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Dott.ssa Anna Tesei (Meldola): “Utilizzeremo la tecnica del bioprinting per ottenere modelli tridimensionali di glioblastoma su cui testare soluzioni terapeutiche personalizzate” 

Le stampanti 3D si possono ormai considerare strumenti di uso comune, tanto in chiave lavorativa - si pensi alla professione degli orafi - quanto ludica visto che non mancano i genitori che le regalano ai figli per stimolarne la creatività. Tra questi c’è la dottoressa Anna Tesei, ricercatrice presso il Laboratorio di Bioscienze dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori - IRCCS ‘Dino Amadori’ di Meldola e responsabile scientifica del progetto 3D-Pioneer, nato con l’obiettivo di mettere a punto nuovi e avanzati modelli tridimensionali di glioblastoma multiforme allo scopo di testare farmaci e terapie cellulari di ultima generazione e migliorare così il protocollo terapeutico per questo raro ma aggressivo tumore del cervello.

Cosa c’entrano le stampanti 3D con il glioblastoma? Per capirlo occorre ricordare che questo tumore è uno dei più diffusi tra quelli del sistema nervoso centrale, nonché fra quelli a prognosi peggiore. L’aspettativa di vita alla diagnosi è di circa 15 mesi e la sopravvivenza a 5 anni è inferiore al 7%, sono numeri che fanno rabbrividire, specie se si considera che non sono ancora stati individuati farmaci mirati e che la terapia standard consiste nella resezione chirurgica seguita da radioterapia e chemioterapia con temozolomide (un farmaco chemioterapico). “Nonostante un tale approccio multimodale, non si riesce a placare la ferocia del glioblastoma che dopo tutti questi trattamenti, invariabilmente, tende a ripresentarsi in forma ancora più aggressiva”, afferma Tesei. “Al momento della recidiva non esiste uno standard di cura pertanto, laddove possibile, si cerca di far partecipare i malati ai trial clinici”.

In Italia esistono diversi gruppi di ricerca sul glioblastoma multiforme, da quelli che puntano a sviluppare una terapia genica efficace, a quelli che scommettono sulla possibilità di impiegare molecole immunostimolanti specifiche, sino ai primi successi delle CAR-T. “Negli anni le conoscenze della genetica del glioblastoma multiforme sono cresciute”, continua Tesei. “Tuttavia, rimane difficile produrre modelli accurati del tumore”. Per tentare di superare questo scoglio e allestire modelli realistici e affidabili gli scienziati stanno ricorrendo agli organoidi che, grazie alle potenzialità delle cellule staminali, consentono di ricostruire tridimensionalmente le colture cellulari su cui sperimentare la validità dei vari approcci farmacologici. Per quel che riguarda il glioblastoma ci ha provato un gruppo di studiosi israeliani e ora, grazie al progetto 3D-Pioneer - nato dalla collaborazione dell’IRCCS Istituto di Ricerca in Tecnologie Avanzate e Modelli Assistenziali in Oncologia di Reggio Emilia, del Tecnopolo ‘Mario Veronesi’ di Mirandola e della Fondazione Democenter-Sipe - anche gli scienziati coordinati dalla dottoressa Tesei si impegneranno a mettere a punto una piattaforma in grado di applicare le tecnologie 3D allo studio del glioblastoma multiforme.

