CRISPR

La pandemia ha accelerato i progressi nel campo delle nanoparticelle lipidiche e adesso a beneficiarne saranno le terapie avanzate che si basano sul sistema CRISPR

I problemi della terapia genica sono tre: vettori, vettori, vettori. Il primo a dirlo potrebbe essere stato il premio Nobel Harold Varmus, poi tanti ricercatori hanno ripreso questo slogan che resta tuttora vero. Volendo aggiornare la celebre frase, comunque, si potrebbe aggiungere che le sfide sono tre: manufacturing, manufacturing, manufacturing. In effetti, oltre a progettare sistemi sempre più efficienti e sicuri per trasportare nei tessuti giusti le molecole necessarie a correggere il DNA, bisogna riuscire a produrli su larga scala, per poter rendere i trattamenti disponibili a un numero potenzialmente elevato di pazienti. La buona notizia è che i recenti progressi in questa direzione sono stati notevoli

L’idea di usare delle gocce lipidiche per passare attraverso le membrane cellulari e trasportare molecole terapeutiche dentro alle cellule non è nuova. Le nanoparticelle lipidiche – e prima ancora i loro precursori, i liposomi – sono state inizialmente impiegate per veicolare farmaci antitumorali, ma si sono rivelate ancora più adatte a incapsulare l’RNA. In effetti si sono avvalsi di capsule lipidiche i vaccini a RNA messaggero utilizzati con grande successo contro il COVID-19. Il profilo di sicurezza dimostrato durante la più grande campagna di immunizzazione della storia ha portato le nanoparticelle lipidiche al centro dei riflettori in qualità di vettori del futuro. La produzione in tempi record di miliardi di dosi con standard GMP (buone pratiche di fabbricazione) è stato un exploit tecnologico e organizzativo epocale da parte delle aziende produttrici. L’accelerazione raggiunta nel giro di un anno nel manufacturing, descritta sull’ultimo numero di Nature Biotechnology dai ricercatori di Pfizer, fa apparire realistico l’impiego di questa tecnologia in un numero crescente di applicazioni ad ampio raggio: dai vaccini per altre malattie infettive ai vaccini anti-cancro, dalle immunoterapie di tipo CAR-T alle terapie basate sull’RNA interferenza. Riuscire a penetrare dentro alle masse tumorali, ad esempio, è una sfida che proprio le nanoparticelle lipidiche stanno contribuendo ad affrontare.

La frontiera più promettente, probabilmente, è quella dell’editing genomico, perché le nanoparticelle lipidiche si prestano molto bene a trasportare gli ingredienti chiave del sistema CRISPR, sotto forma di RNA. Nelle goccioline di grasso, dunque, possono essere inserite le istruzioni per produrre l’enzima Cas9 (o un “base editor”, ovvero una versione aggiornata di CRISPR capace di correggere il DNA senza recidere la doppia elica) e l’identikit molecolare per riconoscere il gene bersaglio (RNA guida).

Questo approccio di consegna è stato usato, in particolare, per trattare l’amiloidosi da accumulo da transtiretina, una malattia neurologica rara e grave, causata dalla forma difettosa di una proteina che viene prodotta principalmente nel fegato. La strategia consiste nel mettere ko il gene che la codifica (TTR) con un semplice taglio, lasciando che siano i sistemi naturali della cellula a saldare la lesione in modo casuale. Questa promettente sperimentazione clinica è stata la prima sistemica (anche detta in vivo, ovvero con somministrazione diretta nel flusso sanguigno) e anche la prima con nanoparticelle lipidiche dell’era CRISPR. Un altro trial in corso è quello per pazienti con ipercolesterolemia familiare. A essere preso di mira questa volta è il gene PCSK9, ma il sistema CRISPR usato è un “base editor” e proprio le nanoparticelle lipidiche hanno il compito di portare la Cas9 e la sua guida a destinazione nel fegato.

Per portare le nanoparticelle lipidiche oltre i vaccini, comunque, c’è ancora molto lavoro da fare. Per imparare a dirigerle in modo preferenziale verso un numero crescente di distretti corporei si stanno provando diverse formulazioni e stratagemmi, come aggiungere dei ligandi capaci di legarsi a specifici tipi cellulari. Un’altra azienda che si è distinta durante la pandemia, Moderna, ha messo a punto formulazioni mirate per raggiungere i tumori, i muscoli e i polmoni. L’inalazione, in particolare, può servire a prendere di mira le cellule polmonari, aprendo la strada a trattamenti per malattie finora non-editabili come la fibrosi cistica. Un altro obiettivo su cui si lavora è migliorare la stabilità dei lipidi a temperatura ambiente, per ridurre la dipendenza dalla catena del freddo.

Poiché le dosi richieste nella terapia genica e in altre applicazioni sono superiori a quelle impiegate nei vaccini, abbassare il più possibile la tossicità delle preparazioni è una priorità per i ricercatori. Le idee ancora una volta non mancano. Più i lipidi sono facilmente degradabili e meno problemi daranno. Inoltre, se troppe nanoparticelle restano prigioniere delle vescicole durante l’endocitosi, i dosaggi dovranno essere più alti, quindi è importante riuscire a sfuggire il più possibile a questa trappola.

Le modalità di somministrazione ideali dipenderanno dal tipo di terapia e quindi dal tipo di malattia. In molti casi appare preferibile intervenire direttamente nel corpo del paziente (in vivo), perché il trattamento diventa più semplice ed economico, oltre che meno invasivo. Se una malattia colpisce cellule che si trovano in tutto il corpo (come quelle  muscolari per la distrofia muscolare) la somministrazione dovrà essere sistemica. Se le cellule colpite, invece, si trovano concentrate in un distretto corporeo delimitato e facile da raggiungere (l’occhio, ad esempio, o la vescica), le molecole terapeutiche potranno essere somministrate in loco, limitando il rischio di effetti indesiderati. In definitiva, è presto per dire addio ai virus “addomesticati” usati come navette nella terapia genica classica e ora impiegati anche in tanti studi con la piattaforma di editing genomico CRISPR. Ma i vecchi vettori non sono privi di limiti: hanno una capacità di carico ridotta, possono infastidire il sistema immunitario, inoltre restano nel corpo più a lungo delle goccioline lipidiche e questo non è sempre desiderabile. Insomma, se l’editing ambisce davvero a uscire dal recinto delle malattie rare, è utile e necessario disporre di valide alternative.

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