CAR-T

Uno studio pubblicato su The New England Journal of Medicine conferma che le cellule CAR-T possono costituire una valida opzione per i pazienti con il tumore in forma recidivante o resistente

La terapia perfetta non esiste, specialmente in Oncologia. È un concetto molto duro da accettare ma corrisponde alla verità perché nella lotta contro il cancro nulla funziona completamente: quello che, tuttavia, permette di guardare al futuro con ottimismo è la trasversalità d’applicazione che trova un ottimo esempio nelle terapie a base di cellule CAR-T già approvate contro il linfoma diffuso a grandi cellule B, in sperimentazione contro il linfoma follicolare e ora promettenti anche contro il linfoma mantellare.

Ad inizio aprile sulle pagine di The New England Journal of Medicine è stato pubblicato un articolo nel quale si evidenzia la potenzialità della terapia CAR-T KTE-X19 (brexucabtagene autoleucel) di indurre una risposta duratura in pazienti affetti da forme recidivanti o refrattarie al trattamento di linfoma mantellare. Questo tipo di tumore rientra nel più ampio insieme dei linfomi non-Hodgkin che rappresentano circa il 5% di tutte le neoplasie maligne, ma la cui incidenza è in costante aumento. Si tratta di una forma neoplastica a malignità intermedia che può essere trattata combinando l’uso di farmaci chemioterapici e anticorpi monoclonali. Purtroppo, in diversi casi la malattia appare resistente alle terapie o può recidivare complicando in maniera notevole l’approccio terapeutico. In questi casi, infatti, si ricorre agli inibitori della tirosin-chinasi di Bruton (BTK) come Ibrutinib ma quando anche questi falliscono il loro obiettivo la prognosi diviene infausta e la sopravvivenza dei pazienti si riduce a 6-10 mesi.

È proprio in queste situazioni che i ricercatori dell’M.D. Anderson Cancer Center dell’Università del Texas hanno pensato di impiegare KTE-X19, una terapia a base di cellule CAR-T prodotta da Kite Pharma (biotech rilevata da Gilead nel 2017) strutturalmente simili ad axicabtagene ciloleucel (Yescarta) ma studiate per adattarsi in maniera ancor più mirata alle caratteristiche istologiche del linfoma mantellare. In tal senso è stato allestito lo studio clinico ZUMA-2, un trial multicentrico di Fase II nel quale sono stati attualmente arruolati 105 pazienti affetti da linfoma mantellare recidivante o refrattario a precedenti trattamenti che includevano chemioterapia, anticorpi monoclonali e inibitori della BTK. Il primo obiettivo dello studio era la valutazione della risposta, completa o parziale, al trattamento: dei primi 60 pazienti il 93% ha risposto e nel 67% dei casi la risposta è stata completa. Il dato in sé è molto più che interessante ed è stato ricavato dopo un periodo di follow-up di 7 mesi.

I dati pubblicati riguardano 74 pazienti e di questi l’85% ha mostrato una risposta positiva che nel 59% si è rivelata una risposta completa. La valutazione degli obiettivi secondari dello studio permette di andare più a fondo e osservare che, a circa un anno dalla prima somministrazione, il 57% dei pazienti era in remissione completa con una sopravvivenza libera da progressione stimata del 61% e un sopravvivenza globale dell’83%. Mediamente il tempo trascorso dal processo di leucaferesi (processo con cui sono state prelevate le cellule destinate ad essere ingegnerizzate) fino al momento dell’infusione nei pazienti di KTE-X19 è stato di 16 giorni e le prime risposte sono state osservate nei pazienti a circa un mese dalla somministrazione.

Al momento dell’analisi dei dati il 76% dei pazienti era ancora in vita e tutti sono incorsi in almeno un evento avverso di grado tre o superiore: i più comuni sono stati la carenza di elementi corpuscolari nel sangue (neutropenia, trombocitopenia o anemia) e l’insorgenza di infezioni. Nel 91% dei casi è stata osservata anche la sindrome da rilascio delle citochine, insorta mediamente a un paio di giorni dalla somministrazione della terapia a base di CAR-T e contrastata efficacemente con tocilizumab, glucocorticoidi e farmaci vasopressori. Oltre ad un profilo di sicurezza in linea con altre terapie a base di cellule CAR-T, gli autori hanno segnalato che in un’elevata frazione di pazienti con un indice di proliferazione Ki67 superiore al 50% inclusi nello studio è stata osservata una risposta obiettiva, a conferma che questo tipo di trattamento può davvero costituire una valida opzione per i pazienti con una prognosi severa e nessuna alternativa terapeutica.

 

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