Dott. Ferreri

Il dott. Ferreri spiega i vantaggi di ricorrere ai linfociti T potenziati per trattare pazienti con linfoma follicolare, meno frequente del linfoma diffuso a grandi cellule ma non meno pericoloso.

L’automatismo che ci induce a pensare che le terapie mirate servano a trattare solo patologie rare è piuttosto comune dal momento che si considera che una “cura speciale” come le CAR-T possa trovare impiego soprattutto per una malattia poco nota ed orfana di cure. Tuttavia, ciò è vero solo in parte perché non bisogna dimenticare che, ad esempio tra i linfomi follicolari - la forma di linfoma indolente più frequente nel nostro Paese - vi sono alcune forme particolarmente aggressive che non rispondono ai trattamenti convenzionali e lasciano poco margine di speranza ai pazienti.

Tali pazienti costituiscono un gruppo più raro nel più vasto insieme degli individui con linfoma follicolare ed è esattamente contro queste forme più severe da cui essi sono afflitti che entrano in gioco le terapie CAR-T come tisagenlecleucel, autorizzato sia dall’EMA che dall’AIFA per pazienti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B e leucemia linfoblastica acuta delle cellule B.

Tuttavia, lo scorso novembre è stato diramato un comunicato stampa dell’Ospedale San Raffaele di Milano nel quale si legge che, per la prima volta in Italia, un paziente affetto da linfoma follicolare refrattario alle terapie di prima e seconda linea è stato trattato con le cellule CAR-T. Si tratta di un uomo sulla cinquantina che, secondo quanto affermato dai medici che lo stanno seguendo, non ha riportato eventi avversi e, dopo essere stato dimesso dall'ospedale, è tornato a casa in attesa degli esami di monitoraggio che permetteranno di attestare l’efficacia del trattamento. Un gol netto segnato contro la malattia che il dott. Andrés J. M. Ferreri, responsabile dell’Unità Linfomi presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, commenta partendo proprio dallo spiegare il tipo di linfoma preso in causa.

IL LINFOMA FOLLICOLARE

“I linfomi follicolari rappresentano il secondo tipo di linfoma più frequente nei Paesi occidentali”, afferma il dott. Ferreri che, insieme al prof. Fabio Ciceri, direttore dell’Unità di Oncoematologia e Trapianto di Midollo Osseo dello stesso ospedale, sta seguendo il paziente. “Circa un paziente su cinque di quelli affetti da linfoma presenta una forma follicolare che, solitamente, è meno aggressiva rispetto ad altre tipologie di linfoma. Un terzo di questi pazienti non riceve alcun trattamento alla diagnosi visto che questa è una malattia indolente e, ad oggi, non è guaribile, a differenza del linfoma diffuso a grandi cellule B. Dal momento che il linfoma follicolare ha la tendenza a recidivare, l’anticipazione del trattamento non necessariamente migliora la sopravvivenza per cui si attende l’insorgenza dei sintomi o il coinvolgimento di organi nobili per dare avvio al trattamento”.

Tuttavia, in alcuni casi si assiste a una rapida progressione della malattia o ad una recidiva precoce del tumore nonostante siano state messe in campo le più moderne terapie di prima linea. “In questi casi esistono varie strategie e tra le più usate c’è la chemio-immunoterapia che associa uno o più agenti chemioterapici ad un anticorpo monoclonale capace di riconoscere e colpire un bersaglio specifico. Nello specifico si tratta del CD-20 presente propri nelle cellule tumorali”, prosegue Ferreri. “Quindi si avvia una terapia di mantenimento con questo tipo di anticorpo fino ad un’eventuale ulteriore progressione di malattia”.

SELEZIONARE I PAZIENTI PER LE CAR-T

L’utilizzo delle CAR-T è rivolto sostanzialmente ad una casistica ristretta di pazienti nei quali il tumore ha ben precise caratteristiche di aggressività e resistenza ai trattamenti, lasciando loro poche speranze. “Lo studio più rilevante è il trial ELARA di Fase II, sponsorizzato da Novartis, nel quale si usa un anticorpo anti-CD19 presente sia nei linfociti B tumorali che in quelli normali”, spiega Ferreri. “Per un tumore come questo si selezionano pazienti che abbiano certe caratteristiche e abbiano ricevuto almeno due linee di trattamento, siano già stati sottoposti a un trapianto autologo di cellule staminali, o abbiano un linfoma che recidiva durante o entro 6 mesi dal completamento di un trattamento di mantenimento. Inoltre devono avere buona funzionalità d’organo.” I criteri di inclusione di ELARA sono dunque rivolti a individui con una malattia recidivante o refrattaria e potenzialmente in grado di tollerare i potenziali eventi avversi del trattamento. “Le cellule CAR-T usate sono le stesse già autorizzate per il linfoma diffuso a grandi cellule B”, chiarisce l’esperto del San Raffaele. “In questo caso miriamo ai casi più gravi all'interno di una forma di linfoma indolente. Purtroppo questi pazienti non hanno valide alternative terapeutiche e sono destinati a terapie di salvataggio associate ogni volta a regressione tumorali progressivamente di minor entità e durata fino alle estreme conseguenze della malattia. Con un intervento tempestivo, speriamo che le cellule CAR-T diano una remissione di lunga durata”.

Da una parte dunque l’aggressività non è la medesima in tutti i pazienti e, dall'altra, le CAR-T non possono essere somministrate a tutti indistintamente. “Di tutti i pazienti affetti da linfoma follicolare quelli eleggibili per ricevere le CAR-T sono circa il 20% e di questi approssimativamente un quinto riceverà effettivamente questo trattamento”, conclude Ferreri. “Dobbiamo ricordare che la terapia con CAR-T, come attualmente prevista, può essere somministrata solo in centri specializzati e solo all'interno di un trial prospettico come quello attivato qui all'Ospedale San Raffaele di Milano, centro coordinatore unico per l’Italia dello studio clinico ELARA. Tutto ciò serve a far comprendere che, purtroppo, la possibilità di arruolare tanti pazienti è limitata e procede al ritmo di un paziente al mese”.

Un quadro che, all'apparenza, può raffreddare gli entusiasmi ma che, in realtà, risulta estremamente positivo. In primo luogo, per questo sottogruppo di pazienti per i quali spesso si rende necessario un trattamento intensificato con una chemioterapia supportata, laddove le condizioni fisiche lo permettano, da un trapianto di cellule staminali autologhe. Al contrario, quando questo non sia consentito, il controllo della malattia passa attraverso l’uso di chemioterapici a dosi convenzionali o il ricorso alla terapia bersaglio, grazie ad alcune molecole che bloccano specifiche cascate enzimatiche all'interno delle cellule tumorali. In secondo luogo, allargando il denominatore di pazienti che potranno beneficiare della terapia con cellule CAR-T e aggiungendo anche l’indicazione del linfoma follicolare recidivante o refrattario a quella già approvata del linfoma diffuso a grandi cellule B, se si otterranno risultati positivi, nell'arco degli anni, come sempre succede in oncologia, si spera di ottenere anche un abbassamento dei costi di queste nuove terapie avanzate.

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