Ana Lleo De Nalda, colangiocarcinoma, organ-on-a-chip

Prof.ssa De Nalda (Milano): “Il chip mima con precisione il microambiente tumorale del colangiocarcinoma e permetterà di valutare meglio la risposta ai farmaci” 

I “modellini” possono essere ideati per rivivere affascinanti vicende del passato, per ammirare i dettagli di opere architettoniche o, anche, per sviluppare farmaci innovativi. È per quest’ultimo caso che possono servire gli organoidi oppure gli “organ-on-a-chip”, grazie a cui si possono ricreare organi in miniatura, riproducendo con fedeltà l’architettura di celle e tessuti, mimandone interazioni e funzionamento. Nel caso di alcuni tumori si possono identificare i punti deboli su cui agire con farmaci mirati. Esattamente ciò che hanno fatto i ricercatori guidati da Ana Lleo De Nalda - professoressa ordinaria di Humanitas University e responsabile del Laboratorio di Immunopatologia Epatobiliare di Humanitas di Milano - per il colangiocarcinoma, tumore raro di cui oggi ricorre la Giornata Mondiale.

In occasione del World Cholangiocarcinoma Day, la Giornata Mondiale sul Colangiocarcinoma promossa dalla Global Cholangiocarcinoma Alliance (GCA), balzano all’attenzione i numeri di questo raro tumore che colpisce le vie biliari e la cui individuazione, nella gran parte dei casi, rimane relegata agli stadi avanzati di malattia. Infatti, a seconda della sede di insorgenza, il colangiocarcinoma presenta manifestazioni piuttosto varie e i riscontri clinici più frequenti - su tutti ittero e dolore addominale, sintomi tipici della forma intraepatica - avvengono solamente negli stadi avanzati della malattia. Ciò significa che al momento della diagnosi, poche persone (tra il 10 e il 30% di tutti i casi di colangiocarcinoma) presentano tumori rimovibili chirurgicamente con prognosi ottimistiche, in tutti gli altri la sopravvivenza mediana risulta inferiore a 1 anno. Da ciò risulta prioritaria la messa a punto di modelli affidabili mediante cui ricapitolare i meccanismi fisiopatologici alla base dello sviluppo e della progressione del colangiocarcinoma. Poiché bisogna partire da questo genere di conoscenza per poter elaborare nuove ed efficienti strategie terapeutiche. Lo conferma il lavoro svolto dai gruppi di ricerca guidati rispettivamente dalla professoressa Ana Lleo De Nalda e da Marco Rasponi, professore associato di Tecnologie per la Medicina Rigenerativa e responsabile del Laboratorio di Microfluidica e Microsistemi Biomimetici al Politecnico di Milano, recentemente pubblicato sulla rivista Journal of Hepatology Reports. I ricercatori hanno prodotto un innovativo prototipo di organ-on-chip di colangiocarcinoma: un “colangiocarcinoma-on-chip”, ovvero un modello di malattia di ultima generazione capace di superare gli attuali limiti dei modelli bidimensionali.

“Le classiche colture 2D su piastra presentano alcune limitazioni e non riescono a rispecchiare con fedeltà il microambiente tumorale”, spiega Lleo. “Al contrario i modelli tridimensionali, come gli organ-on-chip, nascono grazie a tecniche di microfabbricazione di ultima generazione e si avvalgono dei più moderni studi di ingegneria dei tessuti. Inoltre, sono dotati di una microfluidica capillare che permette di rievocare su un supporto di modeste dimensioni la complessità di un intero organismo”. Una sorta di “universo umano” in miniatura composto, nel caso specifico, dal finissimo e complesso sistema di dotti biliari da cui origina il colangiocarcinoma. “Ci siamo avvalsi della preziosa collaborazione del professor Guido Torzilli, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Epatobiliare dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, per ottenere i frammenti di colangiocarcinoma dei pazienti da usare per realizzare il modello”, aggiunge Lleo menzionando l’esistenza di un gruppo multidisciplinare composto da chirurghi del fegato, oncologi, epatologi, radiologi e tecnici dei laboratori di ricerca, e sottolineando la grande disponibilità dei pazienti a collaborare condividendo con i ricercatori i propri campioni bioptici. “Abbiamo isolato le cellule tumorali e le abbiamo messe in coltura”. Così, insieme al professor Marco Rasponi - forte di una lunga esperienza nel campo degli organ-on-chip - è nata l’idea di creare un modello di “colangiocarcinoma on-chip”, vale a dire un modello di malattia che imitasse nel modo più verosimile possibile le complesse interazioni tra le cellule e la matrice extracellulare

