Dott. Massimilano Petrini “Cooptando una mutazione tipica delle cellule neoplastiche aggiungono persistenza ed efficacia alla loro azione e superano le barriere del tumore”
Le cellule neoplastiche sono come delle bande di pericolosi criminali che imperversano per la città provocando danni e costringendo all’impotenza i buoni cittadini. Per fermarle serve una polizia ben addestrata, formata da cellule CAR-T addestrate a riconoscerle e bloccarle. Ma cosa si può fare quando queste pericolose “bande” sfuggono anche al controllo delle squadre speciali? La risposta potrebbe (auspicabilmente) esser contenuta in articolo pubblicato il mese scorso sulla rivista Nature, che ha commentato per noi il dott. Massimiliano Petrini, Responsabile della Cell Factory dell’IRCCS - Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori” di Meldola (FC), nonché Direttore dell’Immuno-Gene Therapy Factory (IGTF) che AIFA ha da poco autorizzato per la produzione e somministrazione di terapie avanzate.
I successi delle CAR-T contro le neoplasie onco-ematologiche, come la leucemia linfoblastica, certi linfomi a cellule B e persino il mieloma multiplo, sono ormai parte della storia della medicina moderna: negli ultimi sei anni sono sbarcati sul mercato prodotti innovativi che hanno offerto nuove prospettive di cura per malattie recidivanti o talmente resistenti ai trattamenti da non lasciare alternative di cura. Sull’onda di tali risultati i ricercatori di tutto il mondo hanno dato l’assalto anche ai tumori solidi, scoprendo però che l’efficacia delle CAR-T contro queste forme tumorali è ben più contenuta: complici una ampia gamma di antigeni di superficie - che hanno reso complesso identificare bersagli efficaci - e la presenza di un microambiente tumorale ostile, i tassi di successo delle CAR-T sul campo dell’oncologia solida si sono rivelati al di sotto delle aspettative.
In una rincorsa evolutiva che ricorda quella della Regina Rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie, i ricercatori dell’Università della California e del Parker Institute for Cancer Immunotherapy di San Francisco, insieme ai colleghi della Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago, hanno “equipaggiato” le cellule CAR-T con un contenuto genetico davvero unico, così da ottenere delle CAR-T in grado di sconfiggere i tumori linfoidi che non rispondono alle versioni finora elaborate. “I ricercatori hanno ingegnerizzato le cellule CAR-T con le mutazioni in precedenza identificate nei linfociti T in una patologia rara come il linfoma cutaneo a cellule T”, spiega Petrini. “Nello specifico, essi hanno preso in esame 71 mutazioni associate a cellule tumorali di questo tipo di tumore e hanno fatto in modo di aggiungerle a un costrutto a base di cellule CAR-T”. Infatti, è noto che durante il processo evolutivo di una malattia vengano selezionate le mutazioni che conferiscono maggiore resistenza a certe cellule, tra cui i linfociti T. Gli studiosi statunitensi hanno pensato che proprio in quelle mutazioni fosse contenuto il segreto dell’estrema resistenza delle cellule tumorali e hanno studiato un modo per volgerlo a vantaggio dei super-linfociti T. “Tra le mutazioni esaminate essi hanno trovato un gene di fusione, CARD11-PIK3R3 - individuato proprio in un linfoma cutaneo a cellule T CD4+ - che conferisce alle CAR-T maggior attività e persistenza in circolo e una più sostenuta capacità di penetrazione del tumore”, aggiunge Petrini. “Infatti, rispetto ai tumori ematologici, quelli solidi creano intorno a loro una sorta di barricata difensiva che impedisce alle normali CAR-T di colpirli al cuore. Invece le CAR-T descritte in questo studio non solo riescono a superare le difese del cancro ma rimangono attive in circolo e mantengono la loro efficacia a lungo”.
