Ricercatori del San Raffaele di Milano hanno osservato come lo strato di zuccheri che si forma intorno alle cellule del tumore limiti l’azione delle CAR-T. L’idea è di aggirare tale protezione
Oggi si celebra la Giornata Mondiale Contro il Cancro (World Cancer Day), promossa dall’Union for International Cancer Control e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il tema della campagna 2022-2024 è #CloseTheCareGap”, cioè colmare il gap nell’assistenza sanitaria: la realtà di oggi è che chi sei e dove vivi sono parametri che possono influenzare la tipologia di cura a cui ti puoi sottoporre. Questo si nota ancora di più quando si parla di terapie avanzate come le CAR-T, protagoniste di questo studio. Un’interessante ricerca sviluppata all’interno dei laboratori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano ha dimostrato, infatti, che i tumori solidi sono in grado di erigere una serie di difese che interferiscono con la risposta immunitaria. Tra queste c’è la formazione di uno strato di zuccheri aberrante che impedisce a terapie innovative, quali le cellule CAR-T, di svolgere la loro azione.
Recentemente pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, lo studio è firmato dalla dott.ssa Beatrice Greco, che ha da poco concluso il suo dottorato presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, e coordinato dalla prof.ssa Monica Casucci, Responsabile dell’Unità Immunoterapie Innovative dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che lo ha illustrato ad Osservatorio Terapie Avanzate.
Da anni impegnati sul fronte dello sviluppo di nuovi protocolli di immunoterapia da traslare nella pratica clinica, gli studiosi milanesi si sono focalizzati sulle cellule CAR-T, il cui utilizzo nella lotta ai tumori onco-ematologici ha permesso di tagliare traguardi unici e insperati. Purtroppo, l’oncologia solida si sta rivelando un più ostico campo di battaglia, dal momento che alcuni tumori mettono in atto molteplici meccanismi di resistenza che li rendono difficili da sconfiggere. “La nostra idea è stata quella di investigare prima di tutto con quali meccanismi i tumori solidi si proteggono dalla risposta immunitaria in generale e dalla risposta delle cellule CAR-T in modo particolare”, spiega Casucci. “Così abbiamo scoperto che la glicosilazione rappresenta una delle barriere che la cellula tumorale innalza contro l’azione delle CAR-T”.
UNO ZUCCHERO DI TROPPO
Col termine “glicosilazione” si intende l’aggiunta di uno o più zuccheri a una proteina o a un lipide. Si tratta di un processo con cui una proteina viene modificata, cambiando così la sua possibilità di interagire con altre proteine vicine o con il microambiente circostante. Una piccola catena di zuccheri aggiunta, ad esempio, ad una proteina presente sulla superficie di una cellula può modificare l’interazione della stessa con le altre cellule, inclusi i linfociti CAR-T.
Evolvendosi e moltiplicandosi in maniera molto rapida, le cellule tumorali subiscono una impressionante sequenza di trasformazioni che porta all’alterazione di numerosi meccanismi propri delle cellule sane, come la glicosilazione. Modificando tale processo a proprio vantaggio, le cellule del tumore cambiano lo strato di zuccheri che le ricopre, mimetizzandosi per ridurre gli attacchi del sistema immunitario. “Le cellule tumorali generano catene zuccherine più lunghe e stericamente ingombranti che le nascondono alle componenti del sistema immunitario”, prosegue l’esperta. “Questa protezione agisce a diversi livelli, ma prima di tutto con il mascheramento dei bersagli antigenici riconosciuti dalle cellule CAR-T e la difficoltà di instaurare un’interazione solida con la cellula CAR-T”.
