Anna Cereseto

La strategia, ideata da un team italiano, unisce la precisione allele-specifica del base editing con la rapidità e transitorietà di un sistema a RNA

Forse influenzati dalla famosa favola di Esopo “La lepre e la tartaruga” siamo generalmente spinti a credere che, per portare a termine un compito con accuratezza e precisione, occorra una buona dose di lentezza. ‘Chi va piano va sano e va lontano’ ci ripetiamo continuamente. Se questo può essere vero per la nostra vita quotidiana, spesso non lo è affatto quando abbiamo a che fare con i delicati meccanismi molecolari dell’editing genomico. Lo dimostra bene un articolo recentemente pubblicato su Molecular Therapy che illustra una nuova strategia di correzione di una mutazione genetica alla base della fibrosi cistica. Ce ne ha parlato la prof.ssa Anna Cereseto, capogruppo del laboratorio di virologia molecolare presso il CIBIO di Trento.

“I sistemi di editing genomico agiscono in modo transiente modificando in primo luogo il loro bersaglio. Tuttavia, più permangono all’interno della cellula e maggiore è il rischio che introducano mutazioni in regioni genomiche diverse da quella su cui ci si proponeva di intervenire”, spiega Anna Cereseto, ordinario di Biologia Molecolare e capogruppo del laboratorio di virologia molecolare presso il Dipartimento CIBIO dell'Università di Trento, membro del Comitato Scientifico di OTA e cofondatrice di Alia Therapeutics, start up italiana che ha recentemente ricevuto un finanziamento record da 4,4 milioni di euro per le promettenti ricerche.

“Grazie al finanziamento della Fondazione Fibrosi Cistica (FFC), in collaborazione con il Tigem di Napoli e con il laboratorio di Virologia Molecolare e Terapia Genica della Katholieke Universiteit Leuven (Belgio), abbiamo messo a punto una nuova strategia di correzione di una mutazione genetica alla base della fibrosi cistica. Questo nuovo sistema unisce da un lato la precisione allele-specifica del base editing (editing genetico di seconda generazione), dall’altro la rapidità e transitorietà del trasporto di un RNA”.

IL BASE EDITING PER LA FIBROSI CISTICA

La fibrosi cistica è una rara malattia genetica ereditaria che colpisce circa un individuo ogni 2.500 nuovi nati. Questa condizione patologica, nota per i suoi effetti dannosi sull'apparato respiratorio (vie aeree intasate da muco denso e viscoso), interessa in realtà molti altri organi e strutture, tra cui l'apparato digerente e quello riproduttivo, per via della sua caratteristica produzione di secrezioni "disidratate". La malattia, infatti, è causata da alterazioni del gene che codifica per la proteina CTFR (regolatore della conduttanza transmembrana della fibrosi cistica), responsabile del malfunzionamento negli scambi elettrolitici.

Tra le molte alterazioni alla base della patologia, si conoscono circa 2mila mutazioni differenti, quella denominata ‘2789+5G>A CFTR’ è un difetto abbastanza frequente (tra i 15 più comuni) e causa uno splicing (processo di ‘maturazione’ dell’mRNA) aberrante e la produzione di una proteina CTFR anomala che la cellula non è in grado di utilizzare. 

“La dicitura ‘+5G>A’ contenuta nel nome della mutazione sta a significare che, all’interno della sequenza, nella posizione +5 (numerazione PAM), invece di trovare la lettera guanina (G) - come sarebbe normale in un individuo sano – ci imbattiamo in una adenina (A)”, spiega la prof.ssa Cereseto. “Da qui l’idea di utilizzare un sistema di base editing, che evita la rottura del doppio filamento, per agire sulla singola adenina e modificarla in guanina”.

Rispetto al classico ‘taglio’, che può portare ad alterazioni indesiderate sia off che on-target (riarrangiamenti, traslocazioni ecc.), questo sistema di editing genetico di seconda generazione permette di cambiare singole basi azotate grazie a un meccanismo detto di ‘deaminazione’”, continua a spiegare Cereseto. È come se, invece delle forbici, avessimo in mano una gomma e una matita sottile e appuntita in grado di correggere, grazie a particolari enzimi – le deaminasi appunto – singole ‘lettere’ (basi azotate). Per ora le modifiche fattibili sono citosina in timina (C→T) e adenina in guanina (A→G), ma queste possono coprire oltre il 60% delle mutazioni patogene note, come illustrato nell’articolo pubblicato lo scorso anno su Nature che offre una suggestiva panoramica sull’argomento.

