ISS

A novembre dello scorso anno la nuova biostampante 3D progettata dalla Redwire Space è arrivata a bordo della ISS: il suo primo compito sarà quello di creare un menisco umano

Lenti antigraffio per gli occhiali? In origine erano destinate alle visiere dei caschi degli astronauti. Strumenti a batteria senza fili? Il primo è stato una trivella ideata per prelevare campioni di roccia sulla Luna. La ricerca spaziale ha sempre avuto ricadute tecnologiche anche sulla Terra e può addirittura capitare che gli scienziati cerchino direttamente in orbita le soluzioni ai problemi “terrestri”. Sul nostro pianeta è molto difficile stampare i tessuti molli del corpo umano in 3D, perché collassano sotto il loro peso a causa della forza di gravità. Nello spazio, invece, mantengono la loro forma: sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), in condizioni di microgravità, una nuova biostampante realizzerà il primo menisco 3D. Una tecnologia che potrebbe rivoluzionare i trapianti del futuro.

“Spazio, ultima frontiera”. Il famoso incipit di Star Trek era riferito all’esplorazione di nuovi mondi e alla fiducia incondizionata nel progresso e nella scienza. Oggi non è più solo fantascienza, lo spazio è veramente una nuova frontiera per la ricerca. Ad esempio lo è per la medicina rigenerativa, che si occupa di riparare, rigenerare o sostituire tessuti e organi danneggiati da traumi o malattie. Oggi le biostampanti in 3D permettono di ricreare in laboratorio i tessuti biologici “duri”, come l’osso. Per i tessuti molli come cartilagini, muscoli, tendini e legamenti, invece, la strada è ancora lunga: il problema è che la forza di gravità impedisce alle cellule di proliferare ed espandersi e le spinge a collassare sotto il loro peso.

Costruire un laboratorio sulla Luna o su qualsiasi altro mondo a bassa gravità non sarà possibile nel prossimo futuro, ma per fortuna non serve andare così lontano: la Stazione Spaziale Internazionale in orbita intorno al nostro pianeta è attrezzata con il necessario per eseguire gli esperimenti e possiede un campo gravitazionale di bassa intensità. In queste condizioni di microgravità, è più facile realizzare aggregati di cellule 3D – chiamati anche organoidi - simili agli organi del corpo umano e non producibili in altre condizioni.

La ricerca effettuata in orbita potrebbe rivoluzionare la medicina rigenerativa e i trapianti. La microgravità modifica infatti alcune capacità delle cellule staminali, come quelle di sopravvivere, proliferare e differenziare in altri tipi cellulari. Produce inoltre una serie di cambiamenti nell’organismo tipici dell’invecchiamento – atrofia dei muscoli scheletrici, perdita di tessuto osseo, disfunzione immunitarie – che nello spazio è possibile studiare a un ritmo “accelerato” o addirittura invertire con delle terapie in tempi più rapidi che non sulla Terra.

Nel laboratorio della ISS (ISS National Laboratory) un team di scienziati con la testa fra le stelle conduce esperimenti all’avanguardia, con tecnologie di nuovissima generazione. Di recente, i ricercatori hanno spedito nello spazio dei campioni di tessuto cardiaco su chip per testare alcuni farmaci, perché gli effetti della microgravità sulle cellule del cuore riproducono i sintomi dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca sulla Terra. Lo spazio offre anche condizioni ideali per la cristallizzazione di alcuni farmaci a base di proteine, per ottenere formulazioni più stabili ed efficaci da iniettare nei pazienti o per studiare nel dettaglio la loro struttura tridimensionale.

L’ultima innovazione nel campo della medicina rigenerativa è stata lanciata nel 2019, con la prima stampante 3D destinata alla “biofabbricazione” di tessuti umani nello spazio. La “BioFabrication Facility” (BFF) nasce dalla collaborazione tra due aziende high-tech, Techshot Inc. e nScrypt, leader mondiali nel settore delle biostampanti 3D. La BFF funziona in maniera analoga a una stampante tradizionale, ma il suo “bio-inchiostro” è composto da cellule e proteine umane, il necessario per stampare un tessuto vivo nelle tre dimensioni.

Nella fase iniziale di rodaggio, la BFF ha prodotto alcune stampe di tessuto cardiaco e un menisco parziale. Il menisco è ideale per iniziare, perché al contrario del cuore e della maggior parte dei tessuti, ha una struttura più semplice e non contiene vasi sanguigni: un pezzo di cartilagine a forma di cuneo situato tra il femore e la tibia, una specie di “guarnizione” che attutisce i carichi dell’articolazione del ginocchio. Ma l’interesse è anche di carattere medico: l’articolazione del ginocchio è, infatti, la più grande e una delle più complesse del corpo umano, ma è anche particolarmente vulnerabile al danno. Il più comune è proprio la lesione del menisco (ogni ginocchio ne ha due) e poiché non è un tessuto vascolarizzato, non è neanche capace di iniziare da solo un processo di riparazione. In altre parole, una lesione del menisco non può guarire.

A novembre dello scorso anno, i ricercatori della Redwire Space, noto produttore aerospaziale statunitense, hanno lanciato sulla ISS una versione aggiornata della BFF, con un sistema ancora più efficiente per il controllo delle temperatura e del processo di stampa. Il suo primo compito sarà quello di stampare un menisco intero in 3D. Il tessuto verrà assemblato nello spazio e trasferito in uno speciale incubatore per colture cellulari, che servirà a “rinforzarlo” fino a quando sarà in grado di mantenere la sua forma tridimensionale anche in condizioni di gravità più simili a quelle terrestri. 

In futuro sarà forse possibile stampare interi organi nello spazio da utilizzare sulla Terra – questo almeno è il progetto della Redwire, che però non sarà realizzabile prima di alcuni anni. Questa tecnologia potrebbe rivoluzionare il mondo dei trapianti e fare fronte alla scarsità di donatori: solo in Italia, nel 2021, i pazienti in attesa di un trapianto erano 8291 (dati del Ministero della Salute) e migliaia di persone in tutto il mondo muoiono ogni giorno aspettando un organo che non arriverà. Un obiettivo più a breve termine potrebbe essere quello di stampare gli organoidi, copie in miniatura degli organi umani, per testare nuovi farmaci e comprendere i fattori che determinano l’insorgenza di alcune malattie.

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