Infatti, normalmente le terapie a base di cellule CAR-T sono in grado di riconoscere le cellule tumorali tramite specifici antigeni espressi sulla loro superficie. Una volta avvenuto il riconoscimento dell’antigene bersaglio, le CAR-T stabiliscono con le cellule tumorali una stretta interazione, chiamata sinapsi immunologica, che permette l’attivazione delle funzioni effettrici delle cellule T e l’uccisione della cellula tumorale. “Lo strato di zucchero impedisce che l’interazione si svolga in maniera efficace”, aggiunge Casucci. “Ne risulta che le CAR-T si attivano meno e sono molto meno efficienti nell’eliminare la cellula tumorale”.
C’È ZUCCHERO E ZUCCHERO
Per dimostrare la loro ipotesi, i ricercatori guidati dalla dottoressa Casucci hanno realizzato un modello cellulare in cui il silenziamento del gene MGAT5 (Mannoside acetylGlucosAminylTransferase 5) impedisce la N-glicosilazione in cellule di tumore pancreatico. Come strategia alternativa, sfruttabile clinicamente, hanno invece trattato le cellule tumorali con uno zucchero sintetico, il 2DG (2-Deossi-DIl glucosio) che, come analogo del mannosio, è capace di interferire con la N-glicosilazone. Il 2DG ha il vantaggio di accumularsi preferenzialmente nelle cellule tumorali, che hanno bisogno di molto nutrimento per poter far fronte alla loro rapida moltiplicazione. Tuttavia, una volta incorporato nelle catene zuccherine nascenti, il 2DG blocca il loro allungamento risultando nella generazione di catene zuccherine più corte e meno ingombranti.
“Abbiamo combinato la somministrazione del 2DG con una terapia a base di cellule CAR-T in animali di laboratorio. Ciò che abbiamo potuto osservare è che l’attività antitumorale delle CAR-T ha avuto un chiaro miglioramento”, precisa Casucci. “Inoltre, abbiamo osservato che lo strato di zuccheri presenti sulla cellula tumorale promuove il funzionamento dei checkpoint immunitari responsabili dello spegnimento delle risposte T-mediate. Per cui, bloccando la glicosilazione si impedisce anche il funzionamento dei checkpoint immunitari, come PD-L1, togliendo così il freno all’azione dei linfociti CAR-T”. Un effetto simile si ottiene quando si somministrano anticorpi monoclonali come pembrolizumab o avelumab, definiti inibitori dei checkpoint immunitari.
CAR-T SENZA ZUCCHERO…
“In definitiva, bloccando la glicosilazione si denuda la cellula tumorale dello strato zuccherino che la protegge, rendendola riconoscibile alle CAR-T, sia in termini di esposizione dell’antigene bersaglio che di prossimità cellulare”, afferma Casucci. “Inoltre, si impedisce l’interazione tra i checkpoint immunitari, limitando il fenomeno dell’esaurimento a cui le cellule CAR-T vanno incontro quando i percorsi di segnalazione dei checkpoint sono attivi”. I ricercatori milanesi hanno indagato gli esiti del blocco della glicosilazione in vari tipi di carcinomi, fra cui quello dell’ovaio, del pancreas e della vescica, ma questo approccio potrebbe rivelarsi promettente per indebolire l’armatura del tumore e permettere alle CAR-T di sferrare il loro colpo vincente anche contro altri tumori solidi, come i glioblastomi, e tumori ematologici.
“Abbattere le difese di un tumore solido è difficile anche per le cellule CAR-T. Per cui, in questo contesto dobbiamo guardare alla possibilità di ricorrere a terapie combinate, come quella proposta insieme al 2DG, o a prodotti CAR-T potenziati da ulteriori modificazioni geniche. Ciò potrebbe migliorare l’efficacia antitumorale indipendentemente dalla specificità delle CAR-T e dal tipo di tumore”, conclude Casucci. “Sarà necessario procedere con ulteriori sperimentazioni prima di poter portare questa strategia nella fase clinica ma i nostri dati dimostrano che l’approccio potrebbe fare la differenza proprio nei tumori solidi, in cui i risultati di efficacia delle CAR-T sono stati finora insoddisfacenti”.
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