La conoscenza del DNA ha portato alla scoperta di tecniche in grado di correggere i difetti della doppia elica. Adesso si lavora per rendere stabili e sicure le terapie basate sulle cellule dei pazienti

Ogni rivoluzione che si rispetti ha un suo preciso punto d’origine: più di cento anni fa i primi modelli atomici di Rutherford e Bohr hanno cambiato il modo di concepire la fisica e solo pochi anni dopo Watson e Crick - grazie al contributo di Rosalind Franklin con la scoperta della famosa struttura a doppia elica del DNA hanno sancito la nascita della biologia molecolare.

IN PRINCIPIO CI FU IL PROGETTO GENOMA

Oggi, il fulcro scientifico da cui sono emerse tecniche come le CAR-T si può identificare nel Progetto Genoma che ha permesso di identificare la catena di geni che formano la vita. Con questo primo passo sono giunte la comprensione dei meccanismi fisiologici di tante patologie ereditarie e una prima possibilità di intravedere come originino mali oscuri come il cancro. Senza il Progetto Genoma non vi sarebbe alcuna mappa da studiare e gli scienziati brancolerebbero ancora nel buio. E, soprattutto, non potrebbero esistere strumenti di correzione come le terapie a base di CAR-T con cui oggi è possibile curare la leucemia linfoblastica acuta a cellule B o il linfoma diffuso a grandi cellule B. Tuttavia, il potenziale di queste scoperte non deve trasmettere la sensazione di trovarsi già al punto di arrivo. Siamo solo all’inizio di questa rivoluzione e bisogna continuare a guardare avanti per dissipare le ombre che ancora - logicamente - permangono sulla tecnica che prevede il potenziamento dei linfociti T, spingendoli contro le cellule malate.

LA SICUREZZA: INTERRUTTORI ON-OFF DI ULTIMA GENERAZIONE

Le CAR-T sono la carta vincente per sconfiggere malattie e tumori rari ma sono anche una tecnica giovane, non priva di effetti collaterali che vanno ben inquadrati e risolti. Hanno costi di produzione molti alti e devono essere attentamente studiate sul lungo periodo. Gli scienziati stanno esplorando una possibilità interessante per rendere le CART più sicure che consiste nel dotarle di un interruttore in grado di sopprimerne l’effetto qualora esse vadano fuori controllo e inneschino processi tali da mettere a rischio la vita del paziente, come ad esempio la sindrome da rilascio delle citochine. È recente la pubblicazione sulla rivista scientifica BMC Biotechnology di uno studio in cui viene messa a punto SWIFF-CAR, una versione delle cellule CAR-T dotata di un interruttore on/off grazie al quale controllare l’esposizione dell’antigene CAR sulla superficie dei linfociti T modificati e, in tal modo, spegnere l’effetto della terapia in caso di tossicità. La ricerca differisce dalle precedenti in cui erano stati impiegati dei “sistemi suicidi” per interrompere l’effetto delle CAR-T in quanto - per usare le parole di Alexandre Juillerat, ricercatore della biotech Cellectis e autore dello studio - “non necessariamente uccide ma dirige le cellule T attive e inerti”. Più che un vero e proprio pulsante di interruzione missione lo si può vedere come una sorta di guinzaglio che consente di manipolare l’esposizione dell’antigene e, al contempo, migliora il processo produttivo di queste speciali cellule.


LA PRODUZIONE: UN COLLO DI BOTTIGLIA

La produzione delle CAR-T è un autentico campo minato in cui occorre muoversi con prudenza. Cellule CAR-T quali Tisagenlecleucel (Novartis) e Axicabtagene Ciloleucel (Gilead) stanno progressivamente facendo il loro ingresso sul mercato ma con costi piuttosto alti che rischiano di mettere in difficoltà i sistemi sanitari di tanti Paesi. Gli alti costi sono collegati alla criticità di gestione di un processo produttivo che prevede l’uso di vettori virali per modificare geneticamente le cellule T. In particolare, come spiega il prof. James Heath, dell’Institute for Systems Biology di Seattle, nel corso di un’intervista uscita su Gen News, in fase iniziale di ricerca l’uso di vettori virali diversi - quando non esistono precedenti bisogna valutare più ipotesi di lavoro - ha favorito una produzione eterogenea di CAR-T. Non sempre è stato possibile avere il totale controllo del punto in cui si va a inserire il recettore tanto da produrre differenze addirittura da un lotto all’altro.

