Sono alimentati ad urea e raggiungono autonomamente tutte le parti della vescica. In uno studio preclinico, una singola dose ha ridotto le dimensioni del tumore del 90% nei topi
Karel Čapek, scrittore praghese, coniò il termine “robot” nel 1920, in uno dei suoi drammi, per indicare umanoidi che svolgevano il lavoro al posto degli operai e infine si ribellavano al loro padrone. Da quella prima apparizione, i robot sono sbarcati in migliaia di opere di fantascienza e sono ormai onnipresenti nella vita reale. Di recente hanno fatto il loro debutto anche nei laboratori di ricerca per il rilascio mirato dei farmaci: non hanno sembianze umane come i robot dell’immaginario fantascientifico, ma quelle di minuscole particelle auto-propellenti in grado di navigare autonomamente nel corpo umano. Un team di ricerca di Barcellona ha condotto uno studio preclinico utilizzando nanorobot alimentati da urea per colpire il tumore alla vescica, i risultati sono stati pubblicati su Nature Nanotechnology.
Il cancro alla vescica rappresenta la dodicesima neoplasia più diffusa a livello globale. In Italia, colpisce più di 300.000 persone, di cui la maggior parte sono uomini – nonostante in 5 anni siano aumentati dell’11% anche i casi femminili. Il numero annuale di diagnosi nel nostro Paese è pure in crescita, con più di 29.000 nuovi casi nel 2022 (contro i 27.000 del 2017). Al momento della diagnosi, circa il 75% dei casi è costituito da forme non invasive, che vengono trattate con l'introduzione diretta nella vescica di agenti immunoterapici (come il Bacillo di Calmette-Guérin, BCG) o chemioterapici (come la mitomicina C3), dopo la resezione chirurgica del tumore.
Ma questi trattamenti provocano effetti collaterali e dimostrano una efficacia limitata nel lungo termine: le percentuali di recidiva oscillano tra il 30% e il 70%. I pazienti sono costretti a sottoporsi a un regime di sorveglianza attiva, con frequenti esami periodici e nuovi trattamenti nel caso in cui la patologia si ripresenti. Questo rende il cancro alla vescica uno dei più costosi da trattare: in Italia il costo annuo di gestione di questa neoplasia rappresenta da solo il 7% della spesa sanitaria.
Lo scenario potrebbe cambiare grazie alle nanotecnologie, che hanno inaugurato un nuovo capitolo nel campo del trasporto mirato dei farmaci o della terapia genica, che si serve di nanoparticelle auto-propellenti per raggiungere gli angoli più reconditi del corpo umano e fornire i farmaci proprio dove sono più necessari.
Il team di ricerca guidato dall’Istituto per la Bioingegneria della Catalogna (IBEC), con la collaborazione dell’Istituto per la Ricerca in Biomedicina (IRB) e dell'Università Autonoma di Barcellona, ha scommesso su nanoparticelle di silice del diametro di pochi nanometri (cioè milionesimi di millimetro) per il rilascio “intelligente” di un farmaco contro il cancro alla vescica. Queste minuscole particelle hanno una caratteristica che le rende superiori ai trattamenti convenzionali: “sanno” come muoversi e raggiungere il bersaglio in maniera autonoma. Per questo somigliano più a dei “robot”, dotati di due componenti con funzioni specifiche, un motore e un’arma. Il motore è l’enzima ureasi, una proteina che reagisce con l’urea presente nelle urine, fornendo alle nanoparticelle l’energia necessaria per muoversi autonomamente. L’arma vera e propria è lo iodio radioattivo, un radioisotopo comunemente usato per il trattamento localizzato di alcuni tumori, come quello della tiroide o della prostata.
In uno studio precedente i ricercatori avevano dimostrato che i nanorobot, grazie alla loro capacità di auto-propulsione, riescono a raggiungere tutte le pareti della vescica, superando uno dei limiti dei trattamenti convenzionali. Anche questi vengono somministrati direttamente nella vescica, ma si distribuiscono in maniera passiva e perciò hanno una efficacia minore, tanto che sono necessarie dalle 6 alle 15 sedute per raggiungere il risultato desiderato. La procedura è anche poco “confortevole” per il paziente, che dopo l’iniezione deve cambiare posizione ogni mezz’ora per garantire che il farmaco raggiunga tutte le pareti della vescica.
Questo passaggio con i nanorobot non è più necessario, perché il loro motore alimentato a urea gli permette di raggiungere autonomamente l’intera superficie dell’organo. Con una singola dose, infatti, i ricercatori hanno osservato una riduzione delle dimensioni del tumore del 90% nei topi. Il nuovo studio pubblicato su Nature Nanotechnology lo scorso gennaio dimostra che i nanorobot rilasciano il farmaco direttamente all’interno del tumore. Attraverso tecniche innovative, come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la microscopia a fluorescenza, gli scienziati sono stati in grado di monitorare il comportamento dei nanorobot all’interno del corpo e hanno dimostrato che questi non solo raggiungono il tumore, ma vi entrano dentro, potenziando l’azione del radiofarmaco.
I nanorobot hanno, infatti, la capacità di abbattere la matrice extracellulare del tumore, aumentando localmente il pH attraverso una reazione chimica auto-propellente. Mentre “rimbalzano” sulla superficie dell’urotelio (l’epitelio che riveste le pareti della vescica), come se sbattessero contro un muro, riescono a penetrare e ad accumularsi nel tumore, che ha una consistenza più spugnosa. A fare la differenza, spiegano i ricercatori, è la mobilità dei nanorobot, che aumenta le loro possibilità di raggiungere con successo il tumore.
"Con una singola dose abbiamo osservato una diminuzione del 90% del volume del tumore. Questo approccio potrebbe significare un’importante riduzione del numero di appuntamenti ospedalieri e dei costi di trattamento, migliorando l'efficienza complessiva", spiega Samuel Sánchez, professore di ricerca presso l'IBEC e coordinatore dello studio.