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Sono stati pubblicati i dati iniziali dello studio clinico di Fase III per la valutazione di delandistrogene moxeparvovec e l’EMA ha dato l’ok all’uso di una misura di valutazione digitale all’interno dei trial 

A fine ottobre sono stati condivisi i risultati relativi alla prima parte dello studio di Fase III EMBARK sulla terapia genica delandistrogene moxeparvovec (nome commerciale Elevidys) per il trattamento della distrofia muscolare di Duchenne (DMD). Pur non essendo stato raggiunto l’obiettivo primario, quelli secondari hanno evidenziato una differenza statisticamente significativa nei bambini trattati rispetti a quelli a cui è stato somministrato il placebo. Inoltre, durante l’estate, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha riconosciuto per la prima volta la possibilità di utilizzare una innovativa misura di valutazione digitale chiamata SV95C (Stride Celocity 95th Centile) come obiettivo primario in studi clinici su pazienti DMD deambulanti a partire dai 4 anni di età.

EMBARK: RISULTATI INATTESI, MA NON È UN FALLIMENTO

Gli insuccessi fanno parte del lungo percorso dei trial clinici e la ricerca di un trattamento in grado di agire sul difetto genetico che causa la distrofia muscolare di Duchenne non è da meno. Elevidys è stata la prima terapia genica ad arrivare alla sperimentazione sui pazienti Duchenne e a tagliare il traguardo dell’autorizzazione. Grazie ai risultati promettenti degli studi clinici 101, 102 e 103, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha concesso, lo scorso giugno, un’approvazione accelerata che consente di somministrare la terapia ai pazienti di età compresa tra i 4 e i 5 anni. Non è una soluzione adatta a tutti i pazienti, ma è uno spiraglio da cui si intravede la luce in fondo al tunnel del lunghissimo cammino che la ricerca ha fatto negli ultimi due decenni nell’ambito della Duchenne. Delandistrogene moxeparvovec è la prima terapia avanzata per la DMD a raggiungere questi traguardi, è inoltre autorizzata anche negli Emirati Arabi Uniti e in Qatar.

La terapia genica sviluppata da Sarepta Therapeutics - la cui commercializzazione europea è gestita da Roche - utilizza un vettore virale adeno-associato per trasportare nelle cellule del muscolo una versione più piccola della distrofina, la proteina che risulta difettosa o addirittura assente nei pazienti DMD, ripristinando almeno parzialmente la sua funzionalità. La distrofina è fondamentale per dare stabilità alle fibre muscolari e, infatti, una delle prime manifestazioni della DMD è la debolezza muscolare che colpisce tutto il corpo fin dalla prima infanzia, per poi degenerare fino alla perdita della capacità di camminare e muoversi in autonomia. Dall’adolescenza in poi colpisce anche i muscoli che permettono la respirazione e il muscolo cardiaco. Rallentare e -magari -fermare questa degenerazione permetterebbe di migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Proprio per questi motivi, tutta la comunità DMD – dai pazienti ai medici – era in fermento per la pubblicazione dei risultati dello studio EMBARK, che sono il frutto di un’analisi condotta dopo un anno di osservazione di 125 pazienti deambulanti con DMD di età compresa tra i 4 e i 7 anni che hanno ricevuto la terapia genica o il placebo. I dati ricavati, però, non sono stati quelli sperati. Come spiegato nella lettera che Parent Project aps (associazione di pazienti e genitori con figli affetti da distrofia muscolare di Duchenne e Becker) ha ricevuto da Roche: lo scopo primario del trial clinico di Fase III EMBARK era quello di “dimostrare una differenza nel cambiamento del punteggio totale della valutazione North Star Ambulatory Assessment (NSAA) dopo il trattamento con la terapia genica delandistrogene moxeparvovec (Elevidys) rispetto al placebo. L’NSAA misura le capacità di funzione motoria nella DMD. I partecipanti trattati con delandistrogene moxeparvovec hanno mostrato un miglioramento delle capacità motorie, rispetto ai partecipanti trattati con placebo; tuttavia, la differenza non è stata statisticamente significativa. Sono stati osservati miglioramenti clinicamente significativi e statisticamente significativi in entrambi gli endpoint funzionali secondari pre-specificati (tempo per alzarsi dal pavimento e test del cammino di 10 metri). Sono stati osservati miglioramenti anche in altri endpoint funzionali secondari. I risultati sono stati coerenti tra i gruppi di età trattati con delandistrogene moxeparvovec, rispetto al placebo. La sicurezza di delandistrogene moxeparvovec è risultata coerente con altri studi e non sono stati osservati nuovi eventi avversi.” 

