Il nuovo modello, realizzato con le cellule dei pazienti, è in grado di replicare il danno alla membrana delle cellule muscolari, che è la causa primaria di questa malattia rara
Per la distrofia muscolare di Duchenne la ricerca di nuovi modelli è tanto importante quanto lo sviluppo di nuove terapie. La maggior parte dei farmaci che superano i test sui modelli cellulari o animali, infatti, fallisce la sperimentazione clinica, perché le colture cellulari 2D non riproducono l’architettura del muscolo e il danno specifico che è alla base della malattia. Grazie al finanziamento di una organizzazione no-profit fondata dai genitori di bambini affetti da Duchenne, l’Istituto di Bioingegneria della Catalogna (Spagna) ha realizzato un nuovo modello di muscolo scheletrico umano 3D che riproduce esattamente le caratteristiche delle fibre muscolari dei pazienti e che potrebbe aiutare a capire quali terapie sono in grado di rallentare o bloccare la progressione della malattia. I risultati sono stati pubblicati su Biofabrication.
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) interessa più di un neonato maschio ogni 5000 ed è la più diffusa distrofia muscolare diagnosticata durante l’infanzia. I pazienti affetti da DMD soffrono di un grave e progressivo deterioramento dei muscoli scheletrici e cardiaci. Con l’avanzare della malattia, il paziente perde la capacità di camminare e muoversi e compaiono insufficienza cardiaca e respiratoria, che portano spesso alla morte entro i 30 anni di età. La Duchenne è causata da mutazioni nel gene della distrofina, proteina che stabilizza e rafforza la membrana delle cellule muscolari, nota come sarcolemma, formando un “ponte” tra il citoscheletro interno e la matrice extracellulare e contribuendo a trasferire le forze generate durante le contrazioni muscolari al tessuto circostante. Nei pazienti la produzione di distrofina è ridotta o assente: il sarcolemma, di conseguenza, è più fragile e vulnerabile e questo provoca il danneggiamento delle fibre muscolari durante la contrazione.
Rispetto a qualche decennio fa, l’aspettativa di vita per i pazienti è quasi raddoppiata, grazie ai progressi nella medicina e nella farmacologia, nella fisioterapia e nell’assistenza respiratoria. Ancora oggi, però, non esiste una cura a lungo termine per questa malattia, ma diversi farmaci sono in fase di sperimentazione clinica. Una frontiera in rapida espansione riguarda le terapie avanzate: prima di tutte la terapia genica che permette di trasportare nei muscoli una copia funzionale del gene della distrofina e che ha tagliato il traguardo autorizzativo negli Stati Uniti quest’estate; seguita dalla terapia cellulare e dall’editing genomico che ha avuto un primo infausto fallimento clinico ma che continua ad essere esplorato a livello preclinico.
Nonostante il superamento dei test sui modelli cellulari e sugli animali da laboratorio, la percentuale dei farmaci che falliscono la sperimentazione clinica rimane alta, a causa dell’elevata tossicità o della scarsa efficacia sugli essere umani. Il problema è che i modelli disponibili possiedono ancora numerose limitazioni e non sempre sono in grado di predire correttamente il risultato sull’uomo. Nel caso della distrofia di Duchenne, i modelli cellulari classici 2D non possono ricreare la struttura organizzata dei muscoli e di conseguenza nemmeno il danno al sarcolemma. D’altro canto, i modelli animali spesso non permettono un’estrapolazione dei dati valida anche per l’essere umano. Per fortuna esiste anche una terza opzione: i progressi della bioingegneria permettono oggi di ricreare riproduzioni 3D dei tessuti biologici, che mimano alla perfezione la loro architettura e le interazioni con la matrice extracellulare.
Ed è proprio una replica 3D del muscolo scheletrico che i ricercatori dell’Istituto di Bioingegneria della Catalogna hanno realizzato usando le cellule dei pazienti affetti da DMD. Il progetto, finanziato dall’associazione Duchenne Parent Project Spain (DPPE), fondata dai genitori dei bambini affetti da Duchenne, è uno splendido esempio di collaborazione tra scienza e società, che con strumenti e punti di vista diversi uniscono le forze per combattere un nemico comune. A differenza dei modelli tradizionali, questo è composto da fibre muscolari che mantengono la capacità di contrarsi quando vengono sottoposte a uno stimolo elettrico. Riesce quindi a riprodurre il danno al sarcolemma, la causa primaria della malattia, che si verifica solo in presenza di contrazione muscolare.
I ricercatori hanno testato vari protocolli di stimolazione prima di selezionare quello più adatto, ovvero in grado di causare il danno solo nelle cellule “malate” e non in cellule sane. Hanno, quindi, eseguito dei test funzionali dimostrando che questo comporta una diminuzione dell’attività del muscolo, come avviene nei pazienti che perdono gradualmente le capacità motorie e respiratorie. Il modello permette non solo di studiare i meccanismi della malattia, ma anche di testare in laboratorio quali farmaci sono in grado di rallentare o bloccare la progressione del danno, producendo risultati affidabili in minor tempo e con un ridotto uso di animali da laboratorio. I ricercatori hanno testato sul muscolo 3D una serie di nuove piccole molecole che inducono la produzione di utrofina, una proteina con una struttura molto simile alla distrofina ma presente solo in piccole quantità nei muscoli. La somministrazione di alcune di queste molecole ha aumentato l’espressione dell’utrofina e migliorato i parametri di funzionalità del muscolo. Altre due molecole, precedentemente identificate come stimolatori dell’utrofina, non hanno invece avuto alcun effetto sulle cellule muscolari, in linea con quanto emerso durante uno studio clinico di Fase II che non ha soddisfatto i criteri di efficacia di queste molecole nonostante i risultati positivi sugli animali.
La conclusione dei ricercatori è che il muscolo artificiale 3D potrebbe costituire una piattaforma di nuova generazione per studiare il meccanismo e l’efficacia dei farmaci. Il prossimo passo per i ricercatori sarà quello di perfezionare il modello integrando un sistema microfluidico che mimi il circolo sanguigno, grazie alla tecnologia “organ-on-chip”, che permette di replicare organi umani su microchip della dimensione di una chiavetta USB. L’obiettivo nel lungo termine è di introdurre questi modelli innovativi per approfondire i meccanismi cellulari e molecolari alla base della distrofia di Duchenne e per testare le diverse strategie terapeutiche che si stanno sviluppando.