Da un’idea che non trovava finanziamenti al maggior riconoscimento scientifico: Karikò e Weissman hanno contribuito a creare una delle più grandi innovazioni medico-scientifiche degli ultimi anni
La storia dei vaccini a mRNA comincia più di 30 anni fa: un inizio travagliato, con pochi soldi ed esperimenti con scarsi risultati. In molti hanno abbandonato, o si sono visti costretti a farlo per la mancanza di finanziamenti, ma qualcuno ha creduto nel potenziale di trasformare l’mRNA in un farmaco a dispetto delle difficoltà economiche. La biochimica Katalin Karikó e l’immunologo Drew Weissman hanno così iniziato a collaborare negli anni ’90 per sviluppare un vaccino a mRNA per l’HIV, virus che stava causando un elevato numero di vittime e allora senza speranze di terapie. Da allora la ricerca ha fatto passi da gigante, trasformando una ricerca che all’inizio dava alcuni problemi a livello immunitario in un alleato indispensabile per la lotta all’infezione che nel 2020 ha fermato il mondo.
SCIENZA E SCIENZIATI DA NOBEL
Katalin Karikó - ora professore all'Università di Szeged e professore associato alla Perelman School of Medicine dell'Università della Pennsylvania (Stati Uniti) - e Drew Weissman - ora Roberts Family Professor in Vaccine Research e direttore del Penn Institute for RNA Innovations (Stati Uniti) - sono stati oggi premiati dal Karolinska Institutet con il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2023 "per le loro scoperte sulle modifiche delle basi nucleosidiche che hanno permesso lo sviluppo di vaccini efficaci a base di mRNA contro il COVID-19". Katalin Karikó è la tredicesima donna a vincere il Nobel per la Medicina dal 1901 ad oggi, su un totale di 227 riconoscimenti assegnati.
Alla fine del 2020, l’approvazione dei due vaccini a mRNA per COVID-19 ha segnato una nuova era e le basi per arrivare a questo risultato sono state gettate solo qualche anno prima, nel 2005, quando i due ricercatori pubblicarono un articolo su Immunity dal titolo “Suppression of RNA recognition by Toll-like receptors: the impact of nucleoside modification and the evolutionary origin of RNA”. Allora lo studio passò quasi in sordina, ma oggi è indiscutibile che sia stata una pubblicazione fondamentale per raggiungere questo importante traguardo scientifico.
Ma qual è la scoperta? In poche parole, Karikò e Weissman hanno dimostrato che l'uso di nucleosidi (A, G, C e U - i “mattoncini” che compongono l’mRNA) modificati artificialmente nelle molecole trascritte in vitro aggira le risposte infiammatorie indesiderate e aumenta la produzione di proteine dopo la somministrazione in vivo. I grossi limiti riscontrati negli studi preclinici di un vaccino a mRNA per l’HIV (che oggi sono più vicini alla realtà e di cui abbiamo parlato qui) su modelli animali erano due: la reazione immunitaria e la quantità limitata di proteina prodotta. Grazie alla loro collaborazione pluridecennale presso l’Università della Pennsylvania è cambiato il modo con cui oggi si guarda all’mRNA e alle possibilità che questa molecola – spesso vista come il “fratello minore” e più sfortunato del ben più famoso e studiato DNA – offre.
CREDERE IN UN’IDEA
Partiamo dall’inizio. L’mRNA è una delle molecole che fa parte della “triade della biologia”: DNA, RNA e proteine. Le informazioni contenute nel codice genetico vengono trasferite all’RNA messaggero (mRNA) che poi fa da modello per produrre le proteine necessarie. Negli anni ’80 sono state sviluppate delle tecniche di laboratorio per produrre mRNA in vitro, senza la necessità di coltivare le cellule. La trascrizione in vitro ha permesso di procedere più velocemente nelle ricerche di biologia molecolare e da questo al pensiero di sviluppare dei farmaci usando l’mRNA è passato poco tempo: se nell’mRNA sono contenute le istruzioni per produrre le proteine, è forse possibile per i ricercatori scrivere delle istruzioni ad hoc e fornirle alle cellule con fini terapeutici? È possibile trasformare l’organismo in una vera e propria fabbrica di enzimi e proteine per contrastare delle malattie? L’idea è senza dubbio ottima, ma il passaggio dalla teoria alla pratica non è mai scontato: l’mRNA, infatti, è una molecola molto instabile e difficile da gestire. Inoltre, se prodotto in vitro, scatena reazioni infiammatorie anche gravi, dato che il nostro organismo è specializzato a riconoscere ciò che è estraneo.
