La scarsa redditività scoraggia gli investimenti e le aziende con farmaci già sul mercato, a volte, li ritirano. Ma garantire terapie geniche salvavita ai pazienti è fondamentale
È di pochi giorni fa l’appello di Fondazione Telethon per scongiurare il ritiro dal mercato di terapie geniche efficaci per il trattamento di malattie rare e ultra-rare. Il caso più recente riguarda Strimvelis, terapia genica per l’ADA-SCID approvata in Europa nel 2016 e frutto della collaborazione tra GlaxoSmithKline e l'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-TIGET). Trasferita poi alla biotech Orchard Therapeutics per la commercializzazione, è stata tra le prime terapie avanzate sul mercato e ha permesso di salvare la vita a oltre 40 bambini da tutto il mondo. Dopo la recente notizia del ritiro degli investimenti da parte dell’azienda, Fondazione Telethon ha deciso di farsi carico dei costi necessari per mantenere il farmaco disponibile ai pazienti, ma il problema della sostenibilità di queste terapie resta. Ne parliamo con il dott. Stefano Benvenuti, Responsabile Relazioni Istituzionali della no-profit impegnata nelle malattie rare.
L’immunodeficienza severa combinata da deficit di adenosina deaminasi, comunemente nota come ADA-SCID, è una malattia rara che azzera le difese immunitarie, rendendo potenzialmente fatali anche le infezioni più comuni. Strimvelis, terapia genica ex vivo che colpisce direttamente la causa genetica di questa patologia, è stata una vera e propria rivoluzione per i pazienti che non potevano sottoporsi al trapianto di cellule staminali ematopoietiche, unico altro trattamento possibile. Togliere a queste persone la possibilità di una terapia salvavita, dopo che anni di ricerca e investimenti hanno portato a risultati straordinari, non dovrebbe essere una opzione. Come affermato da Francesca Pasinelli, Direttore Generale di Fondazione Telethon, nel comunicato stampa rilasciato il 13 luglio, la terapia genica deve continuare a essere disponibile per chi ne ha bisogno, costi quel che costi. Quello di Strimvelis non è stato però l’unico episodio: circa un anno fa, l’azienda bluebird bio ha deciso di ritirare dal mercato europeo le terapie geniche per la beta talassemia e l’adrenoleucodistrofia, già approvate dall’European Medicines Agency (EMA). In questo caso la motivazione del ritiro risiede nei mancati accordi su prezzo e modalità di rimborso con i Paesi europei.
DOTT. BENVENUTI, LE SFIDE PER MANTENERE SUL MERCATO LE TERAPIE AVANZATE DESTINATE ALLE MALATTIE RARE E ULTRA-RARE SONO MOLTEPLICI: COSA POSSIAMO DEDURRE DAL CASO STRIMVELIS?
La cosa particolarmente significativa di Strimvelis è che, dalle nostre prime stime, sembrerebbe che il fatturato annuo non copra neanche le spese necessarie per mantenere il farmaco sul mercato. Oltre ai costi di produzione, infatti, ci sono tutte le quote da pagare all’ente regolatorio che, per un prodotto di terapia genica, sono particolarmente onerose. Questo perché più è complesso il prodotto e più è probabile che ci siano delle variazioni rispetto al dossier sottomesso inizialmente per l’approvazione: è sufficiente che cambi un produttore o una specifica di un materiale e deve essere pagata una tariffa extra all’EMA. A fronte di un prodotto che ha un mercato molto limitato, le quote richieste dall’ente regolatorio sono troppo alte per essere sostenibili, dato che non sono pensate con una proporzionalità rispetto al venduto. Per un’azienda può essere un problema, perché sono investimenti a perdere.
RESTANDO IN AMBITO REGOLATORIO, UN’ALTRA BARRIERA PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DI QUESTE TERAPIE RIGUARDA LA PROCEDURA DI DEFINIZIONE DEL PREZZO E DELLE MODALITÀ DI RIMBORSO.