“Utilizzando questo sistema di correzione della mutazione siamo riusciti ad agire sull’adenina e riportarla a guanina”, afferma Anna Cereseto. “Abbiamo testato questo procedimento sia su alcuni modelli cellulari che riproducevano l’alterazione dello splicing sia su organoidi intestinali ottenuti a partire da cellule di pazienti”. I primi risultati sono stati entusiasmanti: con il base editor siamo riusciti a ripristinare la funzionalità della proteina CFTR e la correzione ha permesso agli organoidi di aumentare notevolmente le secrezioni. A due settimane di distanza l’area occupata dall’organoide era significativamente aumentata, sintomo di una rinnovata attività di pompaggio dei fluidi”.

UN SISTEMA BASATO SULL'RNA

“Nonostante i risultati fossero promettenti ci siamo ben presto accorti che questo sistema di base editing presentava un limite: oltre ad agire sull’adenina in posizione +5 (il nostro bersaglio) modificava anche altre adenine vicine, in particolare A4, A7 e A12”, racconta la prof.ssa Cereseto. “Il problema era dovuto al fatto che si trattava di un base editor a DNA e quindi destinato a permanere abbastanza a lungo nella cellula”.

Più il sistema è ‘lento’ a degradarsi più c’è il rischio che si verifichino attività indesiderate: questo è un assioma nell’ambito della terapia genica”, afferma Cereseto. Per questa ragione il gruppo di ricerca si è messo al lavoro per cercare di abbreviare l’intero procedimento costruendo un base editor a RNA. “L’efficacia di questo approccio è stata immediatamente visibile”, racconta entusiasta Anna Cereseto. “L’espressione transitoria del sistema basato sull’RNA permette di limitare notevolmente l’editing non specifico (bystander) mantenendo un’elevata efficacia sul bersaglio”.

I ricercatori hanno valutato il ripristino della funzionalità di CFTR misurando un incremento nelle proprietà elettrofisiologiche di conduttanza delle cellule epiteliali bronchiali ottenute in coltura a partire da un campione donato da un individuo portatore della mutazione. I risultati sono stati eccezionali: dopo l’editing la differenza di potenziale è aumentata di circa quattro volte, mentre gli effetti indesiderati sono stati ridotti al minimo.

NANOPARTICELLE LIPIDICHE

“L’ultimo step da affrontare per rendere questa terapia effettivamente somministrabile ai pazienti riguarda il trasporto all’interno delle cellule polmonari”, spiega Cereseto. “Un ostacolo non facilmente superabile”. A riprova della difficoltà di questa impresa basti ricordare che la fibrosi cistica è stato uno dei primi modelli clinici ad essere testato per la terapia genica, ma anche uno dei primi a dare esito fallimentare proprio per problemi di trasporto (delivery). Le cellule differenziate dell’epitelio polmonare, infatti, sono per loro natura estremamente difficili da ‘espugnare’, proprio perché costruite in modo da resistere agli attacchi esterni. Inoltre, il polmone del paziente spesso è compromesso e questo rende i vettori virali ancora più inefficaci. 

Una possibile soluzione al problema è arrivata, inaspettatamente, dalla pandemia di COVID-19. Durante la lotta al Sars-CoV-2, infatti, sono stati messi a punto vaccini il cui sistema di delivery è basato sulle nanoparticelle lipidiche. “Apparentemente questo sistema potrebbe funzionare anche sul polmone”, spiega fiduciosa Anna Cereseto. “Per questa ragione, grazie a un altro progetto finanziato dalla Fondazione Fibrosi Cistica, una nostra giovane ricercatrice, Giulia Maule, sta lavorando proprio sul problema del trasporto: l’ultimo vero ostacolo che rimane per poter fare terapia genica nei pazienti con fibrosi cistica”.

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