A differenza del metodo attuale - ex vivo – questa nuova strategia prevede di modificare geneticamente le cellule immunitarie direttamente all'interno del corpo
Sono passati oltre dieci anni da quando il “papà” delle terapie CAR-T, l'immunologo Carl June, e i suoi colleghi dell'Università della Pennsylvania riuscirono ad avviare uno studio clinico per testare quella che sarebbe diventata la capostipite di una nuova classe di innovativi farmaci per combattere i tumori. Da allora di terapie CAR-T ne sono state approvate diverse, per trattare la leucemia linfoblastica acuta, alcuni tipi di linfoma e il mieloma multiplo. Nonostante l’enorme passo avanti compiuto in oncologia grazie a questo nuovo approccio, restano però, alcune sfide da superare. Per esempio sviluppare CAR-T in grado di colpire anche i tumori solidi (quelle autorizzate fino ad oggi mirano ai tumori del sangue) e semplificarne il processo di produzione, in modo da ridurre i costi, renderne più pratica la somministrazione e di conseguenza favorire l’accesso alle cure. A questo stanno lavorando, per ora, cinque startup con risultati incoraggianti.
TERAPIA CAR-T “IN VIVO”
Il primo obiettivo a cui stanno puntando gli scienziati è la messa a punto di un sistema di somministrazione delle cellule CAR-T “in vivo”. Il sistema usato attualmente consiste nel prelevare le cellule T del paziente, che vengono poi congelate e spedite in un’officina autorizzata. Qui vengono ingegnerizzate per far esprimere alle cellule il recettore chimerico dell'antigene (CAR) ed espanse per raggiungere un numero adeguato alla funzione terapeutica. Infine vengono congelate e inviate di nuovo al centro clinico che le infonderà al paziente dopo circa duo o tre settimane. La maggior parte del processo avviene fuori dal corpo, in laboratorio e per questo è detto “ex vivo”. Con la terapia cellulare in vivo, invece, le aziende mirano a modificare le cellule immunitarie all'interno del corpo stesso, con l'aiuto di tecnologie come l'editing genomico e l'RNA messaggero.
I VANTAGGI DELLA SOMMINISTRAZIONE IN-VIVO
I vantaggi sarebbero diversi. In primo luogo una soluzione "in vivo" erogata attraverso un'infusione potrebbe essere più rapida e meno costosa da produrre. Oggi infatti le terapie CAR-T sono somministrate solo presso centri specializzati e sono meno accessibili per chi abita in aree rurali o nei Paesi più povere. Inoltre, il processo di produzione è oneroso e lungo: rischia di far perdere ai pazienti tempo prezioso. Le tecniche che prevedono l’ingegnerizzazione delle cellule all'interno del corpo potrebbero inoltre essere un'alternativa alle terapie “Off-the-shelf”, cioè pronte all’uso e non prodotte di volta in volta per ciascun paziente. Altro obiettivo a cui la comunità scientifica-farmaceutica punta da tempo, che si basa sull’utilizzo di cellule di un donatore e che potrebbero avere problemi di sicurezza ed efficacia. Infine, con la tecnica in vivo verrebbe meno la necessità di regimi di condizionamento chemioterapici oggi parte della procedura e comunque di impatto per i pazienti.
L’RNA MESSAGGERO
Osservando il panorama delle startup al momento attive su questo fronte, quella co-fondata dal pioniere June - la Capstan Therapeutics - sta utilizzando una tecnologia basata sull’mRNA simile a quella sfruttata nei vaccini contro il coronavirus SARS-Cov-2 con l’obiettivo di istruire le cellule T a riconoscere le cellule tumorali. I fondatori della startup hanno dimostrato in studi preclinici che, nei topi, le cellule del cuore sono in grado di assorbire le nanoparticelle lipidiche che veicolano l’mRNA, questo viene poi tradotto in nuove proteine di superficie per contribuire alla riparazione dei tessuti danneggiati. L’idea è, quindi, di sfruttare la stessa tecnica per addestrare le cellule T a distruggere le cellule tumorali, come le attuali terapie CAR-T. Il rischio però è che l'mRNA sintetico possa innescare una risposta immunitaria che, sebbene utile per un vaccino, potrebbe essere dannosa per un trattamento.
INGEGNERIA CELLULARE IN VIVO
Un’altra startup, Umoja Biopharma, fondata dai ricercatori del Seattle Children's Research Institute e della Purdue University, sta invece provando a utilizzare vettori virali (lentivirus) per veicolare geni progettati per “costruire” le cellule CAR-T direttamente nel corpo del paziente. Puntando allo stesso obiettivo, la startup Ensoma sta provando ad usare il genoma virale di un adenovirus per trasportare il sistema di editing genomico all’interno del corpo umano. Mentre Vector BioPharma sta utilizzando un approccio messo a punto da Andreas Pluckthun dell'Università di Zurigo, esperto di ingegneria delle proteine, per introdurre nell’organismo materiale genetico tramite particelle simili a virus. È importante sottolineare che gli approcci che utilizzano vettori virali non sono esenti da rischi.
ESPANSIONE INTERNA
Tra le altre startup attive in questo settore compare anche Interius BioTherapeutics, che si basa sulle ricerche del medico-scienziato dell'UPenn Saar Gill ed è guidata da Phil Johnson, già direttore scientifico presso il Children's Hospital di Philadelphia e Sana Biotechnology che sta lavorando alla terapia cellulare in vivo. Infine, le più nota azienda Novartis sta sviluppando un processo di produzione delle cellule CAR-T che riduce al minimo la quantità di lavoro svolto al di fuori del corpo, consentendo alle cellule modificate di espandersi all'interno dei pazienti piuttosto che in un laboratorio.
Nonostante il filone sia di grande interesse la ricerca è solo all’inizio. Nessuna delle startup citate ha al momento in programma studi clinici. Solo la biotech Sana prevede di chiedere entro la fine di quest’anno l’autorizzazione alla FDA (Food and Drug Administration) statunitense per iniziare un trial di Fase I con un trattamento in fase di sviluppo per due tipi di leucemia e linfoma non Hodgkin.