Corpi estranei

Le persone che convivono con dispositivi impiantabili - come pacemaker, neurostimolatori, defibrillatori impiantabili e protesi - sono sempre di più, ma la loro esperienza è poco nota

Come si convive con un “coinquilino meccanico” che può salvarti la vita ogni giorno? Partendo dalla sua esperienza diretta con un defibrillatore cardiaco impiantabile, Cinzia Pozzi lo racconta in prima persona tra le pagine diCorpi estranei – Convivere con pacemaker e altri dispositivi sottopelle" (Codice Edizioni). A questo si aggiungono le molte interviste fatte a persone affette da diverse patologie che hanno deciso – oppure no – di seguire il percorso per diventare bionici. I benefici che la tecnologia ha portato alla medicina sono infatti indiscutibili ma le complicanze, la poca conoscenza di questo ambito e la disinformazione sono evidenti. Un testo non tecnico, ma ricco di rigore scientifico e testimonianze dirette, con un linguaggio alla portata di tutti permettono all’autrice di raggiungere il pubblico generale.

Sentire il proprio corpo che suona non è un’esperienza naturale, va oltre i confini della biologia”. In caso di “malfunzionamenti” il corpo umano ci avvisa con segnali familiari a chiunque – ad esempio febbre, gola secca e sudorazione – ma, quando si verificano anomalie nei dispositivi come pacemaker, defibrillatori impiantabili, protesi o altro, l’allarme è di tipo diverso e non è scontato che sia immediatamente percepibile da chi ci convive. Di fondamentale importanza, come spesso accade per quel che sono a tutti gli effetti delle piccole comunità, è il confronto: i social media hanno permesso a molte persone di interfacciarsi con chi aveva già subito l’intervento per parlare del prima e del dopo, ma anche per cercare soluzioni in caso di emergenza. A questo si aggiunge una riflessione sull’inclusione: sottoporsi a un intervento per l’impianto può significare uscire dalla comunità dei disabili, cosa che può destabilizzare perché porta fuori da un territorio sociale noto.

Quando si racconta di queste tecnologie, si tende a porre l’accento solo sui lati positivi dell’innovazione, evitando riferimenti a tutto quello che è il contorno di chi le vive quotidianamente. Ma oltre alla tecnologia e a quello che di positivo può dare, c’è molto di più: un corpo – a livello fisico e psicologico – deve adattarsi alla nuova condizione “ibrida”, i dispositivi hanno bisogno di manutenzione ed esistono delle barriere architettoniche invisibili che vanno tenute in considerazione. Spesso né i produttori, né i pazienti sono a conoscenza di tutte le situazioni che potrebbero creare dei problemi al funzionamento dei dispositivi, proprio perché si tratta di tecnologie innovative in un mondo che cambia velocemente. Si può fare una risonanza con un neurostimolatore? Cosa potrebbe interagire col funzionamento di un defibrillatore cardiaco? La Deep Brain Stimulation fa davvero miracoli per tutti i pazienti, come spesso si vede nelle testimonianze sul web? Cosa succede se si rompe qualcosa nell’impianto? Ogni quanto vanno sostituiti? Come scritto dall’autrice, “c’è una lunga lista di non detti dietro al modo con cui le terapie tecnologiche sono abitualmente comunicate e percepite da chi non ne è direttamente coinvolto”.

Pensando all’impianto cocleare, forse la più famosa tra queste tecnologie con oltre 200.000 dispositivi solo in Europa, è evidente come la descrizione di questo mondo sia falsata. Oggi il primo vero organo di senso artificiale creato per l’uomo è in grado di collegarsi allo smartphone, alla televisione, ai microfoni esterni per favorire le conversazioni di gruppo. Inoltre, la personalizzazione dell’impianto, che va di pari passo con lo sviluppo tecnologico, è alla portata dell’utilizzatore. Ma, riprendendo un famoso detto, non è tutto oro quel che luccica: prendersi cura di un impianto prevede di diventare velocemente esperti in cavetti, antenne, coprimicrofoni e processori. Inoltre, il percorso per riacquistare l’udito è lungo e complesso: questa tecnologia di per sé non è una cura, affermazione che vale anche per altri “corpi estranei”. La persona non ricomincia a sentire subito dopo l’intervento – i cui risultati restano comunque non prevedibili e diversi da caso a caso – ma bisogna allenare il cervello a interpretare un certo tipo di stimolo come un suono. Le difficoltà e la variabilità dei risultati spesso scoraggiano chi vorrebbe andare incontro all’intervento. Ridimensionare le aspettative è quindi fondamentale, anche se in molti casi si può affermare che la vita dei pazienti viene davvero rivoluzionata.

Questo è solo un piccolo assaggio dei temi trattati: i capitoli affrontano, partendo dalle testimonianze dirette, moltissime sfaccettature dell’utilizzo di queste tecnologie per facilitare la gestione dei sintomi causati da diverse patologie come sordità, Parkinson, fibrillazione atriale e dolore cronico. Analisi della situazione corrente, sfide future e regolamentazione sono le tematiche degli ultimi capitoli, con uno sguardo alla “human augmentation”, cioè il potenziamento del corpo umano con l’aggiunta di parti meccaniche. Quanto sarà breve il salto da un supporto per l’udito alla creazione di veri e propri cyborg? 

Con il contributo incondizionato di

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