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I microrganismi sono stati ingegnerizzati, per esprimere proteine tumorali uniche, e indirizzati verso il tumore per istruire il sistema immunitario a riconoscere e attaccare le cellule cancerose

A fine Ottocento, il chirurgo newyorkese William Coley osservò per primo la completa regressione di un osteosarcoma in seguito a un’infezione da streptococco. Come raccontato da OTA nel podcast “Reshape – Un viaggio nella medicina del futuro”, fu così che iniziò a iniettare nei pazienti oncologici una miscela batterica, dando origine alla prima forma di immunoterapia della storia. Sebbene all’epoca non fosse chiaro il loro meccanismo, oggi sappiamo che i batteri possono stimolare il sistema immunitario a combattere i tumori. Più di un secolo dopo la scoperta di Coley, è possibile creare versioni più precise e mirate di questi batteri “killer” come veri e propri proiettili di precisione, in grado di colpire specificamente le caratteristiche molecolari del tumore. È questo l’obiettivo raggiunto dai ricercatori della Columbia University che hanno realizzato un vaccino batterico personalizzato per combattere il cancro, descritto un paio di settimane fa su Nature.

IL MICROBIOTA TUMORALE

Il nostro corpo ospita comunità di microrganismi specifici in ogni suo distretto, e di recente si è scoperto che i tumori non fanno eccezione: possiedono anch'essi un microbiota unico, che ne influenza sia la progressione che la risposta alle terapie. Negli ultimi due decenni, è stata confermata la presenza di batteri specifici in diversi tumori, come quelli al seno, ai polmoni, al pancreas, alle ovaie e al cervello.

Il fatto sorprendente è che il tumore è considerato un luogo estremamente inospitale per la vita. La crescita rapida delle cellule neoplastiche supera spesso l’apporto di ossigeno e di nutrienti forniti dai vasi sanguigni, generando condizioni di ipossia e scarsità di sostanze nutritive. Inoltre, l’accumulo di prodotti di scarto del metabolismo cellulare, come l’acido lattico, rende l’ambiente acido e ostile.

Ma la vita ha molteplici forme e alcune specie di batteri anaerobi facoltativi o obbligati, come Eschirichia coli, Salmonella, Clostridium butyricum e Listeria, riescono a colonizzare i tumori e a prosperare al loro interno. Abituati a vivere in assenza di ossigeno e a pH estremi, possono proliferare nel microambiente tumorale senza ostacoli, sfruttando anzi “l’effetto bunker” del tumore, che attiva meccanismi immunosoppressivi per difendersi dal sistema immunitario.

UN’ARMA CONTRO I TUMORI

Alcuni batteri possono favorire la crescita e sopravvivenza del tumore, aiutandolo a eludere la risposta immunitaria o a resistere alla chemioterapia. Altri, invece, si comportano in maniera opposta, attivando una risposta immunitaria contro il tumore. È il caso della famosa “tossina di Coley”: la miscela iniettata dal chirurgo newyorkese funzionava perché le tossine batteriche richiamavano le cellule del sistema immunitario, contrastando il blocco immunosoppressivo creato dal tumore e potenziando le difese contro le stesse cellule cancerose.

Oggi lo stesso approccio viene utilizzato per trattare il cancro alla vescica in fase iniziale. Il Bacillus Calmette-Guerìn (BCG), un batterio attenuato usato come vaccino contro la tubercolosi, viene somministrato direttamente nella vescica, stimolando una risposta infiammatoria che colpisce non solo le cellule infettate, ma anche quelle tumorali.

Le tossine di Coley o il BCG, dunque, non sono farmaci diretti specificamente contro il cancro, ma sono in grado di innescare una risposta immunitaria proprio nel sito della malattia. Le cellule tumorali finiscono semplicemente per essere le vittime collaterali. Oggi, invece, non solo è possibile sfruttare la capacità dei batteri di colonizzare i tumori per “risvegliare” il sistema immunitario, ma anche di ingegnerizzare i batteri con istruzioni o farmaci specifici per colpire il tumore.

IL VACCINO BATTERICO PERSONALIZZATO

I ricercatori della Columbia University, ad esempio, hanno ingegnerizzato dei batteri probiotici della specie Escherichia coli per esprimere delle proteine specifiche del tumore, chiamate neoantigeni, con lo scopo di istruire il sistema immunitario a riconoscere e distruggere le cellule tumorali, proprio come farebbe un vaccino. La particolarità dei neoantigeni è che non esistono nelle cellule sane, poiché sono generati da mutazioni casuali nel genoma tumorale, che variano da persona a persona. Un vaccino a base di neoantigeni, dunque, rappresenta una terapia personalizzata, efficace solo contro il tumore che esprime quelle specifiche proteine, ma non contro i tessuti sani che invece non le possiedono.

Per realizzare un vaccino di questo tipo, il primo passaggio consiste nel sequenziare il genoma del tumore e identificare i neoantigeni, con strumenti informatici capaci di valutare se una specifica proteina può attivare il sistema immunitario. In seguito, i batteri vengono ingegnerizzati per produrre grandi quantità di neoantigeni e altri fattori immunomodulatori e, quindi, infusi nel paziente. Attraverso il circolo sanguigno, essi raggiungono il tumore e si stabiliscono al suo interno, rilasciando i neoantigeni, che stimolano il sistema immunitario a combattere il tumore e a prevenire la formazione di metastasi.

I ricercatori hanno testato la strategia su modelli murini per il melanoma e il cancro al colon retto, osservando che l’azione dei batteri è in grado di reclutare un’ampia varietà di cellule immunitarie e di aggirare i meccanismi immunosoppressivi che i tumori utilizzano per bloccare la risposta immunitaria. Il vaccino ha anche impedito la ricrescita dei tumori nei topi guariti, suggerendo un possibile impiego nella prevenzione delle recidive nei pazienti in remissione.

TERAPIE SU MISURA PER I PAZIENTI

Poiché ogni tumore presenta un insieme unico di neoantigeni, questa immunoterapia può essere progettata su misura per ciascun paziente. Inoltre, i vaccini potrebbero essere disponibili in tempi rapidi, poiché produrre ceppi batterici - spiegano gli autori dell’articolo -  è un processo più semplice e veloce rispetto ad altre piattaforme vaccinali. I tempi dipenderanno soprattutto dal sequenziamento del tumore, che richiede in media da qualche giorno fino a un paio di settimane.

Grazie ai progressi nel sequenziamento e nell’ingegneria genetica, le terapie personalizzate potranno essere sempre più accessibili, offrendo trattamenti mirati e adattati alle caratteristiche di ogni paziente e tumore.

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