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L’idea brillante di un gruppo di scienziati statunitensi si è trasformata in una ricerca - per ora ferma alla fase preclinica - che potrebbe cambiare il significato delle CAR-T nella lotta ai tumori

Da quando sono state autorizzate e immesse sul mercato, le terapie a base di cellule CAR-T hanno saputo far parlare di sé e, nel giro di qualche anno, sono diventate il “game changer” delle terapie avanzate. Alcune forme di leucemia e di linfoma - e più di recente anche di mieloma - particolarmente resistenti ai trattamenti si sono trasformate nei bersagli ideali dei linfociti T ingegnerizzati e potenziati per combattere il cancro. Ma le CAR-T non sono solo questo: nella loro duttilità esse possono acquisire altre funzioni e diventare delle “mini-fabbriche” di farmaci, come descritto dallo studio pubblicato a fine dicembre sulla rivista Nature Chemical Biology.

Lo studio degli scienziati statunitensi coordinati dal prof. Derek Tan e dal prof. David A. Scheinberg, presidente del programma di farmacologia molecolare dello Sloan Kettering Institute di New York, ha dimostrato come i linfociti T possano non solo essere trasformati in forze d’assalto specializzate per combattere il cancro – come raccontato nella puntata dedicata alle CAR-T del podcast “Reshape - Un viaggio nella medicina del futuro” - ma anche in sofisticati sistemi di trasporto di farmaci, destinati a colpire in maniera mirata le cellule tumorali. In tal senso essi hanno dimostrato come le loro nuove cellule (rinominate SEAKER, Synthetic Enzyme-Armed KillER ovvero cellule sintetiche armate di enzima) siano in grado di produrre un enzima che “attiva” il farmaco tumorale direttamente nella sede del tumore. Per comprendere meglio la portata di questa ricerca va ricordato che non è sempre facile far giungere direttamente nella sede del tumore i farmaci antitumorali, alcuni dei quali, per le loro caratteristiche farmacologiche, non possono essere rilasciati nel circolo sanguigno ma devono giungere a contatto con le cellule tumorali al fine di esplicare la loro funzione e non danneggiare l’organismo. 

L’idea di sfruttare i recettori specificamente espressi da un tumore per veicolare contro di esso un farmaco ha portato allo sviluppo di alcuni composti che in medicina nucleare stanno producendo buoni risultati contro certi tumori neuroendocrini (i GEP-NET). Sebbene il principio adottato dagli scienziati americani possa sembrare simile, in realtà le cellule SEAKER da essi sviluppate agiscono in maniera del tutto diversa e permettono di superare alcuni problemi legati alle versioni precedenti delle CAR-T. In questo caso, infatti, il farmaco in questione è “prodotto” dalle cellule CAR-T: grazie alla specificità del loro recettore CAR, esse riconoscono le cellule tumorali e, una volta fatto ciò, “tagliano” una parte del farmaco iniettato nel circolo, attivandolo solo in presenza delle cellule da colpire. Questo speciale approccio - che citando una famosa canzone dei Metallica potremmo chiamare “Seek and Destroy” - combina da una parte la specificità di riconoscimento delle CAR-T e dall’altra la loro capacità di produzione di molecole usate per colpire con la massima precisione il tumore.

Tuttavia, uno dei più notevoli ostacoli all’utilizzo delle cellule CAR-T è che esse faticano a superare le insidie del microambiente tumorale e ciò le rende poco adatte a combattere i tumori solidi. Inoltre, le cellule tumorali - che già in partenza presentano sulla loro superficie cellulare un’ampia gamma di antigeni - tendono a evolversi e possono smettere di esporre quello contro cui sono indirizzate le CAR-T. Infine, c’è da considerare il problema dell’esaurimento dell’effetto delle CAR-T nel tempo. Ma, grazie alla loro speciale modalità d’azione, le cellule SEAKER sviluppate dal team di Scheinberg e Tan favoriscono la produzione del farmaco non solo per le cellule che presentano l’antigene specifico preso di mira dal CAR, ma anche per quelle vicine che non lo mostrano. Inoltre, è stato possibile vedere come la produzione del farmaco antitumorale prosegua anche dopo l’eventuale esaurimento dell’azione delle cellule in forza dell’azione del loro enzima che continua ad attivare il farmaco.

Gli ottimi risultati dei ricercatori del Memorial Sloan Kettering Cancer Center sono stati ottenuti su modelli murini e saranno necessari ancora degli anni prima di capire se tale approccio funzionerà anche negli esseri umani, ma gli scienziati sono ottimisti. E grazie all’interessamento di CoImmune, un’azienda di biotecnologie già attiva nella ricerca sulle cellule CAR-CIK, lo sviluppo di questa nuova piattaforma tecnologica potrebbe procedere ancora più speditamente. Anche perché il potenziale di questo filone di ricerca va oltre l’ambito oncologico, visto che le cellule SEAKER possono essere programmate e costruite con farmaci destinati a contrastare malattie autoimmuni o infezioni. 

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