Non tutti gli ospedali potranno somministrare la terapia ma solo quelli che rispondono a quattro criteri stabiliti da AIFA. Non tutte le regioni hanno selezionato le strutture idonee, attualmente i centri operativi si trovano più che altro al Nord
A due mesi dall’entrata in commercio in Italia di tisagenlecleucel – la terapia CAR-T (Chimeric Antigens Receptor Cells-T) sviluppata da Novartis con il nome commerciale Kymriah – la lista dei centri accreditati dove sarà possibile erogare l’innovativo medicinale, è ancora in via di definizione. Non trattandosi di un farmaco “tradizionale”, che si può trovare già confezionato in farmacia o in ospedale, ma di un farmaco “vivo”, che viene prodotto a partire dalle cellule del paziente stesso, la sua preparazione e somministrazione richiede un iter lungo e complesso. Motivo per cui non tutti gli ospedali potranno erogarla, ma solo quelli che dispongono di particolari requisiti normativi e qualitativi. L’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) riporta che “la terapia CAR-T è un trattamento altamente specializzato e personalizzato. Per tali motivi può essere somministrata in un numero limitato di centri di ematologia e onco-ematologia, pediatrica e per adulti, ad alta specializzazione per il trattamento delle leucemie e dei linfomi, con specifici requisiti (tra cui la disponibilità di accesso alla terapia intensiva) e autorizzazioni per le terapie cellulari”.
Sono quattro in particolare i criteri richiesti da AIFA per poter accreditare un centro alla somministrazione di tisagenlecleucel: 1) una certificazione rilasciata dal Centro nazionale trapianti e dal Centro nazionale sangue che attesta la rispondenza del Centro trapianti midollo osseo ai requisiti previsti dalle direttive europee; 2) l’accreditamento Jacie 7.0 per il trapianto allogenico; 3) la disponibilità di un’Unità di terapia intensiva e rianimazione; 4) la disponibilità di un team multidisciplinare qualificato per la gestione clinica del paziente e delle sue possibili complicanze.
I primi due requisiti sono dovuti al particolare processo di produzione della terapia cellulare CAR-T, che prevede un primo prelievo dei linfociti T (cellule del sistema immunitario) del paziente, mediante una tecnica chiamata leucoaferesi. Le cellule vengono poi spedite a officine o laboratori specializzati e accreditati (al momento i centri di riferimento di Novartis si trovano all’estero: negli Stati Uniti, in Germania e Francia), dove sono ingegnerizzate con l’inserimento di un recettore chimerico. Dopodiché i “linfociti T potenziati”, tornano in ospedale, dove saranno reinfusi nel paziente. Di fatto dunque si tratta di un trapianto di cellule del paziente, che spiega il perché dei primi due criteri stabiliti da AIFA.
Gli altri due riguardano invece le possibili complicanze che possono manifestarsi in seguito a somministrazione della terapia CAR-T, ovvero la sindrome da rilascio di citochine e la neurotossicità. Paolo Corradini, Presidente Società Italiana di Ematologia, in una conferenza stampa tenutasi a Milano, lo scorso giugno, aveva sottolineato come fosse fondamentale muoversi tempestivamente ai primi segni di sviluppo delle complicanze, con terapie appropriate (nel caso della sindrome da rilascio di citochine, farmaci corticosteroidei o anticorpi che bloccano le citochine coinvolte nella fisiopatologia della condizione). La neurotossicità, invece, in rarissimi casi occorsi in soggetti adulti, è risultata essere anche fatale. Da qui l’importanza di poter contare su un “CAR-T cells team”, multidisciplinare, altamente specializzato e adeguatamente formato, che sappia gestire le eventuali criticità.
