È stato osservato in modelli 3D che la combinazione con un farmaco specifico aumenta l’attività delle CAR-T che sono così capaci di penetrare più profondamente all’interno del tumore
Sono due i pregi dello studio apparso sulle pagine della rivista Neuro-Oncology e firmato dai ricercatori dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: il primo è aprire la strada verso un possibile trattamento per i gliomi diffusi della linea mediana che, al momento, lasciano poche speranze di guarigione ai piccoli malati. Il secondo è collocare terapie avanzate come le CAR-T dentro una logica “di squadra”, mostrando come la medicina del futuro sia fatta di approcci combinatoriali specifici. Lo ha spiegato ad Osservatorio Terapie Avanzate la dott.ssa Maria Vinci, del Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede, che ha guidato lo studio insieme a Franco Locatelli.
Sin dagli albori dell’oncologia la percezione - e anche la speranza - di molti era di riuscire a trovare “una cura” per il cancro. Ovviamente si trattava di una visione semplicistica, sostenuta dai movimenti che sul finire degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso vedevano nei primi successi in campo oncologico i prodromi di una disfatta della malattia. A quasi cinquant’anni di distanza, il rischio che molti identifichino nelle terapie avanzate quella sorta di panacea universale contro ogni patologia è concreto, perciò occorre fare chiarezza sul loro possibile ruolo. In modo particolare, quando i riferimenti vanno a forme tumorali rare e aggressive come i gliomi della linea mediana (DMG).
SCOVARE GLI ANTIGENI SPECIFICI DELLE CELLULE TUMORALI
La possibilità di colpire proteine tumorali altamente specifiche è da tempo al centro di studi clinici su tumori solidi quali il glioblastoma: ma a riscuotere interesse per la costruzione di CAR-T da impiegare contro i gliomi diffusi della linea mediana è stata la proteina GD2. “Nel 2018 è stato pubblicato sulla rivista Nature Medicine il primo lavoro legato all’utilizzo di cellule CAR-T contro questi tumori”, afferma la dott.ssa Maria Vinci. “È stato così possibile osservare un potente effetto antitumorale legato alle CAR-T contro l’antigene GD2 (GD2-CAR-T) presente sulle cellule tumorali. In particolare, è stata osservata un’associazione specifica tra le cellule che presentavano l’antigene GD2 e quelle che sono affette dalla mutazione H3K27M, tipicamente espressa dai gliomi diffusi della linea mediana. Da queste scoperte siamo partiti con il lavoro che abbiamo descritto nell’articolo pubblicato su Neuro-Oncology”.
Insieme ai colleghi dell’Istituto Superiore di Sanità, del Policlinico Gemelli e dell’Institute of Cancer Research di Londra, i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno esteso l’orizzonte di studio, guardando anche ad altri gliomi di alto grado che potrebbero usufruire di questo approccio terapeutico osservando una diffusa ma eterogenea espressione di GD2. “Abbiamo notato che le cellule in vitro riportanti la mutazione H3K27M esprimono in maniera omogenea e sostenuta la molecola GD2”, precisa Vinci. “Nei tessuti dei pazienti invece la situazione è molto più eterogenea. È una distinzione importante perché noi trattiamo il paziente ma abbiamo bisogno di modelli di malattia precisi e rigorosi. Questa diversità di espressione e comportamento delle cellule in vitro e in vivo ci ha fatto pensare alla possibilità di usare qualcosa in grado di sostenere l’azione delle CAR-T”.
NON SOLO CAR-T: APPROCCI COMBINATORIALI
Dallo studio statunitense era emersa la possibilità di ricorrere a un approccio multimodale, capace di combinare l’azione delle CAR-T ad altri farmaci, in grado di attaccare in maniera mirata il tumore. Infatti, storicamente si sono palesati problemi di differente natura (da un’eccessiva risposta infiammatoria all’ostilità del microambiente tumorale, N.d.R.) che hanno limitato l’efficacia delle CAR-T contro vari tumori solidi, lasciando immaginare nuove modalità di potenziamento della loro azione. Alcuni hanno pensato di unire alle CAR-T la somministrazione di anticorpi monoclonali che prendano di mira i cosiddetti checkpoint immunitari, altri puntano sull’impiego di small molecules che incrementino i processi di morte cellulare del tumore. Il vantaggio di questa filosofia - di cui si sono fatti interpreti diversi gruppi di ricerca italiani - è dato dal fatto che i farmaci agiscono in sinergia con le CAR-T, potenziandone l’attività o contrastando la proliferazione delle cellule tumorali.
