lipidi, proteine e acidi nucleici. Queste molecole si spostano, fino alla loro destinazione, viaggiando all’interno di “micro-navette” specializzate: le vescicole extracellulari. Si tratta di vescicole microscopiche prodotte dalle cellule stesse e sono state recentemente riconosciute come agenti universali della comunicazione intercellulare e inter-organismica, sia nei processi cellulari normali che patologici. Negli ultimi anni, grazie alle loro caratteristiche intrinseche e ai progressi della scienza, le vescicole extracellulare sono state studiate per valutare le loro potenzialità come agenti terapeutici. Science Translational Medicine ha pubblicato una review che illustra lo stato dell’arte.
Crispr-Cas9 è stata utilizzata dai ricercatori della Harvard Medical School e del Boston Children's Hospital per restituire l’udito ad alcuni topi sordi a causa di una mutazione puntiforme – cioè di una sola lettera del DNA – sul gene TMC1, responsabile della produzione di una proteina legata alle capacità uditive. La novità rispetto agli studi precedenti è che il sistema di taglia e cuci genetico è stato ottimizzato e ora è più preciso nel riconoscere la mutazione d’interesse. Oltre ad agire senza alcun apparente effetto su altre sequenze del DNA, eliminando – almeno in teoria – il rischio di mutazioni off-target, l’effetto collaterale più temuto sul fronte dell’editing genomico. È stato quindi possibile disattivare la copia difettosa del gene e lasciare intatta quella sana, ciò ha permesso ai topi di recuperare un udito quasi normale.
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