L’ingegneria genetica ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e, adesso, grazie anche alle possibilità della manipolazione genetica con CRISPR si lavora nella direzione di un prodotto cellulare quanto più possibile standardizzato. L’idea è ottenere cellule CAR-T sicure, a costi sostenibili e facilmente utilizzabili da tutti i pazienti. Una terapia personalizzata ma prodotta secondo criteri adattabili a una grande varietà di pazienti. Una nobile impresa su cui sono al lavoro più realtà.

AUTOMAZIONE: LA STRADA DEL FUTURO

Per produrre le CAR-T occorrono laboratori di alta qualità che lavorino seguendo alla lettera le norme di buona fabbricazione (GMP, Good Manufacturing Practices), dotati di strumentazione (incubatrici o bioreattori) di ultima generazione ma, soprattutto, occorre tempo. Una direzione a cui i ricercatori guardano per trasformare queste preziose cellule in un prodotto di serie, da creare al letto del paziente, è quella dell’automazione, grazie a cui ridurre i costi e creare sistemi di controllo chiusi, in cui ogni passaggio del processo produttivo sia gestito da software precisi che dosino i corretti volumi di reagenti e criopreservanti. Più o meno quel tipo di innovazione che ha permesso ai laboratori di analisi di dotarsi di una strumentazione semiautomatizzata che oggi consente a un solo operatore di caricare centinaia di provette di sangue e disporre in meno di un’ora dei risultati di glicemia, colesterolo, transaminasi e via discorrendo.

NUOVI APPROCCI PRODUTTIVI

Per quanto possano essere prodotte secondo standard omogenei le CAR-T rimangono sempre un prodotto personalizzato: esse vengono messe a punto a partire dalle cellule del paziente stesso le quali, una volta spedite agli impianti di produzione, possono essere ingegnerizzate per far esprime l’antigene CAR sulla loro superficie. A questo punto tornano al paziente, nel quale vengono reinfuse. Il processo di modifica genetica, come già detto, prevede l’uso di vettori virali che determinano le principali difficoltà in sede di produzione concorrendo all’aumento dei costi. Un modo “semplice” per rendere le CAR-T più facili da sviluppare ed economiche è quello di slegarle dai virus. In Ziopharm Oncology, biotech americana attiva sul fronte dell’immunoterapia, è allo studio un sistema che sfrutta plasmidi di DNA i quali, in un processo di elettroporazione trasferiscono i geni nelle cellule T. Eliminando totalmente i vettori virali col vantaggio che i costi di produzione scendono in maniera significativa poiché il processo non richiede la spedizione delle cellule presso siti produttivi dedicati. In maniera pratica si tratta di un filamento di DNA superavvolto (il plasmide) che porta le informazioni per l’espressione dell’antigene. Tramite la tecnica chiamata elettroporazione, che con una rapida scarica elettrica apre i pori della membrana cellulare, il plasmide entra nelle cellule. Il sistema è stato rinominato Sleeping Beauty e, grazie anche al sapiente uso di interleuchine (come IL-15) che spingono la moltiplicazione di CAR-T, in un paio di giorni le cellule così prodotte potrebbero essere pronte ad aggredire il cancro, con un notevole abbassamento della soglia di tossicità e, quindi, di rischio per il paziente.

Un’altra soluzione per il contenimento dei costi e l’ottimizzazione della produzione è quella studiata da Marker Therapeutics, azienda americana che, come dice il nome stesso, punta sui marcatori. MultiTAA è una tecnica con la quale le cellule T vengono esposte a una miscela di antigeni e citochine associate al tumore, provocando una risposta immunitaria e consentendo loro, una volta reinfuse nel paziente, di puntare su più tipi di cellule tumorali. In pratica le cellule T vengono mandate “a scuola”, a studiare una miriade di antigeni da tenere bene a mente una volta poste di fronte al cancro. Con MultiTAA, più che essere modificate, le cellule T sono addestrate alla diversità antigenica del cancro. Questa via potrebbe essere di grande utilità proprio per potenziare l’uso delle CAR-T contro i tumori in cui gli antigeni da bersagliare sono tanti e di più tipologie. Inoltre, questo approccio più naturale potrebbe limitare l’esaurimento delle cellule CAR-T che si osserva fisiologicamente aumentandone la durata - e quindi la risposta - nel tempo senza il riscontro di tossicità.

Sedici anni fa la conclusione del Progetto Genoma ha provocato - indirettamente - l’esplosione di una galassia di idee e di opportunità per combattere le malattie genetiche e il cancro. Oggi, chissà che le CAR-T non possano essere solo un prodotto di quell’evento ma possano costituire la miccia di innesco di nuovi idee sempre più efficaci e risolutive.

 

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