Karikò ha deciso di non arrendersi di fronte a questi problemi: con pochissimi soldi si trasferì dall’Ungheria agli Stati Uniti, con il sogno di poter portare avanti la sua idea scientifica e trascorse gli anni ’90 cercando il modo di trasformare l’RNA in una terapia. Le difficoltà e i fallimenti sono stati tanti finché non ha incontrato l’immunologo Drew Weissman con cui ha cominciato a collaborare per sviluppare un vaccino a RNA per l’HIV. Alla ricerca di un modo per eludere il sistema immunitario, l’interesse dei due ricercatori finì sui nucleosidi e scoprirono che l’organismo si allertava a causa del riconoscimento di uno di essi. Modificandolo, si poteva eludere il problema e, teoricamente, l’mRNA sarebbe arrivato integro a destinazione: la soluzione era stata trovata, ma i risultati non erano ancora ottimali. Seguirono anni di ricerche e sperimentazioni dai risultati poco incoraggianti, ad esempio quelle sul virus Zika e la MERS pubblicate ormai qualche anno fa. La svolta, e i grossi investimenti, arrivarono poi con SARS-CoV-2. In pochi mesi, infatti, l’intera comunità scientifica mondiale si è mossa in un’unica direzione: trovare un vaccino per l’infezione che stava dilagando in tutto il mondo. Ormai è noto a tutti che sia Pfizer/BioNTech (quest’ultima ha avuto come vicepresidente anche la stessa Karikò) che Moderna hanno utilizzato la tecnologia sviluppata dai due Nobel per costruire i vaccini che sono stati utilizzati in tutto il mondo.
Si tratta di una tecnologia flessibile, riproducibile più velocemente di altre e su larga scala: questo apre la strada a future applicazioni per le malattie infettive che, nel mondo di oggi, non sarà più così raro veder emergere. Come spiegato anche nell’approfondimento pubblicato dal Karolinska Institutet, il rischio di nuove pandemie è più grande che mai. Sviluppare e distribuire vaccini in tempi sufficientemente rapidi per mitigare una pandemia in corso è una sfida enorme, che non era mai stata affrontata prima del COVID-19. Quando il virus SARS-CoV-2 è emerso alla fine del 2019 e si è diffuso rapidamente in tutto il mondo, pochi pensavano che i vaccini potessero essere sviluppati in tempo per contribuire a contenere la pandemia. Eppure, alcuni di questi vaccini sono stati approvati in tempi record, con due dei vaccini approvati più rapidamente e più efficaci prodotti proprio con la tecnologia dell'mRNA. Un successo per la ricerca e per la salute dell’essere umano.
LA RICERCA NON SI FERMA
L'idea vincente è stata proposta per la prima volta oltre 30 anni fa, ma è stato necessario superare diversi ostacoli per trasformarla in realtà. E ora è arrivato anche il giusto riconoscimento, che non deve essere la conclusione di un lungo e complesso percorso, ma un’ulteriore motivazione per andare avanti. L’oncologia è uno dei campi in cui i vaccini a mRNA potrebbero avere un impatto: alcune forme tumorali potrebbero essere trattate insegnando alle cellule T del sistema immunitario ad attaccare un tumore esponendole a una proteina, o antigene, anche presente su una cellula tumorale (ne abbiamo parlato qui). E, guardando al futuro, la biologia si intreccia sempre di più con l’intelligenza artificiale, che potrebbe aiutare i ricercatori a disegnare nuovi vaccini più efficaci e in tempi brevi.