Al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) si è discusso delle potenziali CAR-T per i pazienti che sviluppano resistenza alle attuali versioni
Si potrebbe paragonare a una delle più rinomate vetrine della ricerca scientifica in campo oncologico, un po’ come sono i grandi saloni o le fiere che anticipano le future tendenze nel campo dell’arredamento, della moda o dell’automobile. È il meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), che si è svolto due settimane fa a Chicago portando all’attenzione delle migliaia di partecipanti tutte le novità riguardo all’utilizzo di farmaci anticorpo-coniugati (in grado di conferire specificità ai trattamenti chemioterapici), all’immunoterapia e anche alle terapie a base di cellule CAR-T sia per i tumori solidi che per patologie onco-ematologiche resistenti alle attuali CAR-T presenti in commercio.
È un “piatto ricco”, soprattutto di aspettative. Infatti, l’oncologia solida continua a rappresentare la frontiera da conquistare nel campo CAR-T ma, allo stesso tempo, queste terapie necessitano di una fine messa a punto e di sostanziali aggiornamenti per aumentarne i livelli di specificità, anche nei confronti di neoplasie ematologiche come il linfoma non-Hodgkin per cui sono già approvate.
CAR(RI ARMATI)-T SPECIALI CONTRO IL LINFOMA PLURIRESISTENTE
Una prima novità degna di nota porta la firma di Carl June - l’immunologo statunitense considerato il “padre” delle attuali CAR-T, di cui abbiamo parlato nella terza puntata del podcast “Reshape - Un viaggio nella medicina del futuro” - e riguarda la possibilità di rendere ancora più efficienti le CAR-T. Infatti, nonostante la loro indiscussa utilità - in modo particolare nel trattamento di certe forme di leucemia linfoblastica acuta e di tumori come il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) o il mieloma - una parte dei pazienti trattati va incontro a recidive tumorali persino dopo la somministrazione delle CAR-T, non traendo alcun beneficio dalle terapie che, nel loro caso specifico, costituiscono l’ultima alternativa terapeutica possibile.
La ricerca del team di June si è dunque focalizzata su una nuova versione delle CAR-T - rinominata huCART19-IL18 - che è attualmente in fase di valutazione con uno studio clinico di Fase I condotto all’Università della Pennsylvania. huCART19-IL18 è una CAR-T di quarta generazione, rivolta contro l’antigene anti-CD19 e ulteriormente modificata per liberare l’interleuchina 18 (IL-18), una citochina pro-infiammatoria che, secondo precedenti studi clinici, avrebbe dimostrato di migliorare l’attività delle CAR-T. I ricercatori statunitensi hanno paragonato queste nuove CAR-T a dei “carri armati” dal momento che la produzione e il rilascio di IL-18 le mette in condizione di sferrare un più valido attacco alle cellule tumorali. L’obiettivo dello studio di Fase I - che coinvolge 72 persone su tre gruppi composti da pazienti con linfoma non-Hodgkin, leucemia linfocitaria cronica e leucemia linfoblastica acuta - è di stabilire la massima dose tollerata (MTD) del nuovo trattamento, valutandone al contempo sicurezza, tollerabilità, farmacocinetica ed efficacia preliminare.
Secondo i risultati dell’abstract presentato all’ASCO, 21 pazienti con linfoma non-Hodgkin hanno ricevuto l’infusone a base di huCART19-IL18: la maggior parte di essi (43%) era composta da pazienti affetti da DLBCL, altri erano affetti da linfoma follicolare (29%) e altri ancora da linfoma a cellule mantellari (14%). Sette è stato il numero medio di trattamenti ricevuti (ma qualcuno era arrivato a 14) e circa il 95% dei trattati ha sviluppato forme di tumore resistenti anche alle attuali CAR-T in commercio. In base ai dati presentati huCART19-IL18 ha avuto un tasso di risposta complessivo dell’80% a tre mesi in 20 pazienti nella coorte di studio con NHL. Inoltre, la nuova CAR-T è risultata essere sicura con la maggior parte degli eventi avversi osservati classificabili nelle categorie più lievi (Grado 1 e 2).
