organoide, sindrome di Hurler, mucopolisaccaridosi

In uno studio della Fondazione Tettamanti e della Sapienza Università di Roma sono state usate cellule staminali scheletriche per riprodurre cartilagine e osso dei pazienti con sindrome di Hurler

Con un semplice prelievo di sangue periferico si riesce a ottenere una straordinaria quantità di cellule da analizzare nella prospettiva di fare diagnosi o inquadrare i dettagli patogenetici di una malattia ematologica. Lo stesso purtroppo non accade con patologie sistemiche, fra cui la sindrome di Hurler (anche chiamata mucopolisaccaridosi di tipo I - MPS I), che interessano anche le ossa e per cui è difficile disporre di campioni bioptici necessari ad allestire modelli attendibili. Una ricerca della Fondazione Tettamanti di Monza e da la Sapienza Università di Roma, da poco pubblicata sulla rivista scientifica JCI Insight, ha permesso di sviluppare un modello tridimensionale di grande rilevanza per capire meglio i meccanismi che inducono la deformazione dell’osso nei pazienti con Hurler. Lo racconta una delle autrici, la prof.ssa Mara Riminucci, del Dipartimento di Medicina Molecolare de la Sapienza Università di Roma.

La sindrome di Hurler è una rara malattia da accumulo lisosomiale provocata dal deficit dell’enzima alfa-L-iduroidasi che ha il compito di metabolizzare e degradare gli zuccheri complessi (glicosaminoglicani). L’accumulo di tali molecole nell’organismo danneggia i tessuti ed è alla base di un progressivo deterioramento degli organi interni, a cominciare dal sistema nervoso per arrivare alle ossa, provocando un vistoso ritardo di crescita e severe deformità scheletriche. Coloro che ne soffrono non soltanto sviluppano evidenti dismorifismi cranio-facciali ma vanno anche incontro a problematiche alle articolazioni (le cosiddette “mani ad artiglio”) che rendono difficili i movimenti e suscitano dolore. Numerose sono le persone che non riescono a camminare e sono costrette a spostarsi con i deambulatori o sulla carrozzina. Ad oggi, mancano modelli di malattia attendibili in grado di spiegare i processi patogenetici legati alla deformazione delle ossa; per tale ragione gli organoidi messi a punto dai ricercatori italiani costituiscono un prezioso strumento con cui sperimentare anche nuovi ed efficaci farmaci.

Il nostro obiettivo è di approfondire in che modo la malattia conduca alla deformazione scheletrica nei bambini con Hurler”, afferma la professoressa Riminucci. “Le anomalie scheletriche osservate in questi pazienti coinvolgono anche la cartilagine ed è assai difficoltoso studiarle negli individui più piccoli o in quelli in accrescimento, in quanto spesso non si riescono a fare i prelievi necessari in certe zone dello scheletro”. Sebbene esistano due approcci terapeutici alla Hurler - il trapianto di cellule staminali ematopoietiche e la terapia enzimatica sostitutiva - le probabilità di prevenire o risolvere la manifestazione ossea di malattia rimangono scarse. Secondo alcuni studi condotti su modelli animali queste sono direttamente collegate ad alterazioni dello sviluppo evidenti subito dopo la nascita, e proprio la mancata sostituzione della cartilagine nei siti di formazione dell’osso potrebbe spiegare il fenomeno. Ma mancano modello accurati di patologia per verificare tale ipotesi. “Tramite i nostri organoidi vogliamo riprodurre i meccanismi patogenetici per analizzarli e, in futuro, trovare terapie specifiche per la malattia”, precisa Riminucci. “La novità insita in ciò che facciamo è l’applicazione dei modelli tridimensionali allo studio di una malattia genetica dello scheletro. Usando le cellule staminali scheletriche dei pazienti siamo stati in grado di generare un modello tridimensionale che riproduce le cartilagini per seguirne la conversone in osso e midollo osseo”. Sono stati perciò creati e posti a confronto organoidi ottenuti da cellule staminali scheletriche sane e altri da cellule staminali con la mutazione della malattia di Hurler.

Ma cosa sono esattamente le cellule staminali scheletriche? Esistono molte tipologie di cellule staminali, quelle del sangue (ematopoietiche), le cosiddette pluripotenti indotte (iPSC) e persino quelle ottenute dal cordone ombelicale. Si sente anche parlare di cellule staminali mesenchimali, facendo riferimento alle cellule da cui sono prodotte le ossa e altri tessuti come il tessuto adiposo. “In realtà il termine mesenchimali è improprio”, puntualizza Riminucci. “Le cellule staminali utilizzate per il nostro modello sono quelle che danno origine all’osso (dette appunto staminali scheletriche), che si trovano in stretto rapporto anatomico e funzionale con le staminali del sangue. Tuttavia esse hanno origine e funzione diversa in quanto implicate nella rigenerazione di ossa e cartilagini e nell’organizzazione delle struttura del midollo osseo. Contrariamente alle iPSC, queste cellule svolgono la loro funzione in maniera spontanea, se poste in adeguate condizioni di crescita”. Una tale precisazione è fondamentale poiché per indagare dettagliatamente le patologie dello scheletro bisogna prelevare specificamente le cellule staminali scheletriche, disponibili solo nel midollo osseo.

“Abbiamo condotto una serie di analisi molecolari e istologiche sui nostri organoidi che, rispetto a quelli degli individui sani, hanno evidenziato profonde differenze nei processi di formazione e poi di sostituzione della cartilagine con l’osso secondo lo schema con cui si forma il nostro apparato scheletrico”, aggiunge l’esperta. “La cartilagine nei bambini con sindrome di Hurler presenta, infatti, anomalie di maturazione e quindi di conversione in osso e midollo osseo che presumiamo vengano riprodotte durante le fasi di accrescimento dello scheletro”. Si tratta dunque di un successo notevole per una malattia che, attualmente è al centro dell’attività di pochi centri di ricerca a livello mondiale (recentemente abbiamo parlato dello studio clinico con terapia cellulare a base di cellule B geneticamente ingegnerizzate condotto negli Stati Uniti). Portare sotto la lente d’ingrandimento tali difetti permetterà di fare un passo avanti nella comprensione di un macchinario patogenetico complesso e testare eventuali nuove soluzioni che possano curare o almeno rallentare la progressione ossea della sindrome di Hurler.

Per approfondimenti sulla sindrome di Hurler è possibile consultare l’articolo pubblicato su Osservatorio Malattie Rare.

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