Per ora sono disponibili solo i dati principali, ma ulteriori risultati provenienti da questa prima parte dello studio saranno presentati da Sarepta Therapeutics appena possibile. Roche discuterà i risultati di questa prima parte del trial EMBARK con l’EMA per valutare i prossimi passi verso l’eventuale approvazione da parte dell’ente regolatore europeo. Inoltre, i risultati dello studio saranno fondamentali per la valutazione di un’estensione dell’indicazione terapeutica negli Stati Uniti. La conclusione della parte 2 dello studio EMBARK è prevista per la fine del 2024, ma ci sono altri trial clinici che riguardano la terapia genica: quello di Fase III ENVISION che coinvolge pazienti più grandi e che per ora ha completato l’arruolamento negli Stati Uniti e inizieranno entro la fine dell’anno con l’arruolamento in altri Paesi; e lo studio di Fase II ENVOL, progettato per bambini fino ai 4 anni, che non è ancora iniziato.

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELLA DMD

Lo sviluppo di nuove terapie per la distrofia di Duchenne sta determinando la necessità di metodi più efficienti per rilevare i cambiamenti nella progressione della malattia. Per analizzare gli effetti di un potenziale nuovo trattamento vengono utilizzati parametri e scale di misurazione che tengono in considerazione, ad esempio, la funzionalità muscolare. Pur essendo strumenti efficaci per seguire l’evoluzione della Duchenne nel corso degli anni, non sono adatti a evidenziare variazioni della funzionalità muscolare in un contesto eterogeneo di progressione, caratteristica della malattia degenerativa, o nell’arco di tempo limitato in cui si svolge uno studio clinico. La tecnologia wearable, che significa indossabile, può essere d’aiuto. Sono strumenti ormai noti a tutti, basti pensare a quanti indossano uno smartwatch in grado di rilevare dati quali il battito cardiaco o il ritmo del sonno, che stanno trovando impiego anche in diversi ambiti della medicina.

L’EMA ha quindi deciso di autorizzare l’utilizzo della Stride Velocity al 95° centile (SV95C) come endpoint primario in alternativa al più classico 6 Minute Walking Test (che misura la distanza che si riesce a percorrere in 6 minuti di camminata), a condizione che questa misura sia supportata da risultati coerenti negli endpoint di efficacia stabiliti come endpoint secondari. SV95C, che era già stato autorizzato in precedenza come endpoint secondario, è il primo endpoint digitale ad essere stato approvato da un ente regolatore, che per ora ha dato l’ok al suo utilizzo in trial clinici che coinvolgono pazienti Duchenne deambulanti di età pari o superiore a quattro anni. SV95C, utilizzato nella quotidianità, fornisce una visione completa, diretta e clinicamente significativa della capacità muscolare del paziente nel mondo reale e misura la progressione della malattia, o l’efficacia della terapia, in modo costante. Gli endpoint digitali vengono acquisiti da un sensore durante le attività della vita quotidiana per acquisire dati di movimento clinicamente significativi. Come spiegato sul comunicato stampa, SV95C può essere rilevata secondo gli standard normativi da ActiMyo® e Syde®, due dispositivi indossabili basati sulla tecnologia proprietaria di SYSNAV Healthcare, azienda che ha sviluppato anche SV95C.

In futuro, grazie a queste tecnologie, i pazienti coinvolti in uno studio clinico non dovranno spostarsi da casa e potranno essere monitorati costantemente, in modo da ricavare dati di “real-world” che permettono di valutare la progressione della malattia - misurando in modo accurato la capacità di camminare del paziente - e la risposta al trattamento in un contesto di vita quotidiana. Oltre a essere un passo avanti dal punto di vista della gestione dei trial clinici e della raccolta dati, innovazioni come questa migliorano molto la qualità di vita dei pazienti, che non sono costretti a muoversi continuamente verso i centri clinici per effettuare le misurazioni.

Con il contributo incondizionato di

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