Infine - aspetto per nulla trascurabile - la produzione di huCART19-IL18 impiega un processo messo a punto all’interno dei laboratori del Centro per le Immunoterapie Cellulari della Penn University che abbassa i tempi di lavorazione del farmaco, rendendolo disponibile per i malati in attesa in un arco di tre giorni, rispetto alle attuali tempistiche di produzione che oscillano tra 9 e 14 giorni. Per persone che versano in gravi condizioni, fiaccate dalle complicanze della malattia e dai numerosi trattamenti ricevuti, si tratta di un parametro cruciale che, tra l’altro, appare correlato alla potenza d’azione delle CAR-T stesse.
A due anni di distanza dal meeting ASCO in cui fu presentata per la prima volta la ricerca, questi risultati rappresentano più che un mero aggiornamento - specialmente perché i primi pazienti trattati sono ancora in remissione - facendo sperare in un futuro arrivo della nuova CAR-T grazie a cui si può ipotizzare di sconfiggere il tumore in una più larga fetta di persone.
CAR-T CONTRO L’EPATOCARCINOMA
Insieme al tumore del pancreas, uno dei tumori solidi con i minori tassi di sopravvivenza a lungo termine è quello del fegato che conta circa 12 mila nuove diagnosi all’anno (dati AIRTUM 2023) e oltre 9 mila decessi solo nel 2022. L’estensione della malattia e la funzionalità epatica residua sono parametri indispensabili per la definizione del trattamento che, se possibile, in prima battuta prevede il ricorso alla chirurgia. Nelle fasi avanzate l’immunoterapia e i farmaci a bersaglio molecolare si sono rivelati in grado di contrastare la malattia che però, in molti casi, avanza in maniera inesorabile. Perciò si rendono necessari trattamenti altamente specifici con cui colpire le cellule del tumore.
In un abstract presentato a Chicago, un gruppo internazionale di ricerca si è focalizzato sul ruolo dell’antigene di superficie GPC3, altamente espresso dalle cellule del carcinoma epatico ma non dai tessuti sani. Perciò è stata realizzata una nuova versione delle CAR-T - denominata C-CAR031 - ricavata dalle cellule di pazienti con epatocarcinoma in fase avanzata e diretta contro GPC3.
Le indagini condotte sui primi 24 pazienti - lo studio di Fase I prevede un totale di 44 persone da arruolare - avevano come obiettivo primario la sicurezza e la tollerabilità del nuovo farmaco, di cui si stanno studiando anche la farmacocinetica e l’efficacia preliminare. La sicurezza di C-CAR031 si è rivelata soddisfacente (la sindrome da rilascio delle citochine ha interessato 22 pazienti su 24 ma solo un caso si è rivelato di Grado 3). L’efficacia è stata calcolata su 22 pazienti: secondo quanto riportato dagli autori la riduzione del tumore ha interessato il 90,9% dei pazienti affetti sia da lesioni intra- che extra-epatiche. È un ottimo risultato che sancisce il buon profilo di sicurezza ed efficacia del trattamento e ci si augura possa trovare conferma anche nel proseguo dei lavori.
Le CAR-T sono un terreno fertile su cui la ricerca scientifica sta investendo sia in termini economici che intellettuali. Gli obiettivi - ben rappresentati da entrambe queste ricerche presentate all’ASCO - denotano la volontà di allargare gli intervalli di affidabilità delle nuove terapie fino a includere anche i tumori solidi, che oggi rappresentano una sfida molto più che ostica. Nel frattempo diverse aziende biotech stanno investendo su altre versioni delle CAR-T, come quelle in vivo, grazie a cui sarebbe possibile azzerare i tempi di attesa che, come accennato poco sopra, costituiscono un attuale limite all’utilizzo delle CAR-T in alcuni pazienti con malattia troppo avanzata. Inoltre, ricorrere alle CAR-T in vivo potrebbe rendere superflui gli ulteriori cicli di chemioterapia precedenti la somministrazione per eliminare le cellule tumorali residue dal sangue del paziente. Al momento sono in corso studi sui modelli animali che hanno dimostrato un buon livello di espansione delle cellule e di persistenza nell’organismo ma la partita è ancora tutta da giocare: le probabilità di vittoria non mancano ma la strada è lunga e non priva di ostacoli.