I centri che dispongono dei requisiti richiesti, una volta selezionati dalle regioni, devono avviare una lunga procedura di qualificazione e negoziazione dei contratti con l'azienda produttrice. All’inizio di settembre, in occasione di un incontro svoltosi a Basilea, Novartis aveva dichiarato che le regioni italiane che avevano deliberato sulle terapie CAR-T, stabilendo le strutture dove sarebbero stati trattati i pazienti, erano sette: Liguria, Lombardia, Lazio, Toscana, Abruzzo, Umbria e Emilia Romagna. I centri già qualificati o in fase di qualifica per studi clinici presenti o in programma, sempre al tempo, erano invece dieci: Humanitas, IRCCS Istituto Nazionale Tumori (Int) e San Raffaele, a Milano; Fondazione Monza e Brianza per il bambino e la sua mamma a Monza; Città della salute e della scienza e l'ospedale infantile Regina Margherita a Torino; Sant'Orsola a Bologna; Bambino Gesù, Policlinico Gemelli e Umberto I a Roma.
Stando a quanto riferito più di recente da Corradini, durante il Congresso Nazionale della Società Italiana di Ematologia (SIE) che si è svolto a Roma dal 7 al 9 ottobre, i centri pronti a erogare il prodotto commerciale oggi sono: cinque in Lombardia, uno in Emilia Romagna, due nel Lazio e altri che sono in via di definizione (come in Piemonte, Veneto e Toscana). Attualmente in Lombardia sarebbero dodici le strutture accreditate o in fase di accreditamento. Oltre ai già citati Istituto Nazionale dei Tumori, San Gerardo di Monza e San Raffaele di Milano, anche l’Ospedale di Bergamo PGXXIII, starebbero già erogando le terapie. Altri Ospedali, come il Niguarda appunto, sono invece in fase di qualifica e saranno pienamente operativi tra pochi mesi sempre secondo quanto riferito dal clinico.
In Piemonte invece a oggi l’unico centro accreditato sembra essere il Presidio Ospedaliero Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza Torino. A luglio, ancora prima dell’accordo tra Novartis e AIFA, Franca Fagioli, Direttore SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti, Presidio Ospedaliero Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza Torino, aveva precisato come da sola la struttura non avrebbe potuto garantire la somministrazione della terapia a base di cellule CAR-T, ma era necessario collaborare anche con altre strutture della sanità regionale. Preoccupazione condivisa anche da Patrizio Mazza, direttore della struttura di Ematologia dell'ospedali Moscati di Taranto, specializzata in onco-ematologia e dotata della certificazione del Centro Nazionale Trapianti e dell'accreditamento Jacie per trapianto allogenico a settembre. L’unico centro in tutta la Puglia, come aveva ricordato lo stesso Mazza, con preoccupazione per il carico assistenziale per la struttura.
In Toscana una delibera approvata lo scorso 28 agosto su proposta dell’assessore alla Salute, Stefania Saccardi, portava da due a quattro le aziende ospedaliero-universitarie per eseguire la terapia CAR-T: Careggi e Meyer a Firenze, l’Aou di Pisa e quella di Siena. La Regione, tramite l’organo di informazione della giunta regionale ToscanaNotizie, aveva spiegato che i centri autorizzati per l’utilizzo delle CAR-T avrebbero dovuto individuare specifici percorsi di trattamento interni, omogenei e condivisi tra tutte le Aou, che dovevano coinvolgere diverse aree terapeutiche (centri ematologici di trapianto di cellule staminali emopoietiche; terapia intensiva; neurologia; farmacia ospedaliera). I centri abilitati inoltre dovevano garantire che il personale interno individuato nel percorso completasse un programma educazionale multidisciplinare per consentire la totale gestione della terapia.
La scorsa settimana infine, anche la Regione Sicilia ha individuato i suoi centri prescrittori: l’azienda Ospedali Riuniti Villa Sofia di Palermo, la clinica La Maddalena di Palermo e il Policlinico Vittorio Emanuele di Catania. Il riconoscimento ufficiale è arrivato con la pubblicazione venerdì 27 settembre, nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del decreto dell’assessore alla Salute, Ruggero Razza, che in Sicilia ha individuato i tre centri in possesso dei requisiti necessari.