Eroica, folle e visionaria

Una raccolta di storie di scienziati e medici spericolati, sperimentazioni che oggi non sarebbero possibili, ma che hanno permesso di fare i progressi che hanno portato la medicina alla modernità

Tra il Seicento e la prima parte del Novecento l’autoesperimento è stata una pratica largamente diffusa, eticamente accetta e approvata dal punto di vista scientifico. Per comodità, curiosità, sfida, mancanza di alternative o per diventare il nome stampato sui libri di storia, scienziati e medici hanno usato questo approccio per sperimentare tecniche chirurgiche mai pensate prima, valutare gli effetti di farmaci e altre sostanze, indagare come funzionano le infezioni e scoprire nuove malattie. Se oggi la scienza si basa su studi clinici svolti secondo parametri precisi e rigorosi, e sul coinvolgimento di un numero congruo di persone per raggiungere un certo livello di standardizzazione, non molto tempo fa i dati venivano raccolti tramite l’osservazione di casi singoli (o poco più). Silvia Bencivelli - giornalista scientifica, autrice e conduttrice radiotelevisiva - accompagna il lettore in un viaggio nella storia della medicina, tra storie incredibili e divertenti e, a volte, inquietanti e sconvolgenti.

Il miglior modello sperimentale per la ricerca medica è l’essere umano: su questo non ci sono dubbi. La storia del talidomide - un farmaco anti-nausea che veniva prescritto alle donne in gravidanza e che ha causato molti casi di focomelia (malformazioni che colpiscono gli arti) nei neonati - ha insegnato che i modelli animali, attorno a cui ruotano molti dibattiti scientifici ed etici al giorno d’oggi, non sempre sono sufficienti ad indagare gli effetti di una sostanza sul corpo umano. In passato, fino al secondo dopoguerra, l’autoesperimento era indubbiamente molto praticato e a volte con grande successo: sono diversi i resoconti di sperimentazioni che riportano come unico coinvolto lo sperimentatore stesso. Anche la letteratura – come riportato dall’autrice stessa nelle conclusioni – ha beneficiato di questi aneddoti, basti pensare al best seller di fine Ottocento “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, racconto che si basa sull’assunzione di un preparato per effettuare la trasformazione. Un autoesperimento a tutti gli effetti.

‘Mai fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te’ è un’altra delle motivazioni cardine della scelta di procedere con strani esperimenti sul proprio corpo: dal primo cateterismo cardiaco alle diete improbabile per identificare i nutrienti fondamentali, dal farsi pungere intenzionalmente da varie specie infestanti (zecche e pidocchi, per dirne un paio) all’autoappendicectomia, dal cocktail a base di colera alla scoperta della sostanza psichedelica LSD. In diversi casi questi esperimenti non hanno portato al risultato sperato, in altri è stata confermata la tesi di partenza, a volte è stata ribaltata la teoria valida fino a quel momento, qualche scienziato ha dato un taglio alla propria carriera (e alcuni alla propria vita), altri hanno vinto addirittura un Premio Nobel. Tutte le storie raccontate sono ricchissime di dettagli – curiosi, buffi e a volte improbabili! – sulla vita e le prodezze medico-scientifiche di questi medici incoscienti ma intraprendenti che, grazie al loro spirito di iniziativa, hanno fatto fare alla medicina notevoli passi avanti. Il linguaggio è ricco e tagliente, ma divulgativo e alla portata del grande pubblico, e una sottile ironia fa da fil rouge tra i vari capitoli.

Dal Seicento ai giorni nostri la pratica dell’autoesperimento ha attraversato un periodo glorioso, seguito dal progressivo abbandono, essendo mal vista e scoraggiata dalla comunità medica. Come si legge nell’epilogo, nel 2019 è stato pubblicato un articolo in cui un microbiologo californiano – Brian P. Hanley – dichiara di voler esaminare la pratica dell’autoesperimento e dimostrare che è ancora accettabile. Un altro autore dell’articolo è George Church, famoso genetista e tra i pionieri di CRISPR. Qualche anno prima Hanley avrebbe provato su di sé una terapia genica per allungarsi la vita, che attualmente risulta molto lontana dal dimostrare la sua efficacia (sì, è vivo e ha poco più di 60 anni, ma chi può dire ora se funzionerà?). Non va dimenticato Jo Zayner, biofisico noto e molto discusso per le sue attività scientifiche da garage, che nel 2017 si è editato da solo i propri geni e che ora vuole rendere l’ingegneria genetica una pratica alla portata di tutti. La biologia da garage, il biohacking, sembra essere infatti l’ultimo capitolo dell’autosperimentazione, destinato probabilmente a chiudersi.

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