“Da anni abbiamo intessuto un rapporto di collaborazione con l’unità di Neurochirurgia, diretta dal dott. Luigino Tosatto, dell’ospedale di Cesena che rappresenta un centro di eccellenza per interventi chirurgici su pazienti affetti da glioblastoma”, spiega Tesei. “Grazie a ciò, e alla disponibilità dei pazienti a contribuire alla ricerca scientifica, abbiamo ottenuto dal materiale chirurgico dei pazienti numerose colture primarie con una forte componente di staminalità, cioè dotate delle caratteristiche responsabili della ripresa di malattia. Da queste abbiamo ottenuto dei modelli in vitro per testare nuovi farmaci o trattamenti cellulari avanzati”. Questa fase è resa possibile dalla semina delle cellule su piastre bidimensionali che, purtroppo, non riescono a replicare la complessità degli organi come fanno, invece gli organoidi, i modelli cellulari all’avanguardia, attualmente usati per lo studio dei tumori del fegato, del colon-retto, della mammella o del polmone. “Col progetto 3D-Pioneer ci proponiamo di creare degli sferoidi, cioè degli organoidi sferici (o neurosfere) rappresentativi del tessuto tumorale del paziente”, puntualizza Tesei. “Tramite la tecnica del bioprinting stratificheremo le cellule del tumore ricavate dai campioni dei pazienti e le componenti immunitarie, ricostruendo fedelmente il microambiente del glioblastoma”. 

La chiave di volta per ottenere questo risultato è la stampa 3D che, al posto degli inchiostri sintetici dei dispostivi in commercio, utilizza le cellule e permette di creare sulle piastre comunemente usate per i test di screening dei farmaci delle minuscole sfere, tutte delle stesse dimensioni. “La sfida è ottenere sferoidi omogenei così da avere risposte altrettanto omogenee e mirate dai farmaci testati”, continua la biologa romagnola. “Ci siamo affidati alla ditta CellDynamics di Bologna che ha sviluppato un sistema di cell sorting per colture 3D basato sulla misurazione oggettiva ed estremamente precisa delle dimensioni e della densità degli organoidi, consentendo la scelta di sferoidi uniformi per tali parametri”. L’idea è quella di creare un processo di realizzazione degli sferoidi guidato da software che riducono l’apporto manuale dell’operatore, rendendo uniforme e precisa l’opera, al termine della quale i modelli 3D di glioblastoma saranno pronti per le verifiche con le terapie avanzate. “Per questa fase abbiamo ottenuto il supporto della ditta Cellply che sta sviluppando un sistema di valutazione in vitro delle terapie per attaccare le cellule di glioblastoma”, spiega Tesei. “Tale sistema funziona già per le colture bidimensionali ma, nel progetto 3D-Pioneer puntiamo a raggiungere un livello di informazione ancora più dettagliato, con una tecnologia di imaging che ci permetta di osservare in tempo reale le cellule CAR-T in azione nello sferoide”.

3D-Pioneer avrà una durata di circa 2 anni (potenzialmente prorogabile per altri sei mesi) per condurre alla preziosa opportunità di portare in clinica - proprio al letto del paziente - i benefici della ricerca sul glioblastoma. “Il nostro sogno è che, in un futuro non troppo lontano, dai pazienti con glioblastoma multiforme sottoposti a operazione chirurgica possa provenire il materiale adatto a realizzare gli organdi tridimensionali per testare i farmaci, in maniera tale che, quando il tumore si ripresenterà, i medici avranno a disposizione un pannello di opzioni terapeutiche che in vitro abbiano già dimostrato di funzionare specificamente sulle cellule del singolo paziente”, conclude Tesei. “Ciò implica anche una caratterizzazione dal punto di vista genetico degli organoidi per accertarsi di quali percorsi molecolari abbiano innescato la malattia. Solo con un’indagine a tutto campo del materiale che arriva dalla sala chirurgica possiamo sperare di ottenere risposte efficaci per la scelta delle cure da applicare”. L’ultima fase del progetto - per cui serviranno anni di lavoro e uno sforzo congiunto da parte di tutti i soggetti coinvolti - sarà quella della validazione dei dati su modelli murini, utili a corroborare i risultati dell’osservazione in vitro.

Così, mentre le figlie della dottoressa Tesei si daranno a progetti di grafica tridimensionale, la loro madre userà la stessa tecnologia per realizzare accurati modelli di uno dei più letali tumori che si conosca, affinché servano a trovare la cura di cui oggi hanno bisogno tanti malati.

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