Gli esseri umani sono sempre stati alla ricerca di tecniche per riparare e migliorare il proprio corpo, inevitabilmente colpito da vecchiaia, malattie e ferite. I biomateriali si sono rivelati una soluzione
Titanio, ceramica, idrogel, silicone, plastiche e collagene: sono solo alcuni esempi di materiali, anche chiamati biomateriali, che fanno ormai parte della nostra quotidianità. Ma come definirli? Come descritto nel primo capitolo del saggio “Materiali per la vita” dall’autore Devis Bellucci, “i biomateriali sono sostanze o combinazioni di sostanze – farmaci esclusi – sviluppate con l’intento di riparare gli acciacchi dei nostri corpi che, si sa, vengono al mondo col timbro del tempo e dell’imperfezione”. La ricerca di biomateriali è infatti iniziata nell’antichità, ma è solo dalla seconda metà del ‘900 che si può parlare di scoperte rivoluzionarie nel settore. Tra storie di ricercatori, curiosità, aneddoti di scienza dei materiali e scoperte inattese, Bellucci accompagna il lettore in un viaggio tra i biomateriali più comuni.
Se al giorno d’oggi l’operazione per la protesi all’anca è una pratica di routine, che ha permesso di migliorare la qualità della vita di moltissime persone, negli anni ’60 era ancora lontana dall’essere una operazione di successo. L’anca è una delle articolazioni più sofisticate e più sollecitate del nostro organismo e per decenni è stato il cruccio di molti medici: polietilene, teflon, polimetilmetacrilato e acciaio inossidabile sono alcuni dei protagonisti di questa storia, che ha portato a una vera e propria rivoluzione in ambito ortopedico. Il capitolo dedicato alle protesi d’anca è indubbiamente ricco di curiosità: una su tutte quella del teflon, noto per essere usato nelle pentole antiaderenti, che inizialmente era considerato perfettamente biocompatibile, per poi scoprire – solo mesi dopo le operazioni sui pazienti - che si degrada in poco tempo nell’organismo umano, causando non pochi problemi e vanificando la ricostruzione dell’anca.
Conquiste e insuccessi, ricerca, collaborazioni e operazioni chirurgiche hanno portato, nel corso di decenni, a diverse soluzioni, alcune rivelatesi biocompatibili ed efficaci, altre decisamente non utilizzabili o con problematiche da risolvere. Ogni capitolo è dedicato a un tema: si inizia chiarendo il concetto di biocompatibilità, parlando della scoperta del polimetilmetacrilato e di come – assolutamente per caso, a causa di un incidente aereo durante la Seconda Guerra Mondiale – si evidenziò la sua biocompatibilità. Il passo successivo, negli anni ’50, furono le molto discusse lenti intraoculari per trattare la cataratta, che hanno poi portato agli studi sulle lenti a contatto. Ma questa è la storia di un altro biomateriale, l’idrogel, che ha poi portato alle diffusissime lenti da vista usa-e-getta. Ci sono poi i materiali “a memoria di forma”: una storia curiosa, che unisce genio, scienza, casualità e… un pizzico di fortuna. Anche se praticamente sconosciuti rispetto a molti altri biomateriali più nazionalpopolari, permettono di salvare vite ogni giorno, dato che sono utilizzati per produrre gli stent, dispositivi fondamentali nelle operazioni di angioplastica.
Un altro inevitabile argomento da trattare quando si parla di biomateriali è il sorriso: i denti, infatti, sono stati al centro della ricerca sui biomateriali fin dall’antichità. Se inizialmente le conchiglie venivano utilizzate per sostituire i denti mancanti, nel corso dei secoli le cose sono cambiate. La svolta si ebbe nell’800, con l’introduzione della cosiddetta “amalgama” – una lega metallica contenente argento, stagno e mercurio - come materiale per le otturazioni. Ed è stata utilizzata fino a pochi anni fa - pur essendo antiestetica per il colore e con tutti i dubbi ad essa associata: ad esempio, è pericoloso il mercurio in essa contenuto? - oggi sostituita dalle resine, più accettabili dal punto di vista estetico. A tutto questo si aggiunge la ricerca sugli impianti, altrettanto ricca di curiosità e di sperimentazioni che hanno portato alla sostituzione – quando possibile – della dentiera.
Restando nell’ambito dell’estetica, è impossibile non citare il silicone, acido ialuronico e collagene: due capitoli sono dedicati a questi biomateriali che, al di là della chirurgia estetica vera e propria, hanno conquistato anche il mercato mondiale di creme, sieri e vari trattamenti di bellezza. La storia dell’acido ialuronico, per come lo conosciamo noi oggi, inizia con una gara di equitazione e un cavallo zoppo e finisce sugli scaffali di farmaci, profumerie, supermercati, ma anche negli ospedali e nei laboratori di ingegneria tessutale. Cellule staminali e ingegneria dei tessuti si ritagliano uno spazio tutto loro: partendo dalla storia dell’”Auricolosauro”, si va alla scoperta di questa branca della medicina rigenerativa che si occupa di coniugare cellule e supporti costituiti da biomateriali per ricostruire tessuti danneggiati compatibili per il trapianto. È sempre più evidente che la sinergia tra materia e organismo sia inevitabile per procedere lungo il cammino di questo settore: basti pensare alle protesi in fibra di carbonio, alla ricostruzione della pelle in laboratorio per trattare i grandi ustionati, ma anche al dispositivo che ha trasformato un giovane affetto da acromatopsia nel primo cyborg ufficialmente riconosciuto dalle autorità.
Il prossimo passo prevede la combo biocompatibilità e bioattività: un esempio è il bioprintig 3D, in cui vengono usati “inchiostri cellulari” invece di creare una struttura di un biomateriale su cui poi far crescere le cellule in un secondo momento. I biomateriali – e la loro continua evoluzione – hanno permesso di ampliare le possibilità offerte dalla medicina classica, che viene affiancata dall’ingegneria e dalla scienza dei materiali per ottenere nuove combinazioni efficaci per offrire miglioramenti alla vita delle persone. Se ieri la normalità era una conchiglia al posto di un dente e oggi i filler di acido ialuronico sono un trattamento comunissimo, domani cosa saremo in grado di fare?