Da un trial di Fase I/b le prime indicazioni di sicurezza della molecola e di efficacia in termini di riduzione della sintesi della proteina Tau. I dati sono incoraggianti ma sono necessari ulteriori studi
Se le malattie neurodegenerative fossero un codice segreto criptato, la chiave a cui gli analisti - o meglio i ricercatori - si potrebbero affidare per svelarlo è una parola di tre lettere: RNA. Infatti, i farmaci della categoria degli oligonucleotidi antisenso (ASO) stanno dando importanti risultati per malattie come l’atrofia muscolare spinale e la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), e sono in valutazione contro la malattia di Huntington. Ultima - ma non per importanza - a un tale appello è la malattia di Alzheimer per la quale è allo studio, in un trial di Fase I/b, un nuovo ASO. I risultati preliminari sono stati pubblicati ad aprile su Nature Medicine e mostrano un buon profilo di sicurezza e concrete prove di efficacia della terapia sperimentale.
Protagonista di innumerevoli racconti e di memorabili riduzioni cinematografiche, la malattia di Alzheimer è la forma di demenza più conosciuta e la più diffusa nella popolazione ultrasessantacinquenne. Una delle più chiare ed efficaci descrizioni della malattia proviene dallo scrittore Elie Wiesel che paragonava l’Alzheimer a un libro da cui si strappano gradatamente le pagine, una alla volta, fino che ne rimane soltanto la copertina. Difatti, l’Alzheimer è una malattia che spesso esordisce con un deficit di memoria per poi progredire attraverso disturbi cognitivi, viso-spaziali e del linguaggio che svuotano i malati della loro identità, lasciandoli in un perenne stato confusionale. Non esistono farmaci disponibili contro questa terribile condizione, anche se, di recente la Food & Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato l’uso - in certe situazioni - di due molecole, aducanumab e lecanemab, ideate per ridurre l’accumulo della placca amiloide, che costituisce uno dei meccanismi alla base della degenerazione del tessuto nervoso scatenata dalla malattia.
Un secondo parametro oggetto di interesse scientifico è la proteina Tau - peraltro inclusa nei sistemi di classificazione dei malati con Alzheimer - nei confronti della quale sono emerse numerose evidenze a conferma del fatto che possa essere un preciso segnale di neurodegenerazione. L’accumulo di proteina Tau all’interno delle cellule sembrerebbe responsabile della formazione di grovigli di neurofibrille correlati al declino cognitivo tipico dell’Alzheimer. Inoltre, questa proteina - codificata dal gene MAPT (Microtubule-Associated Protein Tau) - è espressa nei neuroni con la conseguenza che una sua diffusione incontrollata genera un danno neuronale. Pertanto, diverse indagini cliniche hanno posto in evidenza come una riduzione della sintesi di Tau possa prevenire la formazione degli accumuli tossici visti nella patogenesi della malattia.
Con questo obiettivo, un gruppo internazionale di ricerca, coordinato dai ricercatori del Dementia Research Centre presso lo University College di Londra, ha sviluppato un oligonucleotide antisenso in grado di ridurre la quantità di RNA messaggero (mRNA) della proteina Tau associata ai microtubuli (MAPT). MAPTRX (BIIB080) è il nome dell’ASO, prodotto dalla multinazionale Ionis Pharmaceuticals, che è stato ideato per legarsi all’mRNA del gene MAPT inibendone la traduzione nella proteina Tau. L’azienda farmaceutica è, tra l’altro, già coinvolta nello sviluppo clinico di tofersen, oligonucleotide antisenso che è stato da pochissimo approvato negli Stati Uniti, per pazienti con la forma di SLA causata da mutazione nel gene SOD1.
Nei modelli animali in cui è stato testato, MAPTRX ha confermato la sua efficacia conducendo a un miglioramento dei sintomi della malattia. Tuttavia, tra un modello murino di Alzheimer e una persona affetta dalla patologia corre una differenza enorme e bisogna quindi procedere con estrema cautela. È stato per questo progettato uno studio clinico multicentrico di Fase I/b - condotto in 13 centri clinici tra Canada, Finlandia, Svezia, Germania, Olanda e Regno Unito - rivolto a 46 persone di età compresa tra 50 e 74 anni affette da una forma lieve di Alzheimer. I dati riportati sulle pagine di Nature Medicine sono riferiti principalmente alla sicurezza e alla farmacocinetica di MAPTRX, somministrato per via intratecale in 4 coorti di pazienti a diversi dosaggi per un periodo di 13 settimane. Al termine dei 3 mesi i pazienti hanno continuato ad essere seguiti per un periodo di altre 23 settimane di studio durante le quali sono stati raccolti importanti dati sulla sicurezza del farmaco.
Complessivamente, MAPTRX, è stato ben tollerato, con tutti i pazienti coinvolti che hanno completato il trattamento. Gli effetti collaterali riscontrati, sia nel gruppo di studio che in quello con placebo, sono stati catalogati come lievi o moderati (non sono stati osservati effetti collaterali gravi): l’effetto più comunemente riportato è stato un mal di testa successivo all’iniezione. In aggiunta, al termine del protocollo, la somministrazione di MAPTRX ha dimostrato di poter ridurre di oltre il 50% rispetto ai livelli iniziali la concentrazione della proteina Tau (nelle due forme, t-tau e p-tau181) nel liquido cerebrospinale di quanti erano stati inseriti nei due gruppi di trattamento che avevano ricevuto la dose più alta di farmaco.
Naturalmente, cantar vittoria dopo i risultati - per quanto positivi possano essere - di uno studio di Fase I/b sarebbe un grave errore in quanto occorre comprendere meglio le modalità con cui la molecola agisce e, soprattutto, i sui effetti sul trattamento dell’infiammazione correlata alla neurodegenerazione. Sono gli stessi autori che, memori del caso tominersen per l’Huntington, invitano alla prudenza. “Il trattamento delle malattie neurodegenerative con gli ASO è ancora agli inizi”, si legge nell’articolo pubblicato. “Ma gli insegnamenti tratti da studi recenti sul livello e la frequenza della dose e sul disegno della sperimentazione miglioreranno ulteriormente lo sviluppo degli ASO e la progettazione delle sperimentazioni cliniche nelle malattie neurodegenerative”.
Per ora dunque la soppressione della sintesi della proteina Tau prodotta da MAPTRX rappresenta un punto di partenza e un invito ad ulteriori verifiche sul decorso clinico della malattia all’interno di un più ampio gruppo di persone (e, specialmente, in pazienti più anziani). Ciononostante, le prospettive a lungo termine si mostrano estremante incoraggianti perché, oltre a sottolineare l’importanza dell’identificazione di nuovi e accurati biomarcatori con cui effettuare diagnosi, essi dimostrano la validità delle strategie di silenziamento genico fondate sugli ASO nel rallentare la progressione di malattia degenerative, come l’Alzheimer, che attualmente sono ancora senza soluzione di cura.