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Nei laboratori del Broad Institute del MIT e di Harvard è stata sviluppata una tecnica di editing genomico che è in grado di inserire o sostituire interi geni nel genoma delle cellule umane

David Liu e il suo gruppo di ricerca al Broad Institute del MIT e di Harvard - già culla delle prime versioni di CRISPR - hanno migliorato l’approccio di prime editing per poter essere potenzialmente utile per applicazioni terapeutiche. L’idea alla base di questa evoluzione è quella di sviluppare una singola terapia genica per malattie come la fibrosi cistica, che può essere causata da centinaia o migliaia di mutazioni diverse che possono colpire un solo gene. Con questo nuovo approccio, i ricercatori potrebbero inserire una copia sana del gene nella sua posizione nativa nel genoma, evitando di dover creare una terapia per correggere ogni diversa mutazione utilizzando altri approcci di editing genomico che apportano modifiche puntuali. Lo studio è stato pubblicato a giugno su Nature Biomedical Engineering.

Le mutazioni che contribuiscono alle malattie umane vanno da cambiamenti di un singolo nucleotide a grandi delezioni, inversioni, traslocazioni e duplicazioni. Molte malattie genetiche sono associate a una serie di mutazioni con perdita di funzione all'interno di un gene specifico: ad esempio, sono state segnalate oltre 500 varianti del gene ABCA4 in pazienti con malattia di Stargardt, 1.000 della PAH nei casi di fenilchetonuria e 2.000 del gene CFTR quando si considera la fibrosi cistica. I metodi per l'integrazione mirata dei geni nei genomi dei mammiferi potrebbero essere una strategia terapeutica valida, ma soffrono di scarsa programmabilità, bassa efficienza o bassa specificità. Lo sviluppo di tecnologie che integrino in modo efficiente e preciso grandi sequenze di DNA nel genoma dei mammiferi in siti specifici è quindi di grande interesse.

Prime editing (di cui abbiamo parlato di recente qui) e ricombinasi: questa l’accoppiata vincente per il sistema eePASSIGE, in grado di apportare modifiche di dimensioni genetiche in modo molto più efficiente rispetto ad altri metodi simili. Il prime editing, nato nel 2019 sempre nei laboratori del Broad Institute, ha la capacità di suggerire le modifiche, indicare il sito in cui farle e riscriverle sotto forma di DNA grazie alla trascrittasi inversa con cui è coniugata l’RNA guida. Una correzione precisa e con ridotto rischio di mutazioni off target, che può agire fino a 100 o 200 coppie di basi. Gli enzimi della famiglia delle ricombinasi sono in grado di inserire in modo efficiente grandi pezzi di DNA lunghi migliaia di coppie di basi in siti specifici del genoma.

"A nostra conoscenza, questo è uno dei primi esempi di integrazione genica programmabile e mirata in cellule di mammifero che soddisfa i principali criteri di potenziale rilevanza terapeutica", ha dichiarato David Liu, autore dello studio, direttore del Merkin Institute of Transformative Technologies in Healthcare al Broad, professore all'Università di Harvard e ricercatore dell'Howard Hughes Medical Institute. “A queste condizioni, ci aspettiamo che molte, se non la maggior parte delle malattie genetiche causate dalla perdita di funzione di un gene, possano essere trattate, sempre se l'efficienza che osserviamo nelle cellule umane in coltura potrà essere tradotta in un contesto clinico".

Molti scienziati hanno utilizzato il prime editing per fare modifiche al DNA lunghe fino a decine di coppie di basi, sufficienti a correggere la maggior parte delle mutazioni patogene conosciute. Ma l'introduzione di interi geni sani, spesso lunghi migliaia di coppie di basi, nella loro posizione nativa nel genoma è un obiettivo di lunga data del campo dell'editing genomico. Con questo approccio non solo si potrebbero trattare molti pazienti indipendentemente dalla mutazione che causa la malattia, ma si preserverebbero anche le sequenze di DNA circostanti, aumentando così la probabilità che il nuovo gene installato sia regolato correttamente, anziché essere espresso troppo, troppo poco o nel momento sbagliato.

Nel 2021, il laboratorio di Liu ha compiuto un passo fondamentale verso questo obiettivo, sviluppando un approccio di editing prime chiamato twinPE, che prevede l'installazione di "siti di atterraggio" della ricombinasi nel genoma e l'utilizzo di enzimi naturali come Bxb1 per catalizzare l'inserimento di nuovo DNA nei siti target del prime editing. La biotech Prime Medicine, co-fondata da Liu, ha iniziato a utilizzare questa tecnologia, chiamata PASSIGE (Prime-editing-Assisted Site-Specific Integrase Gene Editing), per sviluppare trattamenti per le malattie genetiche.

PASSIGE installa le modifiche solo in una frazione modesta di cellule, il che è sufficiente per trattare alcune ma non la maggior parte delle malattie genetiche che derivano dalla perdita di un gene funzionante. Con il nuovo studio il team di Liu ha quindi cercato di aumentare l'efficienza di editing di PASSIGE. Hanno scoperto che l'enzima ricombinasi Bxb1 limitava l'efficienza di PASSIGE e hanno quindi utilizzato uno strumento precedentemente sviluppato, chiamato PACE (Phage-Assisted Continuous Evolution), per produrre versioni più efficienti di Bxb1 in laboratorio. La variante Bxb1 recentemente evoluta e ingegnerizzata (rinominata eeBxb1) ha migliorato il metodo eePASSIGE per integrare una media del 30% del carico genico in cellule umane (fibroblasti) e di topo, quattro volte di più rispetto alla tecnica originale e circa 16 volte di più rispetto a un altro metodo recentemente pubblicato chiamato PASTE (Programmable Addition via Site-specific Targeting Elements).

Con questo obiettivo in mente, il gruppo di Liu sta ora lavorando per combinare eePASSIGE con sistemi di consegna come le particelle simil-virali ingegnerizzate (eVLP), che potrebbero superare gli ostacoli che tradizionalmente hanno limitato la consegna terapeutica degli editor nell'organismo. Le applicazioni possibili vanno dalla terapia genica alla biologia sintentica: si è aggiunto così un altro pezzo dell’ormai grande puzzle sull’editing genomico.

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