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Due studi clinici, i cui risultati sono stati da poco pubblicati su autorevoli riviste scientifiche, descrivono le prestazioni delle nuove versioni CAR-T contro questo raro tumore del cervello 

“Il glioblastoma è il tumore cerebrale più aggressivo”. Cominciano così entrambi gli articoli pubblicati rispettivamente sulle riviste Nature Medicine e The New England Journal of Medicine in cui sono riassunte le prime fasi di sviluppo di due nuove versioni delle ormai note terapie a base di cellule CAR-T per questo tumore. Tanto basta a far capire la portata dell’impresa a cui si stanno dedicando - tra tanti - due team di ricerca statunitensi interessati alla messa a punto di differenti forme di trattamento per il glioblastoma, il tumore più frequente fra quelli che colpiscono il cervello. Minimo comune denominatore di entrambi i lavori è l’utilizzo di approcci immunoterapici basati su CAR-T capaci di prendere a bersaglio antigeni specificamente espressi dal tumore.

Se sono ben noti i successi delle CAR-T contro alcuni linfomi, certe forme di leucemia e il mieloma multiplo resistente alle terapie, è altrettanto evidente come i tumori solidi rappresentino uno scalino difficile da salire. Tuttavia, i concreti risultati del trial clinico condotto all’Ospedale Bambino Gesù di Roma su un altro tumore del sistema nervoso - il neuroblastoma - hanno inviato segnali di incoraggiamento nel processo evolutivo delle CAR-T a cui gli scienziati di tutto il mondo stanno apportando miglioramenti per colpire le cellule neoplastiche dei tumori solidi. Pur rappresentando più della metà di tutti i gliomi diagnosticati, il glioblastoma ha una sopravvivenza media di poco più di un anno dalla diagnosi e un protocollo terapeutico che prevede il ricorso alla chirurgia seguita da radioterapia e chemioterapia. Nonostante questo i tassi di sopravvivenza a 5 anni sono tra i più bassi di tutti i tumori. Sulla base di ciò vari gruppi di ricerca nel mondo - alcuni dei quali sono in Italia - si stanno arrovellando su nuove strategie per colpire le cellule del glioblastoma: dalla terapia genica ai protocolli per trasportare in maniera mirata molecole immunostimolanti dentro il tumore, fino all’utilizzo delle CAR-T.

Nell’articolo pubblicato su The New England Journal of Medicine (NEJM) i ricercatori guidati dalla professoressa Marcela Maus, del Massachusetts General Hospital presso il Dana Farber-Harvard Cancer Center di Boston, riportano le fasi di sviluppo di una CAR-T di seconda generazione che ha come bersaglio l’antigene EGFRvIII (una variante del recettore del Fattore di Crescita Epidermico III) presente sulla superficie cellulare del glioblastoma (ma non su quella delle cellule sane). Allo stesso tempo con cui colpisce le cellule esprimenti EGFRvIII questa CAR-T stimola la produzione di anticorpi che si legano alle cellule T e alle forme non mutate di EGFR: in tal modo la risposta immunitaria viene rivolta contro tutte le cellule tumorali, sia quelle che esprimono EGFR mutato che tutte le altre.

Si chiamano CARv3-TEAM-E e negli studi preclinici hanno dimostrato di poter combattere efficacemente il glioblastoma perciò gli scienziati statunitensi hanno deciso di valutarne la sicurezza nello studio clinico di Fase I INCIPIENT che, entro il 2026, prevede di arruolare 21 pazienti da sottoporre a trattamento. L’articolo esamina gli esiti della somministrazione delle CARv3-TEAM-E sui primi tre pazienti inseriti nel trial: sebbene in due di essi il glioblastoma si sia ripresentato, già dopo una singola infusione delle CAR-T direttamente nel cervello sono stati osservati benefici tali da far supporre che le basi del trattamento siano buone. Infatti, in precedenza la difficoltà di trovare un antigene stabile da prendere come bersaglio e la capacità dei tumori di evitare gli attacchi del sistema immunitario avevano portato al fallimento di vari approcci, ma EGFR si è rivelato un marcatore affidabile nel glioblastoma. Inoltre, la possibilità di colpire tutte le cellule che lo esprimono depone a vantaggio della nuova strategia.

L’articolo pubblicato sulla rivista Nature Medicine illustra un secondo tipo di CAR-T, progettata per colpire in maniera simultanea EGFR e il recettore dell’interleuchina-13 alfa 2 (IL13Ralfa2), che si trova espresso in una elevata percentuale di glioblastomi (50-75% dei pazienti). L’idea alla base dei ricercatori - alla cui guida c’è il professor David O’Rourke, del Glioblastoma Translational Center of Excellence presso l’Università della Pennsylvania di Philadelphia - consiste nel mettere al centro del mirino non uno bensì due antigeni espressi sulla superficie delle cellule del glioblastoma, così da aumentare l’efficienza delle CAR-T - rinominate CART-EGFR-IL13Ralfa2. Lo studio clinico di Fase I in cui i ricercatori stanno valutando la sicurezza e il potenziale terapeutico dell’innovativo costrutto prevede di arruolare 18 pazienti ma, come nel precedente caso, l’articolo riporta un’analisi preliminare dei dati condotta su 6 pazienti già arruolati. 

In tutti e sei, alla prima risonanza magnetica di controllo - eseguita in un arco di tempo compreso tra 24 e 48 ore dopo l’iniezione delle CAR-T nei ventricoli cerebrali – è stata osservata una riduzione delle dimensioni del tumore coincidente con una parziale regressione che, in alcuni di essi, si è mantenuta per un periodo prolungato di tempo (ben oltre 28 giorni). Occorre precisare che nessuno dei pazienti trattati ha raggiunto una risposta oggettiva, stabilita secondo i criteri RANO (ovvero una diminuzione di almeno il 50% o più della lesione per almeno 4 settimane), ma in tre di essi è stata osservata una riduzione del 30% della lesione, con una malattia stabile in tre dei quattro che avevano almeno due mesi di follow-up dopo il trattamento con le CAR-T. A riprova del fatto - affermano gli autori - “che non si tratta di un fenomeno di pseudo-risposta”. Nei pazienti trattati sono insorti eventi avversi - soprattutto mal di testa, nausea, vomito e deficit cognitivo - di neurotossicità associata all’infiammazione tumorale (cosiddetta TIAN) accompagnati da manifestazioni della sindrome da rilascio delle citochine (CRS) di modesta entità. Si è trattato perlopiù di situazioni gestibili e non gravi (nessun evento di grado 4 o 5) che i ricercatori hanno giudicato “coerenti con la somministrazione delle CAR-T per via intratecale, quindi a contatto con le cellule tumorali”.

Non serve ribadire che i dati sono frutto, in entrambe le situazioni, di analisi ad interim da rivalutare in un contesto globale alla chiusura dello studio; inoltre, si tratta di sperimentazioni di Fase I incentrate su questioni di sicurezza e di ricerca della dose massima tollerabile. Tuttavia, i ricercatori sono soddisfatti dei risultati che sembrano aprire uno spiraglio tra le nuvole di un tumore che, ad oggi, prevede scarse possibilità di cura. Le nuove CAR-T hanno dimostrato di possedere la versatilità e l’efficacia di cui c’è bisogno per combattere il glioblastoma. Caratteristiche che dovranno confermare nel proseguo degli studi per giungere davvero al letto dei malati.

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