Per quanto riguarda prezzo e rimborso, oltre alla valutazione dell’impatto sociosanitario a lungo termine di queste terapie, una questione molto impattante è la frammentazione del mercato. Infatti, non è pensabile che una biotech contratti con 27 Paesi per una terapia che riguarda un numero esiguo di pazienti. Se il mercato fosse meno frammentato e ci fosse, ad esempio, una unica negoziazione a livello europeo almeno per le patologie ultra-rare, si abbatterebbe questo limite e si faciliterebbero gli investimenti aziendali. A questo bisognerebbe aggiungere anche un cambiamento nelle modalità di definizione del prezzo e dei rimborsi: meccanismi di gestione virtuosi permetterebbero di spostare l’attenzione dalla logica del puro profitto. Se riuscissimo a incrociare l’attenzione di tutti gli stakeholder coinvolti verso questo tipo di terapie, con un modello di sviluppo e commercializzazione no profit e un ragionamento sulla gestione a livello europeo, potremmo renderle più sostenibili.
Restando sul tema della complessità della burocrazia, un altro aspetto che prima o dopo dovremmo affrontare è la revisione del regolamento dei farmaci orfani, che in questo momento ha un incentivo uniforme tra tutte le patologie e non distingue tra rare e ultra-rare.
ANCHE I COSTI DI PRODUZIONE IMPATTANO NOTEVOLMENTE, MA RIDURLI RICHIEDERÀ TEMPO E DENARO.
Su questo fronte ci sono già investimenti, sia privati che pubblici. Un miglioramento delle tecnologie di produzione che permetta una drastica riduzione dei costi è assolutamente auspicabile e sarebbe un decisivo passo avanti. Questo vale però per le terapie future: è più difficile pensare di applicarlo alle terapie già approvate e sul mercato. È però difficile pensare che per malattie così rare, quand’anche ci fosse una tecnologia innovativa a disposizione, qualcuno si metta a investire nello sviluppo di un prodotto ad hoc.
SPOSTANDO L’ATTENZIONE SUI PAZIENTI, QUALI SONO GLI ARGOMENTI DA VALUTARE?
Uno dei nodi cruciali è sicuramente quello della diagnosi precoce e dello screening neonatale: un sistema efficiente permetterebbe di identificare fin dalla nascita le malattie genetiche rare, così da somministrare le terapie il prima possibile, ampliare la platea delle somministrazioni e ottenere risultati migliori. Inoltre, c’è la questione della mobilità, nazionale e internazionale. Si tratta, infatti, di terapie che non possono essere somministrate in qualunque ospedale e bisogna lavorare su come gestire e supportare – sia a livello di logistica che economico - pazienti, famiglie e caregiver costretti a spostarsi verso il centro di riferimento per settimane o mesi. Anche questa è una barriera che può disincentivare gli investimenti nel settore e il modello charity-based – ad esempio Telethon, come molte associazioni di pazienti, si fa carico delle spese e supporta queste situazioni - non può essere l’unica soluzione possibile, anche perché non sarà sostenibile per tutte le terapie avanzate che arriveranno in futuro.
SUPERARE IL MODELLO ATTUALE DI GESTIONE NON È FACILE, MA È ORMAI NECESSARIO PER MANTENERE QUESTE TERAPIE SUL MERCATO EUROPEO.
Combinare due fattori molto critici, come la rarità delle malattie e la complessità del prodotto, genera quella che definirei la tempesta perfetta in termini di sostenibilità economica e questo lo stiamo vedendo anche per patologie meno rare dell’ADA-SCID, ad esempio la beta talassemia. Quello che noi auspichiamo è che, al di là di interventi puntuali come quello su Strimvelis, si cominci a fare un ragionamento più ampio e che esca un po’ dagli schemi canonici che ruotano attorno a profitti e incentivi. Visto che il modello attuale non sta funzionando, e che pagare sempre di più non è detto che sia la soluzione, si dovrebbe iniziare a pensare ad alternative. Indispensabile è che ci sia la volontà di sostenere il meccanismo e, soprattutto, di tenere sul mercato le terapie salvavita: cosa che per Fondazione Telethon è fondamentale.
L’obiettivo per il prossimo futuro è che questo dibattito si apra in maniera decisa e con un chiaro obiettivo comune: il punto di partenza, dal nostro punto di vista, è che queste terapie devono rimanere sul mercato ed essere disponibili ai pazienti. Da qui in poi le soluzioni si possono trovare. Perché, se già è difficile comunicare a una famiglia che non esiste una cura per una malattia genetica, è totalmente inaccettabile dover dire che la cura c’è, che è la loro unica speranza per il futuro, ma che non è disponibile.