Da qui sono partiti i ricercatori romani che hanno iniziato a lavorare sulle cellule tumorali dei pazienti affetti da DMG ottenute tramite biopsia. Dopo aver studiato l’espressione di GD2 nei campioni di glioma essi hanno realizzato una piattaforma di screening con cui confrontare l’attività e il ruolo di diverse molecole per potenziare l’attività delle GD2-CAR-T. “Abbiamo confrontato molti farmaci per individuare quelli che potessero svolgere un’azione antitumorale senza interferire con la vitalità delle CAR-T”, prosegue Vinci. “In questo modo abbiamo individuato gli inibitori della via di segnalazione di IGF1R/IR, un recettore presente sulle cellule tumorali dei DMG ma non sulle membrane delle CAR-T. Combinando le CAR-T e lisintinib, un farmaco inibitore del recettore del fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF1R), siamo riusciti ad attaccare la cellula tumorale con due armi contemporaneamente”. L’effetto di una tal combinazione è stato studiato sia sui modelli cellulari classici che su quelli noti come sferoidi tumorali, dove la configurazione cellulare è più simile al tumore in vivo. “Così abbiamo appurato quanto la combinazione farmacologica sia stata efficace rispetto ai due agenti singoli. In combinazione con linsitinib, le CAR-T diventavano più persistenti nella penetrazione all’interno dello sferoide tumorale”, racconta la dottoressa romana, aggiungendo come il passaggio successivo sia stato quello di verificare la validità di tale approccio su un modello animale. “Tutto ciò ha confermato come la combinazione abbia prodotto una significativa riduzione rispetto ai controlli nella diffusione delle cellule tumorali sulle fettine di cervello murino”.
L’OSTACOLO DELLA BARRIERA EMATO-ENCEFALICA
Rimaneva da capire quali fossero le quantità di farmaco e di CAR-T più adatte per questo “attacco a due punte”. “Sapevamo che il farmaco utilizzato nella nostra combinazione fatica a superare la barriera emato-encefalica che protegge il cervello e ciò rende complicato individuare le giuste dosi da usare”, aggiunge ancora Vinci. “Pertanto, abbiamo testato la tollerabilità e la potenziale efficacia di lisintinib a diverse dosi scoprendo che anche alle concentrazioni più alte era ben tollerato, sebbene non efficace da solo. Per quanto riguarda, invece, le cellule CAR-T avevamo bisogno di studiare la risposta alla dose. I colleghi statunitensi avevano dimostrato il loro effetto antitumorale ma noi volevamo ottenere un’alternativa sicuramente efficace ma anche più libera da potenziali effetti collaterali. Era necessario valutare l’azione sinergica delle CAR-T col farmaco”.
Linsitinib ha saputo esercitare un’azione antitumorale diretta sulle cellule di glioma diffuso della linea mediana, mentre le CAR-T attaccavano le cellule tumorali sulla cui superficie è presente il recettore GD2, confermando così la possibilità di ricorrere a protocolli combinatoriali efficaci e sicuri. E non solo. “Il farmaco linsitinib non interferisce con la vitalità della CAR-T e, seppure il recettore IGF1R/IR non sia presente sulla membrana delle CAR-T, il farmaco conferisce una modulazione dell’attività delle CAR-T stesse”, precisa Vinci. “In questo modo l’attività delle CAR-T può prolungarsi nel tempo e il loro effetto di penetrazione del tumore persiste a lungo”. Come ricordato anche in un editoriale apparso sullo stesso numero di Neuro-Oncology, il futuro delle CAR-T guarda nella direzione degli approcci combinatoriali che garantiscano una maggiore efficacia e anche una modulazione dell’attività delle CAR-T, in un’ottica di sicurezza per il paziente. Infatti, in questo caso specifico, linsitinib e le CAR-T non agiscono interferendo uno con le altre ma è stato visto come il farmaco amplifichi l’attività delle cellule CAR-T e si ipotizza che le CAR-T riescano a “fare strada” al farmaco proprio nel superamento della barriera ematoencefalica (BEE).
Il cammino per traslare in clinica queste procedure combinatoriali dovrà passare per ulteriori studi preclinici più complessi. Intanto, negli Stati Uniti, è stato già avviato uno studio clinico di Fase I per valutare la dose di terapia tollerata, la sicurezza e la fattibilità di trattamento dedicati ai gliomi diffusi della linea mediana e del ponte, a quelli che esprimono GD2 e a quelli recidivanti e refrattari alla terapia che guardano anche ad altri bersagli alternativi. Le collaborazioni multidisciplinari già avviate e l’ampliamento degli studi ad altri bersagli clinici fa sperare nel meglio.