Il nostro chip ha le dimensioni di una moneta da dieci centesimi ma cela al suo interno un disegno assai raffinato”, afferma Lleo. “Infatti, è dotato di una serie di microscopiche camere che ospitano il terreno di coltura per far sopravvivere le cellule. Il corpo centrale del dispositivo è costituito da una rete di canali dove sono disposte le cellule del colangiocarcinoma insieme ai fibroblasti associati al tumore (CAFs, Cancer-Associated Fibroblasts)”. Infatti, questo tipo di tumore risulta particolarmente ricco di tessuto connettivo [in termini tecnici si dice che ha una elevata componente desmoplastica dal momento che i fibroblasti favoriscono la crescita del colangiocarcinoma, N.d.R.]. “Nei canali centrali ci sono le cellule del tumore con i fibroblasti e intorno ad essi ci sono quelli con le cellule endoteliali che formano i vasi, attraverso cui fluiscono le cellule del sistema immunitario”, puntualizza l’esperta spagnola. “Con questo strumento  cerchiamo  di ricostruire e studiare la risposta ai famaci del microambiente tumorale”. 

Ci sono voluti diversi anni di lavoro ma finalmente i risultati sono arrivati e sono stati pubblicati. Nell’articolo i ricercatori spiegano di aver testato il potenziale utilizzo della loro piattaforma microfluidica nel contesto di prove di screening farmacologico, utilizzando le cellule derivate dai pazienti con colangiocarcinoma e una combinazione di gemcitabina e cisplatino. “Laddove l’opzione chirurgica non sia praticabile, o la malattia sia in fase troppo avanzata, la terapia di prima linea contro il colangiocarcinoma prevede una combinazione di chemioterapia (gemcitabina + cisplatino) e durvalumab, un inibitore dei checkpoint immunitari”, spiega ancora Lleo. “L’impiego sinergico dei farmaci chemioterapici e inibitori dei checkpoint immunitari ha prodotto buoni risultati tanto da far proporre l’utilizzo di altri inibitori, tra cui pembrolizumab. Tuttavia, al di là del tipo di inibitore dei checkpoint usato si è visto che l’efficacia maggiore proviene unicamente dalla combinazione di entrambe le classi di farmaci. L’auspicio è che avanzati modelli di malattia come il nostro facciano luce sulle ragioni di un tale comportamento, aiutando a comprendere i meccanismi alla base della diversa risposta”.

I team di ricerca coinvolti nella realizzazione dello speciale “colangiocarcinoma-on-chip” hanno avuto bisogno di molto tempo per l’affinamento del protocollo: infatti, la prima parte del progetto - realizzato grazie ad un finanziamento AIRC - è servita a trovare le ideali condizioni di crescita delle cellule, mentre negli anni successivi sono state confrontate le risposte del chip con quelle osservate nelle colture classiche per assicurarsi che esse rispecchiassero quello che accade in vivo, nel corpo dei malati. “Adesso entriamo nella seconda fase del progetto, nella quale intendiamo studiare sul chip la risposta ai farmaci per il colangiocarcinoma”, conclude Lleo. “Nel frattempo dovremo riuscire a standardizzare il protocollo per favorire un eventuale futuro passaggio in clinica. Infatti, la speranza per il domani è di poterlo usare al letto del paziente, cioè per testare i farmaci sui campioni bioptici prelevati dai malati e scoprire quale sia la miglior opzione terapeutica nel caso di eventuale recidiva”. 

Una prospettiva di lavoro ancora lunga ma che potrebbe mettere nelle mani dei medici uno strumento indispensabile per portarsi “un passo avanti” a un tumore che, attualmente, non concede vantaggio.

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