Il trattamento sperimentale, messo a punto al Tigem di Pozzuoli, è per la rara malattia ereditaria dell’occhio che nella sindrome di Usher è associata a sordità
Dopo l’esperienza di successo con la terapia genica voretigene neparvovec, un altro traguardo per la Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, diretta dalla professoressa Francesca Simonelli: per la prima volta al mondo è stata somministrata una terapia genica sperimentale per una rara malattia ereditaria dell’occhio associata a sordità, la sindrome di Usher di tipo 1B (USH1B). La tecnologia alla base del trattamento è stata sviluppata nei laboratori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli, sotto la supervisione del neodirettore prof. Alberto Auricchio. L’innovatività risiede nella capacità di questa piattaforma di poter trasportare geni di grosse dimensioni, un limite ben noto della terapia genica classica. Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Simonelli (guarda la videointervista qui).
Uno dei temi più discussi quando si parla di terapie geniche è quello dei vettori virali: molti dei progressi fatti negli ultimi anni riguardano, infatti, la modalità di trasporto dei geni terapeutici e dei tentativi di sostituire i vettori virali classici. Questo perché ci sono dei fattori che ne limitano l’applicazione: al di là dell’immunogenicità, uno dei grandi ostacoli da superare è la capienza dei vettori virali. I virus modificati in laboratorio per il trasferimento delle versioni corrette dei geni responsabili dell’insorgenza di alcune patologie hanno, infatti, una capacità di trasporto che è limitata. Nel caso della sindrome di Usher di tipo 1B il gene coinvolto è MYO7A, troppo grande per essere inserito nei vettori ad oggi più utilizzati per correggere difetti genetici dell’occhio, che sono derivati dalla famiglia degli adeno-associati (AAV), comunemente noti per causare il raffreddore.
“La sindrome di Usher è una malattia genetica che comporta una doppia disabilità: la sordità alla nascita e poi, durante l’infanzia, l’insorgenza della retinite pigmentosa, una malattia degenerativa progressiva per la quale non esistono terapie”, spiega Francesca Simonelli, Direttrice della UOC Oculistica dell’Università Vanvitelli di Napoli e tra i massimi esperti nella terapia genica oculare, che Osservatorio Terapie Avanzate aveva intervistato qualche mese fa sulle distrofie retiniche ereditarie. Sebbene siano disponibili dei trattamenti chirurgici per intervenire sulle sordità di questi pazienti, oggi non ci sono trattamenti per fermare la progressiva perdita della vista, che porta a cecità in qualche anno, e le complicanze a livello vestibolare. Le stime dicono che la sindrome di Usher colpisce circa 400mila persone in tutto il mondo, mentre la forma 1B riguarda 20mila persone tra Stati Uniti e Unione Europea. Dal 2015, su iniziativa della statunitense Usher Syndrome Coalition, il terzo sabato di settembre viene celebrata la giornata di sensibilizzazione sulla malattia: il giorno scelto cade in prossimità dell'equinozio d'autunno nell'emisfero settentrionale, segnando l'inizio di giornate che contengono più buio che luce - una potente metafora della minaccia della sindrome di Usher.
La notizia del primo trattamento al mondo per provare a fermare la degenerazione retinica in un paziente affetto dalla sindrome di USH1B è quindi un grande traguardo, e un orgoglio della ricerca italiana. L’operazione è stata effettuata presso la Clinica Oculistica di Napoli, che fa parte dei tre centri selezionati in Europa per lo studio di Fase I/II LUCE-1 e di cui Francesca Simonelli è la responsabile. L’intervento prevede l’iniezione del vettore nello spazio sotto-retinico dell’occhio, dove consegna il suo carico. “La terapia somministrata per la prima volta al Vanvitelli a Napoli è un tipo di terapia altamente innovativa messa a punto dal prof. Alberto Auricchio, neodirettore dell’Istituto Tigem di Pozzuoli, per la somministrazione di geni di grandi dimensioni. Spacchetta i geni in due parti, inserendoli in due vettori virali che poi si ricongiungono all’interno dell’occhio”, spiega Simonelli.
I geni troppo grandi per essere impacchettati sono un problema che riguarda la messa a punto di terapie geniche per decine di malattie genetiche: se una piattaforma in grado di rispondere a questa necessità si dimostrasse efficace, sicura e flessibile, sarebbe un notevole passo avanti. La tecnologia innovativa, messa a punto dal gruppo di Auricchio a Pozzuoli grazie al sostengo di Fondazione Telethon e di altri finanziamenti internazionali, ha portato alla produzione di due diverse piattaforme che permettono di trasferire geni di grosse dimensioni frammentandoli, ma assicurandosi che, una volta nella cellula, si riuniscano e venga poi prodotta una quantità adeguata di proteina corretta. La piattaforma utilizzata nel caso dello studio LUCE-1 si chiama “dual-AAV” (ne abbiamo parlato per la prima volta nel 2019 e di recente qui) e consiste in due vettori di tipo AAV. La licenza esclusiva per le malattie ereditarie della retina di entrambe le piattaforme è stata acquisita da AAVAntgarde Bio, azienda biotecnologica nata nel 2021 come spin-off del Tigem che vede lo stesso Auricchio tra i suoi fondatori.
“È molto emozionante che la nostra tecnologia dual-AAV sia testata nell’uomo per un'indicazione oftalmologica. Comincia ora un nuovo percorso nel quale ci auguriamo che i risultati positivi osservati in laboratorio si confermino nei pazienti, con l’obiettivo finale di aiutarli nella loro funzione visiva” ha commentato Alberto Auricchio nel comunicato stampa rilasciato pochi giorni fa (qui è possibile leggere una recente intervista al prof. Auricchio sui programmi di sviluppo di AAVAntgarde Bio).
“Lo studio è molto importante perché rappresenta il trattamento dei primi pazienti al mondo ed è uno studio di Fase I, quindi volto a valutare la sicurezza della terapia e a trovare il dosaggio giusto del farmaco. Abbiamo intenzione di trattare circa 15 pazienti di età compresa tra gli 8 e i 50 anni con 3 diversi dosaggi del farmaco (basso, medio e alto). Ci auguriamo che alla fine della terapia possiamo avere dei risultati positivi in termini di sicurezza e, mi auguro, di efficacia”, conclude la professoressa.
Se i risultati di questo approccio si dimostreranno positivi, in futuro si potrebbe ampliare l’applicazione di questa nuova “piattaforma” di terapia genica ad altre malattie genetiche che ancora oggi sono senza possibilità di cura.
La videointervista è stata realizzata da Enrico Orzes in occasione dell’evento “La visione italiana sulle Terapie Avanzate”.