Dieci anni. È il tempo in cui i ricercatori dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova hanno tenuto sotto osservazione oltre duecento pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) aggressiva con l’obiettivo di verificare l’efficacia del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (CSE). La risposta dopo tutto questo tempo è stata positiva, portando a una stabilizzazione della disabilità associata alla malattia, che in alcuni casi è addirittura migliorata. I risultati dello studio – in parte finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) – sono stati pubblicati a gennaio su Neurology, la rivista medica dell'American Academy of Neurology .
Troppo spesso, per semplicità, tendiamo a descrivere il cancro con caratteristiche generiche tralasciando il fatto che non esiste “il cancro” ma esistono molti “tipi” di tumore. Si tratta di una sottigliezza non trascurabile che serve a comprendere quanto possa essere faticoso studiare nuove efficaci terapie in campo oncologico. Le moderne tendenze scientifiche spingono nella direzione di una medicina altamente personalizzata ma per ottenere terapie mirate capaci di arrestare la progressione tumorale servono strumenti potenti e innovazioni tecnologiche che affrontino l’argomento a tutto campo.
Uno dei grandi timori di chi si occupa di ricerca e sviluppo nel campo della terapia genica è la possibilità che un prodotto sperimentale causi seri danni all’organismo. E in questo ambito i gravi effetti collaterali includono anche il cancro. Un tema caldo che attualmente si trova a dover affrontare bluebird bio, una biotech statunitense che ha in sviluppo due prodotti di terapia genica per le emoglobinopatie, uno per la beta-talassemia e uno per l’anemia falciforme. Proprio quest’ultimo è stato oggetto delle segnalazioni che hanno indotto l’azienda a sospendere i trial clinici in corso per svolgere le indagini di rito con cui fare luce se i due casi di tumore insorti siano collegati alla somministrazione “one shot” della terapia.
Un gruppo di ricerca della Columbia University di New York ha studiato gli effetti dell’editing genomico con Crispr-Cas9 su embrioni umani, scoprendo che in più della metà dei casi analizzati ci sono stati importanti effetti indesiderati. Tra questi, la “scomparsa” del cromosoma, o di un suo segmento, su cui è stato fatto l’editing e alcune modifiche su altri cromosomi. Ricerche precedenti potrebbero aver indotto gli scienziati a pensare che la mutazione fosse stata riparata, perché non veniva più rilevata, ma test più approfonditi dimostrerebbero un possibile errore di valutazione: non veniva identificata perché mancava l’intero segmento di DNA. Risultati che spingono ad un’ulteriore riflessione sulle applicazioni e le conseguenze dell’editing genomico sulla linea germinale.
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