Per lungo tempo coloro che si sono occupati di biologia molecolare si sono chiesti cosa conferisse resistenza alla cellula tumorale e se fosse possibile “cooptare” tale aspetto per incrementare l’efficacia dei trattamenti. In passato tale quesito se l’erano posto ricercatori del calibro di César Milstein e Georges Köhler i quali, con la loro pubblicazione del 1975 sulla rivista Nature, contribuirono a gettare le fondamenta per la costruzione dell’edificio dell’immunoterapia, con la sintesi degli anticorpi monoclonali. Tuttavia, nel caso delle CAR-T la questione è ancora più complessa dal momento che fondere una plasmacellula con una cellula tumorale, donando alla prima l’immortale capacità di continuare a produrre anticorpi specifici non è bastato; di fatto, i ricercatori americani sono andati a esplorare il genoma delle cellule neoplastiche cercando proprio le mutazioni che segnano l’evoluzione maligna di tali cellule. “Il carico di mutazioni geniche tumorali è molto importante”, prosegue Petrini. “Infatti, si è visto che tumori con un carico mutazionale non trascurabile rispondono meglio ai trattamenti immunoterapici. Ciò si realizza perché i linfociti - e specialmente i linfociti infiltranti il tumore (TIL) - sono pronti ad attaccare le cellule che recano una data mutazione. Gli studiosi hanno preso le mutazioni che rendono le cellule tumorali invisibili al sistema immunitario, quelle che permettono loro di proliferare e resistere, sfuggendo ai meccanismi di immunosorveglianza, e le hanno usate per costruire CAR-T con caratteristiche di persistenza e attività aumentate”.
Nel lavoro pubblicato su Nature si legge che “le cellule in grado di esprimere CARD11-PIK3R3 sono state seguite fino a 418 giorni dopo il trasferimento in vivo senza evidenza di trasformazione maligna”, a conferma di come lo studio della biologia cellulare del cancro possa fornire stimoli e soluzioni in grado di migliorare l’efficacia di alcune terapie. “Una tale modifica non solo aumenta la persistenza in circolo delle CAR-T”, puntualizza l’esperto romagnolo. “Ma dà alle CAR-T la capacità di abbattere la barricata difensiva del tumore, penetrando con successo il microambiente e inducendo la produzione di interleuchina-2 (IL2), una nota citochina pro-infiammatoria”. Ciò significa che queste cellule CAR-T esprimenti CARD11–PIK3R3 agiscono riattivando il sistema immunitario mediante la produzione di varie citochine (IL2, IL5, IFN-gamma e TNF) a favore dell’uccisione del tumore. Ma se portano al loro interno la mutazione che conferisce alle cellule tumorali i tratti di resistenza ai farmaci, allora come mai queste particolari CAR-T non evolvono, trasformandosi a loro volta in cellule di tumore? “Sebbene siano portatrici di tale mutazione queste CAR-T non cambiano la loro missione. È un aspetto chiave che garantisce la sicurezza del paziente e sembra deporre a favore della sicurezza oltre che dell’efficacia di questo approccio”, conclude Petrini, a capo di una realtà che punta a sviluppare terapie innovative per malattie onco-ematologiche ancora senza cura. Infatti, la recente autorizzazione giunta dall’AIFA, che ha fatto dell’Immuno-Gene Therapy Factory dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori” il primo centro in Emilia-Romagna autorizzato alla produzione di terapie a base di cellule CAR-T, ha un sapore speciale perché riconosce a una nuova officina produttiva sul territorio italiano la possibilità di sviluppare terapie avanzate per malattie che ancora non hanno soluzione terapeutica. Ciò significa offrire a molti più malati un’opportunità di cura e, al contempo, lavorare per ridurre i costi di tali terapie, rendendole via via più sostenibili. È un processo per nulla facile e che richiede enormi sforzi ma supportato dalla volontà e dalla competenza di tutti i protagonisti.
Tornando in conclusione allo studio dell’Università della California e della Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago, occorre precisare che esso è stato condotto su un modello murino e che i buoni risultati fin qui ottenuti dovranno perciò trovare conferma in successivi studi: si dice che ci vorranno almeno un paio d’anni per la l’avvio degli studi clinici di validazione. Siamo solo all’inizio di un filone di ricerca che ha acceso gli entusiasmi di medici e biologi i quali considerano geniale la soluzione proposta da Kole T. Roybal e Jaehyuk Choi. Ma se è vero che la fortezza più impenetrabile può essere violata dalla pazienza di una formica, si può affermare che solo negli ultimi cinquant’anni i biologi cellulari si sono dimostrati ben più che pazienti. Adesso occorre sperare che una piccola crepa possa trasformarsi in una breccia.