Che gli smartphone ci abbiano cambiato la vita è ormai un dato di fatto, con tutti i pregi e i difetti che ne conseguono. Quello che forse non sapevamo è che un giorno sarebbero tornati utili anche per diagnosticare le infezioni virali. Lo hanno dimostrato ben due studi pubblicati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro lo scorso dicembre. Il primo riguarda il virus SARS-CoV-2 che da ormai un anno ha sconvolto le nostre vite. Un gruppo di ricercatori dell’Università della California di Berkeley (Stati Uniti) – tra cui la neo premio Nobel per la chimica Jennifer A. Doudna – ha sviluppato un test basato sulla tecnica di editing genomico CRISPR in grado di rilevare la presenza del nuovo coronavirus utilizzando un dispositivo collegato a un normale smartphone.
Da sempre gli esseri umani convivono con i virus e mai come nel 2020 ci siamo resi conto dell’importanza che ha una diagnosi delle infezioni virali che sia semplice, rapida ed efficiente. E se ancora non siamo in grado di riconoscere un virus a occhio nudo o scattando una foto, un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Boston è riuscito a mettere a punto una nuova tecnica di rilevamento virale che utilizza la fotocamera dello smartphone per diagnosticare diverse infezioni. Il lavoro è stato pubblicato lo scorso dicembre su Science Advances e apre le porte ad una tecnica diagnostica digitale che può essere utilizzato da non addetti ai lavori per testare una varietà di infezioni virali. Un’innovazione che potrebbe rivelarsi particolarmente utile per Paesi in via di sviluppo ma anche per Paesi più ricchi in caso di pandemie.
A partire da oggi è online il corso di Formazione A Distanza (FAD) dal titolo “Dal laboratorio al paziente: raccontare il viaggio delle terapie avanzate”, realizzato da Osservatorio Terapie Avanzate e Primopiano Academy. Si tratta di un corso gratuito della durata di 3 ore per la formazione continua dei giornalisti che permette l’ottenimento di 3 crediti formativi. La FAD, accreditata sulla piattaforma S.I.Ge.F. dell’Ordine Dei Giornalisti (ODG) e pubblicata dall'ente formatore Primopiano Scrl, sarà disponibile per sei mesi - fino al 31 luglio - nella sezione "Corsi online".
Le terapie a base di cellule CAR-T sono ormai entrate nella pratica clinica per il trattamento di alcuni tumori del sangue ma non ancora dei tumori solidi. In questo ambito uno dei problemi che i ricercatori devono superare è la crescita anormale dei vasi sanguigni nel microambiente tumorale, che in alcuni casi può bloccare la penetrazione dei linfociti e delle cellule CAR-T nel sito dove si trova il tumore. Un team di ricerca statunitense ha quindi pensato di associare alla terapia CAR-T una sorta di molecola “apripista” che consenta la penetrazione nel microambiente tumorale delle cellule T normali e potenziate, favorendo l’attacco delle cellule maligne. Lo studio preclinico, pubblicato lo scorso novembre su Nature Cancer, ha mostrato dati incoraggianti.
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