Neuroblastoma

Rinominate CAR-PC, per ora sono state testate sui modelli animali ma potrebbero rappresentare un punto di svolta nella lotta ai tumori solidi come il neuroblastoma 

Sfogliando una qualsiasi rivista capita di trovare pubblicità di quei prototipi di auto rappresentativi della direzione imboccata dall’evoluzione del settore, proiettando così il lettore in un futuro che, guardando alle automobili che riempiono le strade, non è poi così lontano come si pensa. La stessa cosa si può dire per le terapie a base di cellule CAR-T che oggi vivono in pieno un passaggio evolutivo indispensabile per poter accedere all’universo dei tumori solidi. A ricordarlo c’è anche il lavoro dei ricercatori del Children’s Hospital of Philadelphia (CHOP) e della Perelman School of Medicine presso l’Università della Pennsylvania, pubblicato a novembre sulla rivista Nature, che descrive lo sviluppo di una forma di CAR-T diretta contro specifiche proteine necessarie per la crescita del tumore.

Lo studio riporta i primi risultati ottenuti sui modelli animali per questa innovativa classe di CAR-T, descrivendone il meccanismo d’azione con particolare riferimento ai tumori solidi. Al principio c’è la ricerca di proteine specificamente espresse dai tumori che possano essere prese a bersaglio da una nuova forma di immunoterapia. Infatti, rispetto alle leucemie e ai linfomi, i tumori solidi presentano sulla superficie cellulare un più corposo insieme di antigeni e la riuscita dell’intervento terapeutico dipende proprio dalla corretta scelta dell’antigene da posizionare al centro del mirino. Aumentare la specificità delle nuove CAR-T serve a ridurre i possibili effetti collaterali legati alla terapia, a maggior ragione se si considera che molti di questi antigeni si trovano ugualmente espressi sulla superficie delle cellule sane. 

Solo una modesta frazione delle proteine di membrana è espressa unicamente sulle cellule del tumore - e non sulle cellule dei tessuti sani - e meno ancora sono quelle coinvolte nell’omeostasi tumorale. Inoltre, molte di queste proteine sono difficili da raggiungere perché si trovano nel citoplasma e nel nucleo delle cellule e il sistema immunitario non riesce ad avervi accesso senza l’opera del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), evolutosi proprio per rendere visibile alle componenti del sistema immunitario i frammenti di peptidi che caratterizzano appunto le cellule “estranee”. Nell’uomo il complesso maggiore di istocompatibilità prende il nome di HLA ed è una componente dominante della reazione di rigetto nei trapianti d’organo. Per quello che riguarda alcuni tumori, a rendere più complesso il quadro della situazione contribuisce il ridotto set di mutazioni caratterizzanti: infatti, per il sistema immunitario diventa ancora più difficoltoso distinguere una cellula che presenti poche differenze rispetto al modello sano di riferimento.

Tra le neoplasie rispondenti a questo profilo figura il neuroblastoma, che origina dalle cellule del sistema nervoso e rappresenta uno dei più diffusi tumori dell’infanzia. Purtroppo, si tratta di una forma tumorale particolarmente aggressiva nel cui protocollo terapeutico compaiono la chemioterapia e la radioterapia (e, laddove possibile, la chirurgia). Nonostante questo, l’elevato tasso di recidive si associa ad una sostanziosa riduzione della sopravvivenza. Sebbene alcuni gruppi di ricerca abbiano concentrato la loro attenzione sulla proteina GD2 espressa sulla gran parte dei neuroblastomi, questo tumore risulta piuttosto resistente ai protocolli di immunoterapia proprio in seguito al suo basso carico di mutazioni e alla ridotta espressione di MHC. Pertanto, i ricercatori americani hanno scommesso sulla possibilità di identificare i peptidi specificamente espressi dal neuroblastoma e hanno prodotto delle speciali CAR-T.

Essi hanno guardato “all’interno” delle molecole del MHC di neuroblastoma e, attraverso sofisticate indagini di comparazione tra migliaia di peptidi, hanno cercato di capire quali di essi erano espressi solo sulle cellule di neuroblastoma anziché nei tessuti sani. Questa fase di lavoro è stata possibile grazie alla disponibilità di un vasto database di peptidi, impiegato come termine di raffronto allo scopo di eliminare quelli associati ai tessuti sani. Inoltre, ha portato a individuare il peptide PHOX2B, codificato da un omonimo gene espresso in via esclusiva nel corso dello sviluppo fetale e silenziato nei tessuti sani prima della nascita. PHOX2B è fortemente espresso nelle cellule di neuroblastoma ed è, per tale ragione, un candidato ideale per i protocolli di immunoterapia.

È così che è stato messo a punto un costrutto specifico per PHOX2B - una PC-CAR, Peptide-Centric CAR, capace di riconoscere questo specifico peptide su diversi tipi di HLA. La PC-CAR  è stata testata su diverse linee cellulari di neuroblastoma e ha completamente eliminato il neuroblastoma nei topi, suggerendo la possibilità di suscitare una risposta immunitaria specifica ed estesa. Ancor più, essa potrebbe essere sfruttata per malati con diversi profili genetici: infatti, i sistemi i sistemi computazionali usati in questo progetto hanno permesso di identificare un elevato numero di peptidi presenti sui vari sistemi HLA e ciò significa poter raggiungere un ampio numero di persone.

Questi interessanti risultati dovranno superare la difficile prova dei trial clinici sull’uomo, ma rappresentano l’evidenza di un cambiamento evolutivo che porterà i trattamenti ottenuti dalle cellule CAR-T ad un livello di accuratezza tale da poter affrontare tumori solidi recidivanti o privi di un terapia mirata efficace. I ricercatori americani sperano di dare avvio a questa fase già entro la fine del 2022 - al più tardi all’inizio del 2023 - e ciò significa che questo “prototipo”, unico nel suo genere, potrebbe in futuro diventare una risorsa disponibile su larga scala per tanti malati.

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