Smartphone

La tecnica di diagnostica digitale è stata testata per il virus Zika, dell’epatite B e C. Potrebbe essere un’importante risorsa per Paesi in via di sviluppo ma anche per future pandemie globali

Da sempre gli esseri umani convivono con i virus e mai come nel 2020 ci siamo resi conto dell’importanza che ha una diagnosi delle infezioni virali che sia semplice, rapida ed efficiente. E se ancora non siamo in grado di riconoscere un virus a occhio nudo o scattando una foto, un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Boston è riuscito a mettere a punto una nuova tecnica di rilevamento virale che utilizza la fotocamera dello smartphone per diagnosticare diverse infezioni. Il lavoro è stato pubblicato lo scorso dicembre su Science Advances e apre le porte ad una tecnica diagnostica digitale che può essere utilizzato da non addetti ai lavori per testare una varietà di infezioni virali. Un’innovazione che potrebbe rivelarsi particolarmente utile per Paesi in via di sviluppo ma anche per Paesi più ricchi in caso di pandemie.

BOOM DI SMARTPHONE IN AFRICA

Anche in Africa il numero di persone che possiedono uno smartphone è in continua crescita. Gli abbonati ai servizi di telefonia mobile unici globali nel 2019 erano circa 5,18 miliardi e si stima che raggiungeranno più di 5,7 miliardi entro il 2025 di cui il 10% nella sola Africa subsahariana, dove si verifica la maggior parte dei focolai di infezioni virali. “Tale accesso globale ai telefoni cellulari, combinato con la loro potente capacità di elaborazione dei dati e con i sensori integrati, rappresenta un potenziale promettente per lo sviluppo della diagnostica digitale, utile nella gestione efficiente e su larga scala delle malattie infettive”, scrivono gli autori del lavoro. A ciò si aggiungono i recenti progressi nel campo della nanotecnologia che possono essere associati agli smartphone. Come la catalisi - fenomeno per cui una sostanza (detta catalizzatore) modifica la velocità di una reazione chimica - una delle applicazioni di nanoparticelle più popolari, anche nei processi di chimica industriale.

LA TECNICA DIAGNOSTICA

La nuova tecnica diagnostica - sviluppata dal gruppo guidato da Mohamed Draz della divisione di Engineering in Medicine della Harvard Medical School di Boston, negli Stati Uniti - consiste nel caricare i campioni contenenti il virus su un microchip. Qui vengono “intrappolati” tramite un anticorpo monoclonale indirizzato contro una specifica proteina virale di superficie e contrassegnati con nanoparticelle di platino. Si forma così un immunocomplesso sulla superficie del microchip, a cui viene aggiunta una soluzione di perossido di idrogeno che porta alla formazione di bolle di gas (grazie all'attività catalitica delle nanoparticelle di platino). In questo modo il segnale viene amplificato e consente il rilevamento semplice e rapido del virus utilizzando una fotocamera per smartphone tramite un algoritmo di “deep learning”, ovvero di apprendimento automatico, in grado di analizzare le bolle e determinare così il contenuto virale del microchip. Tutto ciò senza che sia necessaria la presenza di operatori qualificati di laboratorio e di apparecchiature costose. A questo punto infatti, l’utente può puntare la fotocamera del proprio smartphone verso il campione e avviare l'algoritmo che è già stato “addestrato” per identificare i modelli e quindi riconoscere la presenza di virus.

L’INNOVAZIONE NELLA SEMPLICITÀ

“Sebbene l'uso di nanoparticelle metalliche per l'etichettatura e il rilevamento dei target sia già stato messo a punto e utilizzato, rispetto a tutti gli altri lavori basati sulle tecnologie digitali per il rilevamento di proteine o virus, il nostro sistema ha il vantaggio di essere semplice nell'elaborazione dei campioni, sensibile e adattabile a diversi modelli di smartphone”, spiegano gli autori del lavoro. “Principalmente perché la nostra ‘rete neurale convoluzionale’ (l’algoritmo utilizzato ndr) progettata per lo smartphone, non necessita di alcun collegamento ottico esterno per smartphone né di un sistema di amplificazione per il rilevamento del segnale”.

LO STUDIO

Il team di Mohamed Draz ha testato il sistema diagnostico per smartphone su 134 campioni di plasma o siero di pazienti con infezione da virus Zika (ZIKV), epatite B (HBV) ed epatite C (HCV). Le analisi di follow-up hanno mostrato che il sistema ha identificato accuratamente tutti i campioni infetti da HCV, con un falso positivo e un falso negativo per i campioni contenenti il virus Zika e due falsi positivi per i campioni con HBV. Dai dati emerge che la sensibilità del sistema nel rilevare qualitativamente campioni infetti da virus con una soglia di concentrazione di virus clinicamente rilevante (250 copie/ml) è stata del 98,97%. Mentre il tempo richiesto per l’analisi è stato di 50 minuti.

UTILE PER L’ATTUALE O FUTURE PANDEMIE?

In conclusione, secondo gli autori del lavoro questo sistema di rilevamento virale può essere utilizzato per diagnosticare un'ampia gamma di infezioni e può essere adattato a molti modelli di smartphone diversi. Una strategia che potrebbe tornare immediatamente utile in aree soggette a infezioni e prive di laboratori, come i Paesi del terzo mondo appunto, ma che in futuro potrebbe rivelarsi vincente anche in Paesi più ricchi, dove, in caso di pandemie, sistemi diagnostici rapidi potrebbero fare la differenze come è stato osservato per SARS-CoV2. Proprio su questo fronte un altro interessante studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Cell a pochi giorni di distanza da quello team del Massachusetts. Un gruppo di ricercatori dell’Università della California di Berkeley – tra cui la pioniera di CRISPR Jennifer A. Doudna – ha sviluppato un test basato sulla tecnica di editing genomico in grado di rilevare la presenza del nuovo coronavirus utilizzando la fotocamera di un normale smartphone (ne abbiamo parlato qui).

 

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