Cellule tumorali

Un team di ricerca statunitense sta testando una soluzione che permetta al sistema di modifica del DNA di superare le ostili barriere erette dai tumori solidi

Non basta avere una tecnologia avanzata per colonizzare Marte; la sfida è pianificare una strategia per portare le persone sul Pianeta Rosso, superando quegli ostacoli che rischierebbero di annientare gli equipaggi prima del loro arrivo. Lo stesso vale per una risorsa come CRISPR, ormai considerata la punta di diamante nel settore dell’editing genomico: è necessario individuare il modo di far arrivare il bisturi molecolare là dove deve operare e, per fare ciò, occorre sfondare la barricata che i tumori solidi erigono per rendere difficile la penetrazione dei farmaci. I ricercatori dell’University of Texas Southwestern hanno pensato a una soluzione elegante (ed efficace) la cui descrizione è stata pubblicata sulla rivista Nature Nanotechnology.

Il team guidato dal prof. Daniel J. Siegwart, del Dipartimento di Biochimica presso l’Harold C. Simmons Comprehensive Cancer Center di Dallas, ha elaborato un sistema per far penetrare il sistema Crispr-Cas9 all’interno della massa tumorale, dove l’azione di editing genomico può dare i risultati migliori. Infatti, che CRISPR sia uno strumento straordinario nella modifica del DNA è ben noto ma il problema con cui stanno facendo i conti molti scienziati - specie chi si occupa di tumori solidi - è relativo a quali tecniche usare per consegnare alle cellule le chiavi di modifica della sequenza genetica. I vettori virali, soprattutto quelli adeno-associati (AAV) ma anche i lentivirus o gli adenovirus, si sono rivelati fin da subito la prima scelta ma hanno anche sollevato qualche problema. Così, per ridurre il rischio di reazione immunogeniche e aumentare la precisione di consegna, in molti laboratori si sta indagando la possibilità di usare delle nanoparticelle lipidiche.

Questo sistema ha subito una potente impennata con la produzione dei vaccini a mRNA - come quelli di Pfizer/BioNTech e Moderna Therapeutics - contro il virus SARS-CoV-2. Infatti, l’mRNA che serve a codificare la proteina Spike è veicolato all’interno delle cellule da nanoparticelle lipidiche che poi si sciolgono rivelando un contenuto di mRNA grazie a cui trasmettere le informazioni per la sintesi della preziosa proteina. Per scagliare un attacco al cancro Siegwart ha deciso di percorrere la stessa strada, sviluppando non uno bensì quattro modelli murini di cancro alle ovaie e al fegato. Il suo gruppo di ricerca ha testato l’efficienza di un approccio basato su microscopiche sfere formate da catene di molecole grasse capaci di trasportare carichi molecolari, dotandole di un siRNA (short interfering RNA), cioè un breve frammento di RNA concepito per disattivare il gene FAK. Quest’ultimo codifica per una chinasi di adesione focale che contribuisce a tenere alte le difese del tumore. Per quelli che se lo ricordano, essa equivale allo scudo spaziale delle navicelle di Independence day, il blockbuster di fine anni Novanta nel quale si vede una battaglia tra i caccia terrestri e le navi aliene giunte a conquistare la Terra. Dotate di uno scudo azzurrognolo che respinge i missili degli aerei, le navi aliene possono esser distrutte solo dopo che gli eroi del film trovano il modo di inserire un comune virus informatico nel sistema nemico, azzerando di fatto lo scudo.

Le nanoparticelle testate nei laboratori dell’università texana permettono proprio di portare CRISPR nel “cuore” della massa del tumore, dove può svolgere la sua funzione di indebolimento delle difese e aprire la via alle cellule immunitarie. Infatti, la presenza di Crispr-Cas9 all’interno delle nanoparticelle offre l’opportunità di modificare anche il gene PD-L1, considerato uno dei “freni” del sistema immunitario dal momento che blocca l’attivazione dei linfociti T, rallentando l’attacco alle cellule tumorali. Il sistema messo a punto dal team di Siegwart accresce l’efficienza dell’editing del genoma di oltre 10 volte favorendo l’assorbimento di CRISPR a livello cellulare e, di conseguenza, la sua azione su geni cruciali. Le analisi sugli animali modello hanno riportato come un numero maggiore di nanoparticelle avessero raggiunto le cellule, alterando in maniera efficiente il gene PD-L1. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che nei topi trattati con le nanoparticelle che hanno preso di mira sia FAK che PD-L1, i tumori si sono ridotti a circa un ottavo delle dimensioni di quelli trattati con nanoparticelle vuote. Infine, più cellule immunitarie si sono infiltrate nei tumori e i topi trattati sono sopravvissuti, in media, circa il doppio del tempo.

Oltre ad approfondire ulteriormente l’efficacia, rimane da valutare la sicurezza di questo approccio e bisognerà allargare il ventaglio delle tipologie tumorali da testare ma il potenziale delle nanoparticelle lipidiche sta divenendo sempre più evidente, specie perché potrebbe favorire l’utilizzo di CRISPR in combinazione con le attuali immunoterapie antitumorali.“Dopo il successo mondiale dei vaccini contro il COVID-19, ci chiedevamo tutti quale altra utilità potessero avere le nanoparticelle lipidiche”, afferma Siegwart. “Nella nostra ricerca ne abbiamo sviluppate alcune in grado di fornire più tipi di farmaci genetici contemporaneamente per migliorare il risultato finale nella lotta cancro. Ma oggi è chiaro come esista un grande potenziale per i farmaci che sfruttano tali risorse per il trattamento di diversi tipi di malattie”.

 

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